martedì 9 gennaio 2018
Character
La paura che protegge, coccola, rassicura come una gabbia nella quale sentirsi sovrani.
La paura che ci assilla col suo smisurato vuoto che si fonde nelle ombre di ogni impegno massacrante con cui falcidiamo i nostri giorni senza un forse.
La paura che rafforza l'illusione di un equilibrio ritrovato che è solo un pensiero allontanato nello spazio e nel tempo di un sacco di angosce e promesse infrante a cui non abbiamo imparato a volgere uno sguardo pulito.
La paura di una scelta che irrompe a sciogliere i nodi dai nostri certi ormeggi, al riparo nella risacca della noia, svelando il volto banale e candido dell'inesorabile.
Inizia il nuovo anno con questa straripante voglia. Unico respiro di pace; una pace che sembrava possibile al realizzarsi di piccoli traguardi, e che si infrange non appena ogni méta si nasconde alle spalle della successiva.
E s'allontana.
Come te, che ogni giorno ti mascheri da questa angoscia, e in quella paura ti rifugi, al riparo da ogni possibile gioia.
venerdì 24 novembre 2017
If I rise
sabato 8 luglio 2017
Apocalypse Later
martedì 28 luglio 2015
Filmaking
Ad un certo punto ci si ritrova a percepirsi di esser soli.
A vedersi, toccarsi (in tutti i sensi) e a riconoscersi soli.
La cosa non è sconosciuta né sgradita, però è sovente foriera di qualche cazzata, compiuta in nome del senso di onnipotenza che pervade un animo dagli indirizzi sparpagliati.
E quindi, tra tutte le opzioni esistenziali possibili, la percentuale di cazzate schizza come il valore dell'oro nei mercati ai tempi dello spread a 500.
Quelle inequivocabili gesta insensate, tuttavia, sono reinterpretate dal proprio geniale intuito come una mera seduta psichica tra te stesso ed il dio Onan. Perché a vedersi vivere non è poi tutta questa storiaccia il nostro tempo, nonostante, in fondo, si sia perfettamente consci dell'abisso tra le intenzioni e la reale esecuzione dei propri propositi.
Tradotto: che cazzo ci esci a fare con una se non sei convinto di volerci niente?
Ma chissenefrega dell'utilità marginale, dopo tutto non abbiamo fatto un mezzo dottorato in economia politica per scoprire che tutto si regge sull'asimmetria informativa? Il guaio è quando il venditore infame lo fai con te stesso, e cerchi di rifilare una sòla all'uomo descritto nel documento che hai in tasca.
L'aggravante di questo pellegrinare vacuo attraverso templi sconsacrati alla ricerca della pentecoste, si verifica quando questa conferma di se stessi, passa attraverso la mera ed impalpabile (in tutti i sensi), contemplazione delle evidenti prosperositá di costei, così celate nell'abbondante e intrigante superfetazione di vestiti in una notte di quasi estate.
E mentri cerchi di capire inutilmente la consistenza di quelle femminee ghiandole che determinano il nostro inquadramento nella classificazione del Linneo nel regno animale, ti ricordi quelle grandi verità matematiche che hanno popolato la tua gioventù: la possibilità che lei te la sganci è inversamente proporzionale agli ingiustificabili strati di vestimenti che ricoprono le sue agognabili membra.
E mentre con la tal donna ci ragioni anche piacevolmente, e ti lasci anche andare all'indicazione della esatta collocazione nel firmamento di qualche astro, ti rendi conto che la tua vera, unica, auspicabile chimera è allontanata vorticosamente da una disvelata faticosa necessità di conquista lenta e irreversibile che non figurava propriamente nei propositi a breve termine di quella serata.
Mentre il dilemma dell'azione giusta nei modi errati stava cominciando a scavare la sua tana nella mente, la vita con tutta la sua ferocia si abbatte come una scure su quelle nombrilistiche scommesse cerebrali, e ti riporta a più materialistiche considerazioni: t'hanno fregato la macchina, povero idiota.
Insomma, potevano fregarmela in seguito ad esperienze di più notevole importanza? No! Doveva succedere per la più lapalissiana delle inconcludenti cazzate, a sancire il colpo di grazia.
Senza rammentare qui i dettagli che hanno condotto i nostri eroi al miracoloso ritrovamento del mezzo deportato dagli ignoti malfattori, ci si ritroverà una sera a riderne con uno dei tuoi più fidi compari.
Lì ti suggeriscono di buttare giù una storia che dia un senso all'avventura e ad i suoi portati grotteschi.
Mediti dunque che la maniera più bella che un uomo ha di infondere un senso a tali episodi possa essere quello di tentare di elevarli a casi universali, e a berci su un paio di Oban mentre coinvolgi altra gente.
E che nella scrittura di quella sceneggiatura prende forma la ragione di ciò che hai vissuto ed imparato. E quando giungi ad accendere la macchina da presa e a provare un copione con gli attori quel senso si allarga e sconfina. Avvolge tutto.
E scopri cose e persone che meriterebbero da sole, forse, una nuova puntata. Quella del che cosa è successo dopo aver girato un film ispirato ad un'esperienza generata dall'aver tentato una cazzata in seguito ad un dispiacere non propriamente sottile di qualche mesetto fa.
Così come potrebbe finire tutto in una puntata pilota senza seguito. Probabile, conoscendo la timidezza e il tratto lieve del mio essere al mondo.
Ma sedendo e rimirando oltre la siepe delle proprie barriere, oltre il mondo più disordinato della propria mente, se allarghi la sfera dell'indagine sui possibili futuri, più s'espande l'ombrello convesso delle cause gestanti dei tanti ieri che si incatenano in tanti possibili oggi, e minuscoli domani lontani.
Come in un cerchio fatto di scuse e motivazioni che si rincorrono, e ti chiedono soltanto di non addormentarti come sempre nella contemplazione del tuo masturbante egoismo. Ma che forse vale la pena porgere qualche domanda in più a chi incontri lungo la strada, soprattutto se ritieni le possibili risposte degne di conservarsi tra le cose di cui tener conto nella tua memoria a breve termine.
Ché poi ci son sorrisi ed espressioni di un viso che non avresti ammirato mai se qualche coglione una sera non avesse deciso di asportare il tuo veicolo criminalmente. E quella stupida storia non fosse stata scritta.
Ogni più piccola cosa genera conseguenze per l'eternità, come un'aria di immenso cielo che ritorna anni dopo anni nel sestetto Atlante delle Nuvole.
Dove anche un diverso colore di una tazzina al mattino può rivoluzionare tutto completamente.
martedì 21 luglio 2015
L'uomo e la grotta
lunedì 6 luglio 2015
Speleo Alcor
I nostri eroi: Grossman, Bart, Alexander, Danny, Bechy, Alcor, Frank, Francys.
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giovedì 16 aprile 2015
Il metalmeccanico neomelodico
Attraversavo una strada che un organo di governo di cui faccio parte ha dichiarato a traffico limitato durante il week end e durante l'estate.
Lo stesso organo di governo di cui faccio parte ha altresì stabilito che durante i giorni feriali il transito veicolare dovrà avvenire a velocità molto bassa per consentire, ad esempio, ai difensori della salute mentale pubblica come me, di litigare serenamente sui social mentre si attraversa la strada in questione, con la dovuta e sacrosanta distrazione da polemica, senza ritrovarsi falciato via da una golf grigia con assetto ribassato e vetri oscurati.
E dopo essere stato graziato dal fato, mentre uscivo sconfitto dalla sfida immane di far comprendere a un grillino che l'avanzo di amministrazione in un comune non è propriamente un vanto, ho osservato il mio boia mancato al volante del suo veicolo. E l'ho sentito nitido e inconfondibile, così fermamente affogato nell'aria da scoraggiare l'effetto doppler: il neomelodico a palla.
E non ti ho odiato. Ti ho invidiato. Ho invidiato la tua battaglia personale sconosciuta che conduci dentro, perché qualunque sia la tua trincea, figliolo, è splendida. Per te non provo rispetto, provo infinito amore, perché rappresenti la meta ultima di libertà a cui ogni essere umano assennato dovrebbe tendere: il nulla.
Ho visto la tua busta paga da metalmeccanico, leggera e sicura nonostante la fiom, nonostante il jobs act.
Nella tua splendida spaccata automobilistica nel corso, sulle note di Gianni Celeste, ho visto lo stato intermedio che separa l'essere umano mediamente incasinato dal massimo dei possibili stati della libertà: il cane randagio che caca per strada.
domenica 15 giugno 2014
Un etnologo all'Esselunga
- Sto guardando un attimo... non trovo i preservativi di taglia XL....
- ...
- Ah, mi scusi signora, l'avevo scambiata per la mia compagna.
- ... (più sguardo schifato)
venerdì 21 febbraio 2014
Pensionati
domenica 9 febbraio 2014
Il socio ACI
sabato 26 gennaio 2013
2020: crociata nello spazio
E dopo qualche minuto la domanda che sorge da parte di qualcuno è la seguente: ma che minchia è 2020?
Vabbè che c'hai un profilo di rischio pari a quello di un criceto nella gabbia con la giostrina rotta, ma cristo, tutti quei tg1 economia???? Dopo aver udito questa scellerata notizia, ho cominciato a sperare che lo spread torni a salire, finanche ho meditato di votare Tremonti.
Credo stia tentando di smaltire la rabbia di una settimana di vacanza in egitto con zoccolona incorporata che rischia di saltare per la sagacia di scegliere una simile meta giusto nel periodo di recrudescenza della primavera araba. Come dargli torto, se ci fosse ancora Mubarak, non avremmo di questi inconvenienti.
... e mi chiedo, in questo disperato sabato dai piedi freddi, da scatolette di tonno e insalata scondita e tozzi di pane integrale, mentre la televisione nel tinello trasmette un vergognosissimo film con massimo boldi nella sua versione per non udenti (nella fattispecie, i miei, che hanno il volume impostato a 250/100), che mi desta furente l'odio verso la cadenza lombardo/veneta (pur avendo la zita lombarda)... e mi chiedo, dunque, come cazzo abbia fatto l'Italia a rendere apprezzabile uno come massimo boldi, e poi... che minchia vuol dire mai "2020"?
domenica 29 luglio 2012
Three Dark Knights
Assuefattosi presto a quel tumulto sonoro, ecco affacciarsi meschinamente il più arcigno degli ostacoli frapposti fra la sua persona stanca e l'agognato riposo: una austera e turgida erezione.
- Ehi! Disgraziato! - Urlò suo padre alla vista di quei manigoldi. E tre snelli esemplari di scassinatori di serie B in tuta metalmeccanica, passamontagna, dotati di picconi, tenaglie, e piede di porco, balzarono spaventati alla vista dei due nottambuli.
Finalmente l'ormone s'acquietò.
domenica 15 luglio 2012
Explosion in the sky
- Che ti prende, Alcor?
- "Alcor", hai detto?
- Sì. Che magnifici suoni, ricordi?
- Di fogli nel temporale, di lettere nella tempesta, di marmellate scadute sganciate dal cielo per ingannarci.
giovedì 8 settembre 2011
Two seconds, XL*
Alcor non trascorreva le vacanze solo con la propria ragazza da poco meno di 29 anni. E la cosa deve aver avuto un effetto positivo sul suo organismo, perché, nonostante la pressoché invariata determinazione nel non praticare alcun atto finalizzato all'estinzione dell'adipe in eccesso, i suoi alunni l'han ritrovato più in forma e più giovanile (mah!).
Discrezione e buone prassi sulla tenuta della diplomazia familiare, quando vi è una particolare dedizione alla lettura, consiglierebbero di omettere dalla cronaca la pedissequa narrazione della vita di coppia vacanziera, nei suoi aspetti più intimi e appassionanti.
Ergo, escludendo dalla celebrazione di quei venti giorni, tali estasiatici dettagli....
... ... ...
...Racconto completato.
* il titolo del post non allude ai tempi di reazione di Alcor nei riguardi della massima espressione di bellezza in circolazione nel sistema solare, bensì ad un particolare equipaggiamento da campeggio.
martedì 6 settembre 2011
Spread
In questi giorni tutti gli investitoi fuggono come la peste dai listini europei, alla ricerca di rifugi sicuri.
Questa mattina la Banca Centrale Svizzera ha deciso di bloccare il cambio con l'euro, fissando un tetto massimo per limitare l'apprezzamento della valuta elvetica.
Risultato di tutto questo, tutti si rifugiano nell'oro: 1.920 dollari l'oncia e a 1.362 euro l'oncia.
Cala persino il Brent, presumibilmente a causa del crollo dei consumi.
In ogni caso mi torna in mente quella cazzona che mi restituì gli aurei regali da me evasi in suo favore, e le dico: grazie.
domenica 4 settembre 2011
La vita interiore
- Ma lei è un giocatore di rugby?
- No, pratico attività più tranquille, come la briscola.
- Fuma?
- Sì, ho un'insana propensione al carsismo polmonare.
- Diamo una controllata alla prostata?
- No! Sono diventato obiettore di coscienza pur di non far visitare la mia prostata! La prego...
- Ma giunti alla sua età un controllo sarebbe opportuno, suvvia, non faccia il bambino, si volti.
- Le ho detto di no! E comunque sono ancora giovane per badare alla mia prostata!
- Lei "giovane"? Ma sta scherzando, vero?
- Perchè?
- Lei crede davvero di essere ancora giovane?
- Ma... è scritto qui, legga, sui miei documenti.
- Quali documenti?
- Ecco, questi... ma.... che cosa è successo alla mia immagine?
- Che cos'ha la sua foto?
- Sembra essersi ingiallita, all'improvviso, e il mio nome è sbiadito, la mia altezza dimezzata, che scherzi sono questi?
- Tenga, si guardi allo specchio.
- Ma, chi è questo vecchio canuto?
- Come chi è? È lei, non si riconosce?
- Ma non posso essere io! Avevo il viso tondo e i capelli neri quando sono venuto qui.
- Quanto tempo crede che sia trascorso da quel momento?
- Come sarebbe, quanto tempo... Un'ora al massimo...
- Un'ora al massimo, dice? Lei ci sta lasciando lentamente, figliolo. Su, si giri, dobbiamo controllare la prostata, è necessario.
- Ma vuole darmi una spiagazione? Che cosa c'era in quel bicchiere che mi ha offerto?
- Dei drenanti naturali.
- E cosa significa tutto questo? Perché sento le gambe cedenti e un forte mal di schiena?
- Che lei deve svegliarsi, giovanotto. Che lei deve necessariamente svegliarsi e andarsene da qui.
Le scelte sono gli angoli in cui si depositano le scorie della solitudine in cui è confinato ogni uomo. Ai bordi del pavimento, lungo i muri delle stanze, basta una passata di un panno umido per ristabile una parvenza di chiarezza. Agli angoli, invece, resta sempre qualcosa che si deposita col tempo. Lì, dove i contorni si fanno irregolari, dove è obbligatorio svoltare per non andare a sbattere contro un percorso nottambulo, e dove fa più male se ci si rovina contro.
Dopo aver fatto i gargarismi col suo colluttorio rosso, e avendo avuto cura di riporre il suo deodorante ascellare nel bagaglio, andò incontro a suo padre che lo aspettava battendo la pianta del piede.
Allargò il nodo della cravatta per non lasciare che l'ansia lo strozzasse. Qualche felpa per la sera l'aveva portata con sè. Doveva ancora interpretare gli adattamenti del suo corpo ad un clima diverso a quello a cui era abituato. Ogni tanto si schiariva la voce con un grugnito silenzioso per modulare meglio le sue parole. Aveva capito che plasmando bene le parole avrebbe potuto rendere meno infettivo il suo accento marcatamente distintivo.
Durante il volo provava a intavolare discorsi con se stesso per saggiare i suoi progressi nel tenere a freno le mani, per controllare meglio gli effetti dell'ansia.
Che avrebbe avuto a disposizione poche altre occasioni lo sapeva bene. Non si è giovani per sempre. E la resa dei conti inesorabilmente è depositata sempre là, all'angolo della stanza.
Avrebbe sciorinato ancora una volta il novero delle sue esperienze. Una ad una, come un susseguirsi di stazioni deraglianti che non avrebbero mai conosciuto un approdo. Avrebbe provato ad offrire alla commissione una rilettura di quegli eventi che fosse meno ufficiale. Avrebbe tracciato il filo conduttore di quella rincorsa alla normalità affrontata con tanto coraggio ma con pochi apprezzabili impronte nel corso evolutivo della specie umana.
Giunto a destinazione lei lo venne a prendere, e lo abbracciò. Per un attimo ebbe il sospetto che vi fosse una larga pozzanghera che separasse la realtà monolitica e immutabile dall'idea che costei in quel momento stava stringendo tra le sue braccia piene di ardore.
Ogni minuto che da allora trascorse assomigliava al campanello del giudice istruttore che freddamente enucleava le ragioni di una speranza malriposta.
(I vincenti li riconosci subito, riconosci i vincenti e i brocchi. Chi avrebbe puntato su di te? Io avrei puntato tutto su di te, Noodles. E avresti perso.)
Lei le offrì una granita all'anice, preparata come solo sua madre sapeva fare. Era diventata consuetudine da un po' di anni. Egli guardava il suo bicchiere di granita nel quale giaceva l'ultimo sorso. Pensò che non aveva sempre bevuto granite. Che per larga parte della sua vita le granite erano fluite in maniera indifferente senza che gli venisse mai venuta voglia di berne un bicchiere. Tanti anni erano trascorsi senza che le granite fossero mai esistite.
Un giorno, invece, s'accorse che faceva caldo e che non aveva fame, e che una granita gli sarebbe bastata per restare in compagnia di persone a cui avrebbe poi voluto bene.
Pensò che questa volta non sarebbe stato necessario avvisare a casa che il viaggio era andato bene.
Per anni gli avevano insegnato ad aspettare, a rinunciare, a restringere il ventaglio delle scelte. Si presentava al mondo dei vivi ricolmo di un amore che recava in dote miriadi di capitoli incompiuti. Storie affogate nel cesso al primo apostrofo erroneamente collocato.
Come quelle vecchie macchine da scrivere che andavano con i nastri di inchiestro nero. Bastava un dito un po' più disconnesso a rendere inaccettabili discorsi interminabili.
Infilò il suo pigiama invernale, e respirò a fondo il calore che da quell'abbraccio ancora s'infondeva. Una lacrima si addensò alla cornice del suo occhio sinistro, come un vetro rotto da cui penetrava la pioggia.
Sentiva il peso di tutta quell'inadeguatezza a cui aveva lasciato ampi metri di vantaggio, e che proseguiva lenta, lentissima, e lo precedeva nella risoluzione dei suoi algoritmi quotidiani.
Anche con il passo di Achille non l'avrebbe mai raggiunta, perchè essa conservava sempre una precedenza assoluta che le proporzioni dello spazio tempo avrebbero reso incolmabile.
Si nasce tartaruga, o si nasce Achille.
Si nasce compiuti, o si nasce appena.
Sul giornale dell'altro ieri vi era la consacrazione dell'incompiutezza come stagno nel quale la forza creatrice del linguaggio si edulcorava di arazzi pregiati nei riguardi di una cenciosa e scontata banalità a tratti quasi ripugnante.
L'irrequietezza è l'impeto ventoso che schiaffeggia l'insenatura al riparo del mare. Una conca aperta da cui la vita avrebbe lanciato affondi che un lago cheto e descrivibile non avrebbe mai appreso nelle sue computabili rive.
Una forma estrema di annegamento che ha come contorno incompleto la colpa, e come sbocco inevitabile la distruzione di ogni cosa.
Sentiva tutto il peso dell'umidità di un cielo in cui la sera non si rintracciano stelle.
A lei dedicò quei pensieri che si rivelarono gli ultimi. Pensieri che non sarebbe stato capace di replicare su carta per non lasciarsene privo. Ché scrivere è un impoverirsi senza ricevuta fiscale.
L'arte, un condono sull'inconcludenza.
E la smise all'improvviso, calpestato tra i binari di una metropolitana.
mercoledì 20 luglio 2011
Gates
"Desiderava fare qualcosa che non lasciasse la possibilità di ritorno. Desiderava distruggere brutalmente tutto il passato dei suoi ultimi anni.
Era la vertigine.
L'ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere.
La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare ad essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancor più deboli, si vuole cade in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso."
La regina di Itaca doveva possedere una tenacia fuori dal comune. Ella tesseva e sdruciva il medesimo ricamo ogni notte, e nel continuo ritorno del suo ago lungo l'esperito tragitto del suo filo guidato da mani sicure, rafforzava il senso della sua attesa. Traeva da essa la forma che sostanziava il suo tempo, nell'affidamento certo di tutte le grazie ad un moto che si ricaricava di ferme convinzioni ad ogni punto di ripresa.
Riempì la sua borsa all'ultimo momento, mentre aspettava l'autobus sotto casa i suoi piedi disegnavano cinconferenze sghembe sul terreno appena madido della prima pioggia d'estate. Il terriccio sotto i faggi conservava l'impronta della punta delle sue scarpe. L'attesa le rielencava il contenuto del suo bagaglio leggero che non le lasciava alcuna striscia di fatica sul palmo delle sue piccole mani chiare.
Portava con sé un cappello dalla frangia larga. Tutti gli oggetti essenziali che le avrebbero consentito di rilanciare al tavolo della vita li aveva lasciati a casa. La sua biancheria intima era perfettamente accatastata per riempire borse che sarebbero rimaste lì, aperte e mai riempite.
Aveva portato con sé un accendino, nonostante non fumasse regolarmente. L'aveva trovato qualche giorno prima in cucina. Un suo amico l'aveva lasciato lì dopo aver acceso una sigaretta a cena, non prestando alcun ascolto alla sua richiesta di non fumare in casa.
Anche G. perdeva spesso l'accendino, e lei pensò che gli sarebbe stato utile quando sarebbe successo, e lui le avrebbe offerto da fumare. Pensava che G. avrebbe acceso la sua prima sigaretta dopo averla salutata e baciata, non prima.
Aveva lasciato a casa anche l'ultimo paio di scarpe di tela bianca che aveva comprato, semplici e comode, per preservare le sue caviglie dalle lunghe passeggiate. Si giustificava adesso raccontandosi che avrebbe passeggiato scalza.
Con larghissimo anticipo spense il suo cellulare, si sedette sul margine di una vetrina su cui campeggiava enorme la scritta SALDI, e poggiò il suo viso tra le mani a coppa.
Si accorse che tendeva inconsciamente ad allungare la gonna verso il ginocchio, come a scacciare via la sensazione di sentirsi nuda, di sentirsi spiata. Da qualche tempo le sembrava che anche gli sguardi più distratti riuscissero a pungerla oltre le vesti e la carne, che la sua vita fosse divenuto uno spettacolo gratuito da serata estiva al parco.
Su ciascun volto coglieva un'espressione riprovevole che testimoniava la partecipazione dell'intera platea umana alle conversazioni che intavolava con se stessa. Corti improvvisate che sentenziavano in pochi secondi la loro versione circa le sue conversioni.
Il monitor del gate annunciava l'avvio delle fasi di imbarco. Era certa che dall'altra parte della rotta aerea ci fosse G., ansioso, che contava i minuti disegnando circonferenze sghembe. Le venne un sorriso denso d'affetto e si sentì all'improvviso colta da un senso di leggerezza. Si sentì sollevare, accompagnata da una stretta di mano in mezzo a tutta quella gente.
S'alzò, e vide che la confusione si stava organizzando in code. Afferrò la sua borsa e, inaspettatamente, inciampò.
Si scoprì che inciampava nei viottoli della leggerezza.
Ferma. Si ravvivò il rossetto sulle labbra e si passò una mano tra i capelli. Voleva sentirsi bella, e il suo specchio era la vetrina in rifacimento che campeggiava davanti a lei. Passi di ogni genere attraversavano il suo riflesso rivelandole tutto il suo immobilismo.
Si scoprì forse ancorata al suolo, mentre la coda di gente si rinforzava.
Stava per cadere, e avvertì il brusco risveglio. Riprese il rossetto dalla borsa e cominciò a passarlo più volte sulle sue labbra, voleva essere certa che la sua bocca esistesse ancora, e non le fosse strata strappata via all'urto con qualche vitrea parete di cui non avesse percepito la presenza. Non riusciva a distinguerla bene, la sua bocca, nella distanza di tre metri dalla vetrina nella quale si vedeva riflettere, e che veniva attraversata da viaggiatori di corsa.
La fase di imbarco stava per concludersi, lei nella coda non si era ancora inserita.
Un distinto signore di cinquant'anni le passo accanto e le sorrise. Le aveva camminato lentamente intorno senza che lei se ne accorgesse per diversi minuti. Finché si fermò e le chiese se avesse tempo per un caffè, e se per caso la fortuna li avesse condotti sullo stesso volo.
Lei non rispose, ed egli provò ad insistere con atteggiamenti languidi. S'accorse che lo sguardo del cinquantenne s'ammantava di un'aria volgare ed era concentrato verso il suo culo con cui sembrava volesse toccarla e afferrarla brutalmente.
Lei strinse le braccia intorno al corpo, come se volesse proteggersi da quello sguardo che potesse accorfersi della sua nudità. E non disse nulla.
Il distinto signore, stizzito, mordicchiò un insulto con una smorfia che sembrava scacciarla via dal gioco normale degli esseri umani, dai loro mescolamenti superficiali e codificati dalle leggi dell'effimero che inflaziona l'appagamento per annullare la fame.
Un brivido la percorse, e si sentì smarrita. Come se avesse subìto un tentativo di scippo all'uscita del carcere.
Prendere quell'areo sarebbe stata una scelta in cui avrebbe dovuto risarcire la leggerezza con responsabilità.
Tutti gli sguardi si trasformavano in mani seduttive che provavano ad afferrarla, spogliandola dal peso della scelta, dissipando in una polvere di infinite stazioni appaltanti la gestione degli spazi della sua felicità, fonti straniere al suo autonomo discernimento.
La convinzione che il governo di quegli spazi potesse tornare completamente nelle sue mani, e nella sua volontà, ora sembrava spiazzarla e la atterriva, provocandole un senso di nausea.
Al contrario, conosceva le pareti della sua stanza senza doverle cercare con gli occhi. Quella leggerezza sembrava ora soffocarla, si sentiva lanciata ad alture con parole di scarsa densità materiale sulle quali avrebbe dovuto poggiarsi senza badare alla possibilità di cadere.
Quel valore richiedeva una fede sterminata dal sapore nuovo, differente dai pasti di cui s'era nutrita fino ad allora.
L'abitudine induce una mano a scorrere lungo un telaio e ricamare trainata da gesti sicuri e consolidati. Le uscite di sicurezza le riconosceva camminando a gattoni in caso di incendio, segni distinguibili sono tracciati su ogni terreno.
dimmi, senza un programma, dimmi come ci si sente
L'ultima chiamata delle assistenti, e la fretta dei ritardatari che la evitavano senza guardarle il culo.
Prese il rossetto dalla sua borsa e lo lasciò scorrere ancora una volta lungo le sue labbra. Si scompigliò i capelli e riaccese il suo telefono.
Cercò il numero di un vecchio amico di scuola.
- Vieni. Riportami a casa.
dove un attimo vale un altro
domenica 3 luglio 2011
Il Pitone
Domani è già qui, lo sento. Scorre dappertutto e mi si pone accanto, come un pitone.
- Dottore, il pitone è tanto caro. Lo faccio dormire accanto a me, mi vuol bene. Deve sapere che prima riposava nella piazza accanto alla mia, racchiuso nelle sue spire, timidamente. Adesso è da qualche tempo che il pitone è disteso in lungo, come se volesse guardarmi diritto negli occhi, mentre dormo.
- Le ha dato un nome al suo pitone?
- L'ho chiamato Vita.
- Se ne liberi immediatamente, lo liberi.
- Perchè?
- Le sta prendendo le misure.
Io te lo dissi, cara, di non prestare ascolto a quello che scrivo durante le mie incursioni sul lato oscuro della Luna. Perché lì avrei scaricato il male per vivere il meglio. Ma tu non mi hai ascoltato, ed hai preteso di mescolarti al mio male ancestrale, di sentire nei guizzi dei giorni inquieti le tue impronte.
Non esistono persone sicure in questo mondo. Solo armonie di debolezze. E quanto viene spacciato per sicurezza posticcia, nelle migliori delle condizioni, è soltanto un'adeguata cognizione dei limiti.
Un abbozzo della propria immagine riflessa in HD nell'autoconvicimento al plasma.
E alla luce risalirà una galleggiante risata.
Finisce tutto in una risata non propriamente amara. In tutto questo si traduce, probabilmente, il lato oscuro di chi sembra risolutamente condannato ad arrivare secondo e sconfitto. A rasentare il trionfo e a vederlo consegnare ad altri più predestinatamene meritevoli, senza invidia alcuna.
I giorni scarabocchiati da un cieco veggente, possono riservare pagine intere a nuove metafore.
Così ridendo, ti passerò accanto come alito di vento che soffia soltanto affinché si possa lambire il tuo volto. Scavando basse pressioni nel cielo per passarti accanto senza disturbare, quasi chiedendo scusa di quel passaggio. Perché non vuole che questo traguardo sia consegnato in altrui bramose fortune.
E se la riconoscerai, questa brezza, potresti anche coglierne dentro la lieta melodia di chi non è abituato alla felicità, ma solo a fotocopie sbiadite di romanzi d'annata. Ottime annate a bianco e nero.
Se mi riconoscerai, questo domani non avrà le ore contate. C'è una venticinquesima ora in fondo ad ogni giorno, un'ora non scritta dai mistici delle narrazioni figlie delle medesime promesse di ieri.
sabato 7 maggio 2011
Dead Flowers
E giungono quei mattini in cui è evidente che qualche pandemia nevrotica stia dilagando tra i cani e i gatti.
Il tasso di mortalità per disattenzione nell'attraversamento stradale di questi docili mammiferi sta avendo un'impennata impressionante.
In queste giornate in cui ci si sveglia alle 6.00, e ad accoglierti nel rinnovato mondo c'è la nomina di nuovo sottosegretario, il mio pensiero si biforca.
Una metà di esso corre spedita verso il barattolo della marmellata segregato nella credenza; l'altra metà corre attraverso le pianure del Tennessee, superando in un sol colpo le agende, i rasoi, le cravatte, i tuoi sorrisi esteri e gli sguardi languidi. Il portafogli e le assemblee, le decisioni e le dimissioni.
In questi giorni in cui basterebbe soltanto farsi indossare un bicchiere di vino, piace pensare che in fondo, tutto potrebbe essere limitato a far passare un po' di acido muriatico sulla democrazia.
Ad essere ingordi ci accontenteremmo di credere che verrà un giorno in cui i polmoni potranno essere sostituiti come i filtri dell'olio-motore, e che sarà abolito il monopolio di stato sui tabacchi.
Restiamo Umani. Troppo umani.
Take me down little Susie, take me down
I know you think you're the Queen of the Underground
And you can send me dead flowers every morning
Send me dead flower by the mail
Send me dead flowers to my wedding
And I won't forget to put roses on your grave
lunedì 28 febbraio 2011
Deregolamentazioni domestiche
Un mercato efficiente è quello che fa aderire pienamente domanda ed offerta senza distorsioni oligopolistiche, senza regolamentazioni che standardizzano l'offerta di beni e servizi, senza asimmetrie informative e azzardi morali.
Noi, che crediamo che il libero mercato sia uno dei pilastri della dignità umana, riteniamo si debba partire dall'autodeterminazione più elementare.
Indi per cui sono stati introdotti nell'economia domestica: l'oliera a tavola per consentire l'applicazione delle dosi di olio, sale e aceto in base alle preferenze di ciascun commensale; e cancellata, con un emendamento, la norma non scritta che prevedeva un conferimento di zucchero direttamente nella moka, non tenendo conto della domanda di dolcezza di ciascun degustante.