martedì 8 luglio 2008

Les jours d' Alcor - Accident sur la rue de la bonté

La scelta, per noi esistenzialisti che non abbiamo un cazzo da fare, si sa, è un dramma. Che porta a riempire, per un nonnulla, pagine e pagine di un blog, compunte di citazioni celebri e melodie carpite a capolavori del cinema, pensieri sradicati a pietre miliari del pensiero occidentale, commistioni ancestrali tra dipinti epocali e foto scovate nell'alveo del web-nulla.
Per un nuovo impressionismo postmoderno fatto di piccole istantanee, tese a dare nuova linfa ad un umanesimo umiliato e molestato, avido di sfogare livore.

Nature morte di estati in catalessi pseudo-lavorative, inzuppate nel dubbio che ci sia qualche arcana ragione agli improvvisi mutamenti di abitudine della gente che sta intorno. Ma forse sono solo alchimie mentali da cui è giusto, una volta per sempre, imparare a prendere le distanze. Pensare, e allontanarsi con un ghigno. Capire le cose, e far finta di niente. La corda civile, e la presa in culo malcelata. Fidarsi, e al contempo volersi estirpare l'occhio clinico che ci azzecca sempre riguardo alle fregature.

Agende immolate sulla pubblica nera piazza, un coacervo e un groviglio di nostalgie altrui che purtroppo non subirai mai, insieme a quelle tue che
invece fai languidamente subire agli altri, ma di cui ignori l'origine.
Il tutto per rispondere alla domanda più pertinente che giace in fondo ad ogni nostro melodrammatico atto: "ma chi cazzo me lo fa fare?".

Esistono giorni che all'alba si presentano furibondi ad una curva a gomito, che paiono usciti dall'hangar del dirigibile Zeppelin, dando l'impressione di voler trasformare la potenza in atto, senza badare alle ineccepibili distanze di sicurezza che un percorso cieco impone di mantenere.

Io non soffrivo di vertigini da bambino. La comitiva di amici dei miei genitori organizzò una gita in montagna, sull'Appennino. Dovevamo, quel giorno dopo il pranzo, raggiungere un posto che un grasso ristoratore ci stava indicando allungando l'indice oltre la balconata del suo ristorante che volgeva verso le cime più interessanti.
Aveva una pessima barba incolta e laschi capelli neri allungati in malo modo. Reggeva  un piattino di soppressata al peperoncino, che annullava ogni entità vivente o inanimata che potesse distogliermi da quella preda.
Ovviamente, nonostante le lipidiche indicazioni di quel tizio, l'auto ammiraglia del corteo degli inetti sbagliò strada. E nonostante mio padre, in quanto portatore di ampie porzioni del mio medesimo DNA, si fosse giustamente accorto dell'erranza di costoro,  si accodò alla massa
come un fenicottero imitatore. Ci rendeva partecipi della sua intuizione mediante imprecazioni e bestemmie. Ma senza pensare minimamente di sganciarsi dalla mandria e di tornare indietro.
Quando si dice il corpo sociale.


Dopo qualcuno comprese che probabilmente rischiavamo di finire in qualche valico sperduto, e noi non eravamo propriamente degli Indiana Jones: i papà fumatori e nevrastenici causa repressione da ferie asessuate, mogli in sovrappeso causa repressione  da menopausa, fanciulli impertinenti che sintetizzavano le repressioni parentali, cugini dispettosi per l'invidia repressa, sorelle vomitanti, borse-frigo zeppe di vettovaglie che avrebbero sfamato interi plotoni della Wehrmacht stanziati a Kiev durante l'operazione Barbarossa... Che schifo. Io li guardavo
in silenzio, e li odiavo tutti in maniera viscerale.

Dovevamo tornare indietro.
Saggia decisione ma tardiva. Poiché eravamo finiti a chissà quante migliaia di metri sul livello del mare, e l'asfalto della strada moriva su un sentiero di ghiaia a strapiombo, a senso unico, e senza protezioni. E nell'unica curva possibile si sarebbero dovute effettuare le inversioni di marcia di quelle infauste automobili.
Da allora i miei incubi si dipingono in quella dannata inversione al limite del suicidio. Vedo le ruote posteriori dell'auto di mio padre che, durante un vaffa all'indirizzo di qualche venerabile santo, per via di una pressione di un'atmosfera di troppo sul pedale dell'acceleratore in retromarcia, oltrepassano la soglia della strada lasciando in bilico la macchina.
Come una leva sospesa tra la vita e la morte.
Se il sogno successivo è lieto, la macchina è tornata in sesto non so come, e sono tornato a casa. Se il sogno successivo è l'ennesima presa in culo, avrei voluto chiedere a mio padre di bestemmiare un altro po' e di darci dentro su quel cazzo di pedale destro.

Ma bisogna avere tanta, ma tanta, ma tanta cieca fiducia, per mandare giù pastiglie dolci come la pece dei cedri.
Come quella volta che tornai a casa a tarda notte/pressoché mattina, e mio padre che dopo poche ore venne ad urlare al mio padiglione auricolare per intimarmi a dargli una spiegazione di quello che aveva trovato in macchina. Che cazzo stava in macchina? C'era solo una pozza di un liquido rosso
sospetto, davanti al lato passeggero.

- Che hai fatto?

- Io? Niente!

- Che è quel sangue?

- Ma non è sangue!

- Quello è sangue, ti dico!

- E che vuoi insinuare? Che sono uscito con un'elefantessa del Bengala che mi ha mestruato in macchina? Oppure che ho sparato accidentalmente in faccia ad uno mentre gli chiedevo un'opinione su un'improbabile apparizione divina? Ma che siamo dentro Pulp Fiction??? Ma per favore! Vai dal meccanico.

- Ma quale meccanico???!!!

- Ok, allora chiama Winston, ti risolve il problema.


E nel pomeriggio, tornando da lavoro e transitando davanti al meccanico, non mi sorpresi di trovare la nostra utilitaria familiare in lista d'attesa per un trapianto di radiatore.
Svelato il mistero: né morti accidentali, né mestruazioni-niagara di donne pachidermiche, solo una fottutissima rottura di quel cazzo di radiatore.
E allora, cacchio, perché parlare e assassinare la gente senza chiedere anzitempo spiegazioni a chi ne capisce qualcosa?
Se noti qualcosa di strano, qualche conto che non torna, chiedi prima di giudicare, porca miseria!
Se mi senti dire delle cacate, non farti disegnini al carboncino nella testolina che, nel caso migliore, si tirano fuori dopo qualche giorno
per puro caso. Nel caso peggiore, comincia a serpeggiare l'orrido virus dell'incomprensione, del sospetto, e tutto quel volume di schifezze relazionali che uccidono i legami tra la gente a causa dell'incomunicabilità e del silenzio omertoso.
Hai un antidoto: essere trasparente ma discreto. E sperare che le persone importanti ti percepiscano davvero per come sei (e magari ci facciano pure un pensierino), senza contaminazioni fantasiose.

Il problema è però la fiducia. Perché, fortunatamente non siamo tutti uguali, e affinché il gioco tra le persone funzioni, è necessaria tanta, spassionata, incondizionata fiducia.
Serve tanta buona volontà, e nutrire tanto amore per le persone. Non è giusto considerare i nostri simili come esseri randagi e maleducati di default.
Io ci provo a sostituire la condanna preventiva, alla fiducia e al perdono preventivi. Una volta tamponai leggermente un idiota irascibile, la sua macchina era intatta, la mia anche, ma stavamo arrivando alle mani.

Dopo quell'episodio pensai che se qualcuno mi fosse mai venuto a tamponare mi sarei comportato in maniera estremamente cortese e garbata. Lo avrei sì fatto sentire una piccola cacchina, ma lo avrei fatto con gentilezza, e sorridendo. Come dire: "Ti stronco, ma ti voglio bene, lurido pezzo di merda".
E dopo qualche giorno non mancò l'occasione.
Perché io ed una tizia avevamo da poco parcheggiato, e prima di uscire mi accorgo che una macchinina dinanzi alla mia s'affaticava per parcheggiare, esibendo manovre inconsulte da pisciarsi addosso per l'inettitudine.
Intimo a chi mi è accanto di pazientare perchè mi sorge un presentimento.
Perché dopo essere riuscita ad infilare la macchina nello spazio, la donna al volante (non poteva essere altrimenti), comincia una pericolosa retromarcia anticipata da un'anomala sgassata. Con molto rumore e poco slancio, mi viene addosso.
Crash
, e l'impatto previsto si verifica.

Tre secondi di ibernazione mentale per confermare a me stesso che devo essere cortese, gentile, affabile, sinceramente rassicurante, e far valere i miei diritti con magnanimità.
Sorrido alla donna agitata e in preda ad un ingiustificato panico. La rassicuro e le chiedo se sta bene (ma che cazzo chiedo? Mica è finita sotto un TIR! Al massimo si sarà spezzata un'unghia... che idiota).
Una rapida occhiata alla
mia macchina: sembra intatta, nessun danno, nessun graffio, sembra apposto. Anche la sua macchina, signora, sembra integra. Non si preoccupi, stia tranquilla, va tutto bene, le auguro una buona serata, arrivederci.
Che gentiluomo...

Con l'aria soddisfatta di chi ha fatto un passo in avanti verso la redenzione, mi accinsi a trascorrere una serata gaia, da persona normale, in armonia col mondo ed i suoi abitanti che cominciavano a non farmi più così tanta pena.
Durante le fasi del rientro, tuttavia, sentivo strani rumori provenire dall'avantreno della mia fiat tempra... e che sarà mai? Proseguii. Ad un certo punto sentii un decrepitare di frantumi di origine ignota. Mi fermai, scesi dalla macchina e... Eureka!!!
Entrambi i fari erano in frantumi. L'innocuo impatto m'aveva distrutto i fari della macchina, e per concentrarmi a fare il galantuomo del cazzo non me accorsi nemmeno...

- E adesso che fai?

- E che cazzo vuoi che faccia? Porca puttana...

- Io la conosco quella signora lì, se vuoi la rintracciamo...

- Ma sei scema? Per dirle che cosa? "Senti ti ricordi, sono quello a cui sei andato addosso mentre tentavi di parcheggiare una cinquecento in 30 metri di spazio. Lo sai che dopo tre ore mi sono accorto che mi hai rotto i fari e pure il cazzo?" Che figura di merda mi vuoi far fare?!

- Sì però ora calmati...

- Calmati questa straminchia!!! E vaffanculo!!!

- Eh dai, ma quanto ti costeranno i fari nuovi?

- Ma chi cazzo li sta a pensare i fari? Io penso alla cazzata che ho fatto... non ci arrivi, non è colpa tua. Senti, tu pensa a respirare, a far battere il cuore, a farti scorrere il sangue nelle arterie, le cose che richiedono un minimo sforzo alla tua volontà non ti competono, lasciale stare...


Mi calmai, mi ritrovai, mi rassegnai. Mangiavo un gelato pensando all'acidità degli impiegati che lavorano agli uffici postali. Per un attimo ho pensato che avrei voluto abbracciarli tutti, uno ad uno. E che avrei voluto loro un bene speciale, una commozione quasi.

- Alcor, sono preoccupata...

- Che hai, adesso?

- Il mio ex...

- Che vuole ancora quello stronzo?

- Temo possa fare una stronzata, è disperato...

- Cioè?

- Che possa farsi del male, l'ho visto vicino a fare il passo...

- Ah, e magari si muovesse. Una bocca in meno da sfamare che non rompe più i coglioni nella redistribuzione del PIL. C'è grossa crisi, dobbiamo aggrapparci anche a questi minimi shock positivi per contrarre la domanda interna...

- Ma io ti credevo buono e generoso!!!

- E se semo stufati d'esse sempre boni e generosi!!!




Io della vita non ho capito un cazzo



Habemus Alcor






...trovo molto interessante la mia parte intollerante...
...che mi rende rivoltante tutta questa bella gente...

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