sabato 5 luglio 2008

Good Morning, sweet wrong place

Era giovedì. Erano le sette di un tardo pomeriggio afoso. Forse c'era anche allora la luna nuova, non mi ricordo.

Quando hai compiuto un tragitto particolare non lasci entrare la felicità nella tua vita senza prima averle fatto una radiografia.

Un po' mi denuda, ma non mi spaventa.

Eppure non c'è scritta da nessuna parte la maniera in cui le cose devono andare a finire. Il fatalismo è solo un pessimo retaggio medioevale.

E accendo la televisione di notte, e siamo come sempre al punto di partenza.

Non sono abituato a desiderare i pensieri e le parole altrui. Ascoltare una voce che parla una canzone splendida, e avvertire l'immane voglia di essere vivo dentro quei versi.

Ma senza alcuna voglia di ubbidire, quando dice: "vattene adesso".

Mah...

Oggi non so se riuscirei a scrivere di più. Probabilmente tra due secondi mi capita una parola di qualcuno tra i pensieri, mi ricordo di un'immagine o colgo un segnale tra le cicale che strofinano sul pomeriggio.

E forse cambio idea. E vado, e torno, e devio dalla mia strada. Senza il timore di sentirmi incoerente, mai. Perché nella banale veste di un folle, si esercita una voluttuosissima logica.

Quella di sprofondare intimamente in ogni momento, e l'essere l'immagine di un desiderio, sempre e comunque.

Vivere, è questa cosa qui. Ed è grande. Tanto da poter contenere non solo se stessi.

Ho cominciato a scrivere qui dentro l'anno scorso. Era giovedì. Erano le sette di un tardo pomeriggio afoso. Uguale a tutti gli altri.

Ma non così uguale.

Unico. Unica.

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