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martedì 9 gennaio 2018

Character

La paura. Ho in mente una sceneggiatura che parli di paura. Quella cosa che ti arresta ogni intento, che ti affanna in pianura, che trasforma la nebbia d'un gennaio umido in un muro senza dimensioni. Ogni punto d'aria sembra uno spigolo pronto a ferirti con urti e lividi senza colpa.

La paura che protegge, coccola, rassicura come una gabbia nella quale sentirsi sovrani.
La paura che ci assilla col suo smisurato vuoto che si fonde nelle ombre di ogni impegno massacrante con cui falcidiamo i nostri giorni senza un forse.

La paura che rafforza l'illusione di un equilibrio ritrovato che è solo un pensiero allontanato nello spazio e nel tempo di un sacco di angosce e promesse infrante a cui non abbiamo imparato a volgere uno sguardo pulito.

La paura di una scelta che irrompe a sciogliere i nodi dai nostri certi ormeggi, al riparo nella risacca della noia, svelando il volto banale e candido dell'inesorabile.

Inizia il nuovo anno con questa straripante voglia. Unico respiro di pace; una pace che sembrava possibile al realizzarsi di piccoli traguardi, e che si infrange non appena ogni méta si nasconde alle spalle della successiva.
E s'allontana.
Come te, che ogni giorno ti mascheri da questa angoscia, e in quella paura ti rifugi, al riparo da ogni possibile gioia.

venerdì 24 novembre 2017

If I rise

Un giorno sono morto e non ricordo nulla. Non ricordo il perchè.

Tra i miei racconti preferiti si narrano gesta infinite che si concludono con morti epiche, che trasformano anime in stelle, storie in racconti eterni, rincorse in inseguimenti che non tramonteranno mai.

Io sono morto quattro giorni fa. Alle 8.15 del mattino è stata constatata l'ora del decesso. Mi piaceva molto Albert Camus. Raccontavo, coglionamente, che l'incidente stradale sarebbe stata la mia principale probabilità di decesso.

Non ricordo come ci sono arrivato, come è successo. Il volto di chi mi ha salvato in quel momento.
Non ricordo il mio volto, non credo di averlo mai visto.

Qualunque alba proietti il giorno nel mondo, quella luce aveva di nuovo il sapore della penna indolente che non s'addormenta sui crinali della noia.
E che persino la mia stessa morte mi è stata trasmessa in replica. Neanche lì ho potuto avvertire il dolore arrampicarsi dalle viscere fino all'attico della coscienza.

Me l'hanno raccontata coloro che l'hanno vissuta al mio posto, che l'hanno sofferta mentre io fingevo di emanciparmi dall'indifferenza interrotta da qualche mal di testa. 
Non l'ho vissuta, come quasi nulla di ciò che segna l'esperienza dell'esistere di una ghianda o di una pigna.

Non vivremo mai, saremo solo racconti traumatici che si perderanno nel tempo.
E allora, torniamo a raccontare questi giorni e le loro menzogne.

sabato 8 luglio 2017

Apocalypse Later

Ho osservato una lumaca strisciare lungo il filo di un rasoio, questo è il mio sogno, è il mio incubo: strisciare, scivolare lungo il filo di un rasoio e sopravvivere.

Non era questo l'attrezzo che avevi sempre desiderato impugnare? Guardalo bene, ha una comoda presa, non indurisce il palmo della mano, ed è leggero, pratico. Impari ad usarlo spontaneamente. Non ti ci devi applicare neanche.

Avanti, coraggio, non essere cauto, afferralo, è scarico. Non ti farà del male.

Sei oltremodo esitante. Avevi perduto ogni speranza di ritrovarlo qui a tua disposizione? Quanto a lungo lo hai cercato... e il solo pensiero di potertene impossessare così semplicemente ti sembra profanare ogni sforzo compiuto invano per poterlo ritrovare con le tue sole forze.
Hai mai pensato al tempo che hai impiegato? Alle rinunce che mentalmente offrivi in pasto alla sorte affinché accorciasse la maturazione della tua conquista. Alle scommesse giocate con la tua anima affinché tu barattassi qualche frammento della tua anima per godere finalmente del tuo desiderio.
E ora quell'inutile commercio, quella frode della tua mente che aggirava il fuoco della tua realtà, evapora lasciando il sale bruciante di una vita non più avvolgibile al suo antico destino.

Persino le consolatorie esperienze sembrano palliativi che crollano al peso dell'inganno. Nessuna esperienza, nessuna crescita. Solo del bianco espanso sui peli della tua barba. Solo una pelle più ruvida e le mani più gonfie. 
Fai la tosse e annoveri dolori sparsi senza origine.
Ti stai estinguendo. Com'è naturale che s'estingue la vita.

Ricorderai a stento quelle mancanze, ti incatenerai presto al pensiero che sarà sfuggito via qualcosa dagli innumerevoli appelli lungo le file umane del rancio.
Hai cominciato a non ascoltare nemmeno il tuo nome.

Un giorno sparirà tutto, e nulla si collocherà al giusto posto. Non avrai alcuna spiegazione al tuo dubbio latente, non incontrerai quei volti che hanno scavato rughe sempre diverse sulla piana dei ricordi.
No ti resteranno altre che le ultime parole che hai saputo raccogliere nell'appendice finale delle tue rubriche umane.

Neanche ora, all'esplosione di questo magnifico nulla.

martedì 28 luglio 2015

Filmaking

Ad un certo punto ci si ritrova a percepirsi di esser soli.

A vedersi, toccarsi (in tutti i sensi) e a riconoscersi soli.

La cosa non è sconosciuta né sgradita,  però è sovente foriera di qualche cazzata, compiuta in nome del senso di onnipotenza che pervade un animo dagli indirizzi sparpagliati.
E quindi, tra tutte  le opzioni esistenziali possibili, la percentuale di cazzate schizza come il valore dell'oro nei mercati ai tempi dello spread a 500.
Quelle inequivocabili gesta insensate, tuttavia, sono reinterpretate dal proprio geniale intuito come una mera seduta psichica tra te stesso ed il dio Onan. Perché a vedersi vivere non è poi tutta questa storiaccia il nostro tempo, nonostante, in fondo, si sia perfettamente consci dell'abisso tra le intenzioni e la reale esecuzione dei propri propositi.
Tradotto: che cazzo ci esci a fare con una se non sei convinto di volerci niente? 

Ma chissenefrega dell'utilità marginale, dopo tutto non abbiamo fatto un mezzo dottorato in economia politica per scoprire che tutto si regge sull'asimmetria informativa? Il guaio è quando il venditore infame lo fai con te stesso, e cerchi di rifilare una sòla all'uomo descritto nel documento che hai in tasca.

L'aggravante di questo pellegrinare vacuo attraverso templi sconsacrati alla ricerca della pentecoste, si verifica quando questa conferma di se stessi,  passa attraverso la mera ed impalpabile (in tutti i sensi), contemplazione delle evidenti prosperositá di costei, così celate nell'abbondante e intrigante superfetazione di vestiti in una notte di quasi estate.

E mentri cerchi di capire inutilmente la consistenza di quelle femminee ghiandole che determinano il nostro inquadramento nella classificazione del Linneo nel regno animale, ti ricordi quelle grandi verità matematiche che hanno popolato la tua gioventù: la possibilità che lei te la sganci è inversamente proporzionale agli ingiustificabili strati di vestimenti che ricoprono le sue agognabili membra.

E mentre con la tal donna ci ragioni anche piacevolmente, e ti lasci anche andare all'indicazione della esatta collocazione nel firmamento di qualche astro, ti rendi conto che la tua vera, unica, auspicabile chimera è allontanata vorticosamente da una disvelata faticosa necessità di conquista lenta e irreversibile che non figurava propriamente nei propositi a breve termine di quella serata.

Mentre il dilemma dell'azione giusta nei modi errati stava cominciando a scavare la sua tana nella mente, la vita con tutta la sua ferocia si abbatte come una scure su quelle nombrilistiche scommesse cerebrali, e ti riporta a più materialistiche considerazioni: t'hanno fregato la macchina, povero idiota.

Insomma, potevano fregarmela in seguito ad esperienze di più notevole importanza? No! Doveva succedere per la più lapalissiana delle inconcludenti cazzate, a sancire il colpo di grazia.

Senza rammentare qui i dettagli che hanno condotto i nostri eroi al miracoloso ritrovamento del mezzo deportato dagli ignoti malfattori, ci si ritroverà una sera a riderne con uno dei tuoi più fidi compari.
Lì ti suggeriscono di buttare giù una storia che dia un senso all'avventura e ad i suoi portati grotteschi.

Mediti dunque che la maniera più bella che un uomo ha di infondere un senso a tali episodi possa essere quello di tentare di elevarli a casi universali, e a berci su un paio di Oban mentre coinvolgi altra gente.

E che nella scrittura di quella sceneggiatura prende forma la ragione di ciò che hai vissuto ed imparato. E quando giungi ad accendere la macchina da presa e a provare un copione con gli attori quel senso si allarga e sconfina. Avvolge tutto.
E scopri cose e persone che meriterebbero da sole, forse, una nuova puntata. Quella del che cosa è successo dopo aver girato un film ispirato ad un'esperienza generata dall'aver tentato una cazzata in seguito ad un dispiacere non propriamente sottile di qualche mesetto fa.

Così come potrebbe finire tutto in una puntata pilota senza seguito. Probabile,  conoscendo la timidezza e il tratto lieve del mio essere al mondo.

Ma sedendo e rimirando oltre la siepe delle proprie barriere, oltre il mondo più disordinato della propria mente, se allarghi la sfera dell'indagine sui possibili futuri, più s'espande l'ombrello convesso delle cause gestanti dei tanti ieri che si incatenano in tanti possibili oggi, e minuscoli domani lontani.
Come in un cerchio fatto di scuse e motivazioni che si rincorrono, e ti chiedono soltanto di non addormentarti come sempre nella contemplazione del tuo masturbante egoismo. Ma che forse vale la pena porgere qualche domanda in più a chi incontri lungo la strada, soprattutto se ritieni le possibili risposte degne di conservarsi tra le cose di cui tener conto nella tua memoria a breve termine.

Ché poi ci son sorrisi ed espressioni di un viso che non avresti ammirato mai se qualche coglione una sera non avesse deciso di asportare il tuo veicolo criminalmente. E quella stupida storia non fosse stata scritta.
Ogni più piccola cosa genera conseguenze per l'eternità, come un'aria di immenso cielo che ritorna anni dopo anni nel sestetto Atlante delle Nuvole.
Dove anche un diverso colore di una tazzina al mattino può rivoluzionare tutto completamente.

martedì 21 luglio 2015

L'uomo e la grotta

Abbiamo studiato, abbiamo viaggiato, abbiamo scritto, abbiamo filmato quello che abbiamo scritto, abbiamo amato, abbiamo detestato, abbiamo rilanciato, abbiamo avuto stenti, abbiamo subito la circoncisione, abbiamo conosciuto il potere, abbiamo persino vissuto, talvolta.

Abbiamo conosciuto luoghi che hanno segnato le nostre coscienze come una macchia di olio motore sui polpastrelli. La vita ci ha teso trappole come il venerabile Jorge arrapato da una commedia.

Sembrava che l'unica mèta geografica raggiungibile sarebbe stata la penisola del prossimo divano, in un salotto adornato di copie false di Munch e incensi all'oppio, con bottiglie di brandy lasciate a metà ad evaporare di inedia, e la collezione di piccoli Trudy a memoria delle tue ex come unici possibili trofei di caccia. 
Una vita avventurosa che ha conosciuto i suoi massimi sforzi solo quando chinata sull'ovale trono, protesa all'espulsione dei sottoprodotti dell'apparato più ginnico del proprio essere.

Ora sono qui, da solo. In un luogo dove la temperatura è costante, ed il tempo è scandito da uno stillicidio lontano su una parete di zolfo. Un tacito sussurro che fende il silenzio assoluto, e l'indifferenza del buio trasforma le palpebre in inutili lembi epidermici. Sento il mio odore, quello della stanchezza che segue allo sforzo di una risalita da un pozzo stretto e profondo una decina di metri. Pochissimi ma infiniti alla prova di chi fino a ieri sembrava non essermi mai mosso.
Il silenzio, il buio, una goccia d'acqua fredda, ed una corda da dieci millimetri impregnata di fango che ti salva la vita.
Quelle rocce sono lì da migliaia di anni, sono crollate quando il fiume si è ritirato in questo letto sotterraneo. E adesso ogni goccia scava queste pareti con la perseveranza dell'eternità. Ho attraversato meandri fangosi e strettoie che avrebbero fatto intimidire una mia sola gamba nei periodi di massima noia.
Sono stato appeso per quasi un'ora nel buio. La mia vita è stata affidata alla tenacia di uno spit infilato nella pietra ad un'altezza che non posso immaginare. Il moschettone ed il nodo che mi reggono sono fuori dalla portata della mia vista. Devo risparmiare il fiato, devo misurare la risposta d'acqua alla mia eterna sete, devo risparmiare le energie dosando con esattezza i movimenti delle mie caviglie e delle mie ginocchia, in un gioco di equilibri in un cappio in cui è infilato il mio piede. Ogni movimento sfasato, ogni scatto di rabbia che mi allontana dalla precisione con cui deve essere dosata la mia azione, mi allontana dalla resurrezione.
Le gambe si indolenziscono alla morsa delle fasce del mio imbrago, troppo a lungo sono state inermi, e bramano la riscoperta della vita per la quale il mio genoma le ha programmate.

Nessuno può tendermi una mano, o aiutarmi a sganciare la morsa bloccante che tiene ferma la corda al mio petto, consentendomi di restare appeso.
Sto usando muscoli che non credevo neanche di possedere, e per la prima volta nella mia vita mi impongo di non tremare, di non irrigidire la mia carne davanti all'ignoto, di non arrendermi e di avere fiducia. Un giorno quella fiducia saprà scorrere limpida e autonoma, dopo che il crollo delle mie paure e resistenze scaverà letti millenari che la raccoglieranno, e quelle gocce sapranno pazientemente zampillare in ogni atto della mia esistenza che sarà generato dal momento esatto in cui potrò consegnarmi al sole o alle stelle.
Perché io dovrò uscire prima che il freddo venga a prendermi. E dovrò uscirne da solo. Entrato per caso, uscirò con la volontà.

Avrò le ginocchia bruciate e le caviglie gonfie, non basteranno due giorni per smettere di dormire, camminerò sulla mia strada come mi avessero montato i piedi per la prima volta, e dopo aver conosciuto il buio, i miei occhi sapranno distinguere meglio i contorni ed i movimenti delle cose del mondo.

E quando guarderò a me stesso saprò che ho fatto parte dei moti millenari che hanno costruito questo universo, ricongiungendomi a quella polvere che ha generato le stelle, i pianeti, le rocce, la mia carne e tutti i miei sogni.

lunedì 6 luglio 2015

Speleo Alcor

Cronache di un week end underground nel vero senso della parola, a Verzino (KR)

I nostri eroi: Grossman, Bart, Alexander, Danny, Bechy, Alcor, Frank, Francys.

I nostri si ritrovano alla stazione di servizio ESSO nei pressi di Chiatona (TA) sulla s.s. 106. Dopo aver fatto colazione, rigorosamente offerta dai ritardatari in base allo statuto “grossiano”, alle ore 9.00 circa, e con un ritardo di circa 1 ora sulla tabella di marcia prestabilita, ci inoltriamo lungo la statale Jonica.

Una prima forzata sosta lungo il tragitto avviene approssimativamente all’altezza di Roseto Capospulico, quando un posto di blocco della Guardia di Finanza, insospettito, ritiene meritevole di approfondimento la vettura del Bart, probabilmente a causa della nota pericolosità degli individui ivi presenti.
Effettuata una seconda pausa caffè subito dopo Sibari, si è approfittato per chiedere ragguagli a gente autoctona a proposito del migliore e sicuro percorso per raggiungere Verzino.
Confidando illuministicamente nella modernità decidiamo di affidare i destini nostri, e delle auto, al navigatore Google del Bart, rassicurati dalla indicazione di un percorso attraverso la rassicurante voce “strada provinciale”.

Intrapresa la via che ci avrebbe condotto a Verzino attraverso Umbriatico, troppo presto ci rendiamo conto del ruolo fallante dei navigatori satellitari, ancora non muniti di intelligenza propria, e cogliamo l’occasione per apprezzare le condizioni infrastrutturali calabresi, discettare di federalismo incompiuto, e constatare l’effetto franoso delle precipitazioni sulla viabilità del luogo. Il pensiero di tutti va alla vettura dell'Alexander, già particolarmente provata dalla precedente esperienza di Muro Lucano, e nuovamente costretta a cimentarsi tra buche, sterrati, cedimenti, e crolli di asfalto.
Infine giungiamo a Verzino intorno alle 13.00 dove ad attenderci vi erano Frank e Francys del locale gruppo speleo. I nostri amici ci conducono alla sede del gruppo dove abbiamo la possibilità di sistemare i nostri averi
.
Alle 14.00 circa perveniamo sul sito di Grave Grubbo e dopo aver proceduto alla vestizione, alle foto di rito, e ad una serie di rituali tipici del luogo (omissis), alle 15.00 circa siamo all’ingresso della grotta che si presenta subito molto caratteristica e scivolosa fin dalle rocce esterne prospicienti l’ingresso. Dopo esserci calati dal pozzo di 6 metri decidiamo di lasciare i nostri imbraghi e di proseguire liberi alla scoperta della grotta messiniana. Questa si esibisce pochissimo concrezionata ma molto spettacolare per le sue volte di gesso lamellate dallo scorrere millenario delle acque. Preziose le indicazioni geologiche fornite dal  Bart circa le origini della grotta e le caratteristiche della stessa, che ci accompagnano lungo il ramo della “Cenerentola” per un breve tratto. Meritevoli di menzione sono alcune curiose formazioni che lasciano liberamente immaginare il desco di un bar con bancone, utilizzate dai nostri per alcune prime dilettevoli fotografie coreografiche.
Successivamente ci imbattiamo in una parete caratterizzata dalla presenza di piccoli sbocchi d’acqua fredda, prontamente utilizzati dal Alcor per placare sul nascere la sua notoria sete. Infine, lungo questo tratto, il Frank ci mostra orgogliosamente la “perla della Calabria”, una concrezione stalagmitica che Dan Brown nel suo Codice Da Vinci avrebbe senza dubbio inserito nella sua ricostruzione fallocentrica della storia umana.

Ritornati alla biforcazione iniziale, ci apprestiamo ad affrontare il fiume, che ci cattura immediatamente con il suo fragore. Ci inoltriamo lungo un percorso di circa 3 km sino al laminatoio,  e man mano che ci addentriamo la presenza dello zolfo diventa sempre più evidente. Lo splendido scenario della grotta è reso ancor più peculiare  dal fiume che mette a dura prova  la capacità degli esploratori di non scivolare sulle rocce madide. Giunti nei pressi di una piscina naturale, alimentata da una piccola cascata, situata poco prima di arrivare al laminatoio, il gruppo fa una sosta per fotografare gli ambienti, ed l'Alcor ne approfitta per testare le potenzialità della sua muta subacquea trascorrendo qualche piacevole minuto in quelle “Chiare et fresche et dolci acque”.
Giunti alla fine del percorso stabilito, i nostri ripercorrono il loro tragitto al contrario per tornare all’uscita, non senza cimentarsi in cadute e scivolamenti per fortuna senza conseguenze.
I nostri escono dalla grotta alle ore 19.20 circa per fare ritorno alle auto.
Lì ad attenderci è un campione di prelibatezze locali gentilmente offerti dagli amici Verzinesi.

In serata, dopo aver provveduto al lavacro delle stanche membra, ci rechiamo a cena in un agriturismo. Il menù prevede pizze ai sapori tipici, orecchiette in bianco al daino nella duplice variante con panna e senza panna, penne al sugo di cinghiale e spezzatino di cinghiale in umido; birra, vino, grappa e digestivi.
Dopo cena, il meritato riposo.

La domenica mattina, dopo aver consumato la colazione con caffè offerto da una gentilissima signora residente nei pressi della sede del gruppo speleo, crostata con marmellata di amarene offerta dalla signorina Danny, e pasticcini offerti dal Frank, ci rechiamo in località Caccuri, dove possiamo apprezzare le proprietà terapeutiche dei fanghi dei laghetti di acqua sulfurea. Appena arrivati i nostri si imbattono in uno strano figuro dalla pelle grigia che a prima vista si palesa come l’apparizione del sacerdote Imothep nel film La Mummia. Sincerati sulla natura umana dell’individuo, e appresa la pratica di infangamento terapeutico, i  nostri decidono di infangarsi completamente a loro volta, fino all’essicazione completa del proprio epidermide, per poi immergersi del tutto nell’acqua purificatrice.
Con l’occasione la Bechy offre gratuitamente al gruppo una lezione di acqua gym che ne esalta le qualità di istruttrice.

In seguito gli speleologi si recano presso una limitrofa sorgente d’acqua sulfurea, a differenza del Grossman e del Alcor che restano presso i laghetti a discutere con una turista calabrese di eclatanti casi di malasanità, e vizi della pubblica amministrazione.
Alle ore 13.00 circa si consuma un piccolo pasto frugale a base di pane, prosciutto crudo calabrese, formaggi e salsiccia piccante, il tutto con del buon vino rosso locale, asprigno ma gradevole.


Giunti alla controra , sopraffatti dal caldo, i nostri, dopo essersi accomiatati dagli splendidi ed ospitali amici Verzinesi, non senza un tocco di malinconia, decidono di fare rientro in patria.

giovedì 16 aprile 2015

Il metalmeccanico neomelodico

Attraversavo una strada che un organo di governo di cui faccio parte ha dichiarato a traffico limitato durante il week end e durante l'estate.

Lo stesso organo di governo di cui faccio parte ha altresì stabilito che durante i giorni feriali il transito veicolare dovrà avvenire a velocità molto bassa per consentire, ad esempio, ai difensori della salute mentale pubblica come me, di litigare serenamente sui social mentre si attraversa la strada in questione, con la dovuta e sacrosanta distrazione da polemica, senza ritrovarsi falciato  via da una golf grigia con assetto ribassato e vetri oscurati.

E dopo essere stato graziato dal fato, mentre uscivo sconfitto dalla sfida immane di far comprendere a un grillino che l'avanzo di amministrazione in un comune non è propriamente un vanto, ho osservato il mio boia mancato al volante del suo veicolo. E l'ho sentito nitido e inconfondibile, così fermamente affogato nell'aria da scoraggiare l'effetto doppler: il neomelodico a palla.

E non ti ho odiato. Ti ho invidiato. Ho invidiato la tua battaglia personale sconosciuta che conduci dentro, perché qualunque sia la tua trincea, figliolo, è splendida. Per te non provo rispetto, provo infinito amore, perché rappresenti la meta ultima di libertà a cui ogni essere umano assennato dovrebbe tendere: il nulla.
Ho visto la tua busta paga da metalmeccanico, leggera e sicura nonostante la fiom, nonostante il jobs act.
Nella tua splendida spaccata automobilistica nel corso, sulle note di Gianni Celeste, ho visto lo stato intermedio che separa l'essere umano mediamente incasinato dal massimo dei possibili stati della libertà: il cane randagio che caca per strada.

domenica 15 giugno 2014

Un etnologo all'Esselunga

In un qualunque supermercato, non-luogo, in Brianza. Reparto cosmetici e affini.

- Sto guardando un attimo... non trovo i preservativi di taglia XL....

- ...

- Ah, mi scusi signora, l'avevo scambiata per la mia compagna.

- ... (più sguardo schifato)

venerdì 21 febbraio 2014

Pensionati

Collega che mi telefoni mentre sono tre ore che ascolto Mentana con l'inquadratura fissa su una porta che non s'apre, con il toto-ministri in loop, e mi rammenti i giorni trascorsi insieme tra zona telecomunicazioni, terminali, prefetture, invio dati, ispezioni, sigarette, trasferte.
Provi una nostalgia che ti ha financo spinto a chiamarmi per ben due volte in tre mesi. Noi che ci si sentiva al ritmo di una cometa di Halley.
Ebbene, non indugiare nella tristezza dell'anzianità che irrompe bruscamente nel quotidiano andare dei tuoi giorni, celando  l'angoscioso approssimarsi della tua fine col più nobile abito del ricordo lieto di una maturità proletaria e consegnata da tempo all'INPS.

Rimembra tosto il nervosismo di quegli uffici, le inefficienze burocratiche, gli stress dei sottoposti inconcludenti, e le ansie di collaboratori poco dediti alla fatica. Ricorda i mal di testa, i colpi di tosse, il desiderio magnetico di riporre il cartellino nel suo tabernacolo naturale.
Ecco, rimembra gli attimi di libertà assaporati fuori dall'ambiente tossico dei nostri uffici, rimembra con concentrazione l'insalubrità di quei giorni.

Rimembra e tira un respiro profondo. Bravo, adesso spingi fuori l'aria inspirata. Sì, è lui. Il rimpianto che se ne va.

domenica 9 febbraio 2014

Il socio ACI

Ci ridi con distacco, ti sembra che quella tessera ACI numero 917655 barra UT non potrà mai entrare nel tuo portadocumenti che tua moglie dimenticherà in preda all'esaurimento e agli psicofarmaci.

Una pittoresca galassia di parodistico stupore.

Poi un giorno ti capita di telefonare ad un meccanico per prenotare una visita medica alla vettura attualmente a disposizione in comodato d'uso gratuito.

- Buongiorno, chiamo per una vettura in gestione della società X, volevo chiederle se siete nelle condizioni di fare il tagliando?

- Sì...

- ... Controllo delle pastiglie dei freni?

- Sì...

- ... Sostituzione di una luce di posizione fulminata?

- Sì...

- ... Cambio di olio e filtri?

- Sì...

- ... Pulizia dei filtri del condizionatore?

- Sì...

- ... Rimozione degli adesivi aziendali dalla carrozzeria?

- Sì...

- Però presumo che essendo un intervento fuori dalla manutenzione ordinaria, la rimozione degli adesivi aziendali presupponga che dobbiate giustificare l'intervento sotto forma diversa, perché molto probabilmente la società di leasing non contempla nelle condizioni contrattuali che si faccia carico delle spese dovute ad un'operazione che attiene un atto compiuto dalla società cliente e non da quella fornitrice che pure è tenuta a garantire la massima efficienza del mezzo fornito...

- Ce-ce-certo... Sì...

- Bene, mi dica quando posso portarle la macchina per la manutenzione.

- La chiamiamo noi.

- Perfetto. Ah! Mi scusi ancora un minuto, ma quando porto la macchina siete in grado di fare gli intervento in poco tempo? Perché altrimenti dovrei farmi accompagnare presso la vostra officina per non restare ad  aspettare a lungo...

Tu Tu Tu Tu Tu Tu Tu Tu Tu Tu Tu 


- Pronto? Pronto? Che strano, deve essere caduta la linea.

E a quel punto rifletti, e comprendi che la tessera ACI si materializza nel tuo portadocumenti nell'esatto momento in cui smetti di avere fiducia negli uomini, e nella loro autonomia di comportamento, e ti senti costretto a raccontare loro i passi da compiere per vivere e operare in nome di un mondo che non te lo mette nel culo, mascherando la mossa con la benda dell'insufficienza di prove, o di una buonafede smorfiosa e bugiarda.

sabato 26 gennaio 2013

2020: crociata nello spazio

La mia crociata contro il "sabato sera" prosegue senza sosta, e se ci fosse una voce narrante senza inflessioni dialettali, la mia vita di queste ore sarebbe un documentario di super quark dal titolo: scoglionamento da week-end.

I colleghi di partito tentano di trascinarmi in una sagace discussione online circa l'utilizzo del noto brand "2020" per caratterizzare la nascita dell'ennesima sottomarca del pd da piazzare elettoralmente in questo roboante 2013.
E dopo qualche minuto la domanda che sorge da parte di qualcuno è la seguente: ma che minchia è 2020?
L'agenda di Lisbona non ha centrato nessun obiettivo, e se il 2020 gregoriano arriverà tra 7 anni, il 2020 europeo non arriverà forse mai.

Il vero problema di questa merda di crisi è che ha limitato il mio  giro d'affari al punto da costringermi a restare ancora ospite ingombrato nella dimora familiare, pur avendo raggiunto l'intollerabile soglia anagrafica della trasmigranza domiciliare, ed il raggiungimento della libertà provvisoria, in luogo dell'attuale libertà vigilata.

E così il documentario prosegue nella narrazione in cui si odono i nervosismi paterni, espressi mediante veementi perplessità sull'esatto punto di cottura delle seppie ripiene con pan grattato e formaggio. Tensioni certamente imputabili all'aver depositato i propri risparmi su un c/c della Monte dei Paschi, e all'aver investito notevoli somme in BOT a 1 anno che non renderanno un cazzo.

Vabbè che c'hai un profilo di rischio pari a quello di un criceto nella gabbia con la giostrina rotta, ma cristo, tutti quei tg1 economia???? Dopo aver udito questa scellerata notizia, ho cominciato a sperare che lo spread torni a salire, finanche ho meditato di votare Tremonti.

A tal proposito, il massimo di campagna elettorale che un consigliere comunale annoiato come me può fare, in questi giorni di porcellum, è spiegare allo zio disinformato la differenza che sussiste tra la scheda bianca, la scheda nulla, la scheda con un enorme fallo tratteggiato in calce, il non voto, il voto a silvio, il voto a monti, il voto al mio partito... va be', due palle.

Intanto, mio fratello palestrato ansima notevolmente e sbuffa rumorosamente per aver appena terminato una sessione di addominali extra che solitamente non pratica nei luoghi domestici.
Credo stia tentando di smaltire la rabbia di una settimana di vacanza in egitto con zoccolona incorporata che rischia di saltare per la sagacia di scegliere una simile meta giusto nel periodo di recrudescenza della primavera araba. Come dargli torto, se ci fosse ancora Mubarak, non avremmo di questi inconvenienti.

La mia ragazza mi mostra felice un importantissimo video circa un centro di recupero per cavalli maltrattati, e intanto odo sollevarsi ancora più nella mia mente l' Aria sulla IV corda di Bach....

... e mi chiedo, in questo disperato sabato dai piedi freddi, da scatolette di tonno e insalata scondita e tozzi di pane integrale, mentre la televisione nel tinello trasmette un vergognosissimo film con massimo boldi nella sua versione per non udenti (nella fattispecie, i miei, che hanno il volume impostato a 250/100), che mi desta furente l'odio verso la cadenza lombardo/veneta (pur avendo la zita lombarda)... e mi chiedo, dunque, come cazzo abbia fatto l'Italia a rendere apprezzabile uno come massimo boldi, e poi... che minchia vuol dire mai "2020"?


domenica 29 luglio 2012

Three Dark Knights

Mentre si recava, come ogni giorno alle ore 15.30, presso il suo tabaccaio di fiducia, l'unico che avesse il self-service sempre funzionante, avvertiva la moneta sparpagliata nella sua tasca, tra le chiavi di casa e l'accendino, zavorrare le sue bermuda tendenti allo scivolamento sotto il culo per via del congruo carico.

Accendeva così la sigaretta antelucana, quando un conoscente gli si accostò.

- Com'è? Hai messo in fuga una banda di scassinatori! 
- Sì.
- Mi hanno detto che stavano tentando di forzare le grate del bar sotto le finestre di casa tua.
- Sì.
- Mi hanno detto che stavi rincasando in tarda notte quando hai notato delle strane ombre nel cortile, che ti sei accostato alla ringhiera e che hai intimato loro di andar via con aria minacciosa.
- Erano molto scaltri, sì, vestiti di nero si confondevano nella notte. Per fortuno ho uno sguardo attento, io.
- Che coraggio! Ma quanti erano?
- Ah... erano in 3...
- Cazzo! Ma ci pensi che se fossero stati armati, avrebbero potuto spararti?
- Eh... ma dovevo intervenire, non potevo lasciarli fare.
- Erano sicuramente mascherati...
- Sì, avevano il passamontagna.
- Ti è andata di culo... di sicuro erano stranieri.
- Slavi, certamente erano slavi, l'ho colto da come scavalcavano la ringhiera.
- Va be', ciao.
 - Ciao.

Le ore che precedettero quell'eroico atto furono trascorse nella rosticceria del centro, dove il segretario della sezione del Partito Comunistra gli offrì due panzerotti fritti, appena emersi dalla friggitrice, con il fumo che gonfiava il ripieno di salsa e mozzarella.
Egli, per sdebitarsi e per agevolare il transito intestinale di entrambi, offrì al compagno generoso un paio di birre vendute a saldo nella vicina sede del Partito Democratico. 
Bevute fresche tra un sigaretta e un discorrere sulle prospettive di rilancio urbanistico.

Tornato abbastanza presto a casa, il nostro eroe decise che dopo la tappa evacuativa in bagno, sarebbe stato meglio adagiarsi sul letto, perché l'indomani mattina avrebbe dovuto svegliarsi presto per preparare il suo consueto viaggio verso il nord italia.

Purtroppo il programma notturno non procedette come da schema. Suo fratello, infatti, ritenne indispensabile persistere con la luce accesa fino alle 2.30 perché non poteva assolutamente sottrarsi dall'intrattenersi in chat con qualcuna delle sue anelanti pie donne. Ed ovviamente non sarebbe stato accettabile per costui vivere dignitosamente il senso più profondo di quelle conversazioni, senza il sottofondo di musica porno-pomiciante da imboscamento maniacale.

Il contesto avverso gli impedì pertanto di crollare nel sonno, allorchè il furbo consanguineo, eseguiti i doveri notturni in omaggio alle sue amanti virtuali, sostituì al delicato sottofondo sonoro di cui sopra, un ronfar beato e appassionato, degno d'un lamento di bue impedito forzosamente dall'accesso alla sua greppia.

Assuefattosi presto a quel tumulto sonoro, ecco affacciarsi meschinamente il più arcigno degli ostacoli frapposti fra la sua persona stanca e l'agognato riposo: una austera e turgida erezione.

Intere settimane di astinenza sia di tipo condiviso che autonomo, si produssero, durante quella notte sfortunata, in una ribellione ormonale a cui la sua attesa paziente non seppe porre risoluzione. Il richiamo testosteronico, al contrario, s'andò via via intensificando, e cominciò a risalire i canali dell'animo per giungere a stringere d'assedio la mente, impegnata  a mantenere a favore dell'insonnia la prerogativa ipotecaria sui desideri notturni.

Il crepuscolo ante r.e.m. formattò i suoi pensieri a guisa di postriboli a cielo aperto, dove volteggianti sagome venivano scolpite da tale improvvisa intemperanza notturna, impresse da rintocchi di metallo regolari ed echeggianti.

Rintocchi che presto calamitarono la  sua attenzione, manifestandosi come urti soffocati su superficie metallica, simile all'opera di un fabbro. Ma alle 3.00 di notte, quale mai potrebbe essere l'opera umana così come percepita? Scavò nella sua mente confusa tra le bramosie disattese e non vi trovò alcuna ragione adeguata a giustificare la persistenza di quei rumori.

Allorchè comprese che qualcosa di oscuro era al lavoro, forse un erede di Efesto, forse uno di quegli spiriti da indigestione di cui sono pieni i racconti dei trisavoli. S'alzò, e scalzo con l'erezione tutt'altro che sopita, si diresse verso la sua finestra e provò a muovere le tapparelle.
Il livello di ansia irrobustiva l'intensità di quei rumori che sembravano adesso riempire lo spazio della sua stanza, e quasi rimbombare per tutta la casa. 
Possibile che questi suoni colpissero solo le sue orecchie e non anche quelle del fratello russante, o dei vicini chiacchieroni, o delle gatte in calore che colonizzavano il quartiere?

Possibile che la notte non riuscisse a produrre adeguati anticorpi naturali a quel dirompente agente esterno che stravolgeva il copione di una agitata notte di inizio estate?

S'alzò nuovamente nell'oscurità, e prestando attenzione a non urtare con gli alluci contro i muri, e a tenere largo il pigiama inferiore per mascherare l'origine dei suoi turbamenti, si diresse verso la seconda fonte di ronfamento della casa: la camera di suo padre.

- Papà!
- Eh! Che c'è? Che vuoi? - rispose allarmato
- Sento degli strani rumori metallici provenire dal cortile, vieni a sentirli anche tu.

Entrambi scalzi e ansiosi si diressero verso il finestrone che s'affacciava sul cortile malefico dove gli spiriti maligni stavano presumibilmente gozzovigliando. I rumori s'erano fatti più tenui e attenti, ma evidentemente esistevano anche al di fuori del suo cervello pervaso da "istinti tipo Natural Geographic, dvd n.5 - l'accoppiamento all'epoca dell'homo erectus".

Suo padre indugiò con la mano sulla maniglia della finestra, mentre lui gli era accanto, contento di aver constatato di avere ancora un barlume di lucidità. 
Il padre avvertì un rumore brusco di urto metallico. Decise. Aprì la finestra.

I due s'affacciarono sul cortile e la notte apparve loro pulita e disabitata.
D'un tratto, ai loro sguardi annebbiati,  si materializzò innanzi una scala, appoggiata alla parete del cortile. I due s'affacciarono meglio e a pochi passi da loro individuarno le sagome dei cattivi.

- Ehi! Disgraziato! - Urlò suo padre alla vista di quei manigoldi. E tre snelli esemplari di scassinatori di serie B in tuta metalmeccanica, passamontagna, dotati di picconi, tenaglie, e piede di porco, balzarono spaventati alla vista dei due nottambuli. 
Stavano tentando di divellere, in maniera molto discreta e con la delicatezza di una  ferramenta in fase di crollo, le grate delle prese d'aria dei cessi del bar sottostante la finestra da cui i buoni li avevano colti in flagranza.

A due metri di distanza, si fronteggiavano il bene e il male.

- Noi ce ne andiamo. Ma voi non chiamate nessuno. Non sono affari vostri. - Esclamò il leader degli "Ocean's three" degli sfigati, esprimendosi con un perfetto accento estremamente locale.

- Be', dai, andatevene, ché vi abbiamo riconosciuto. - Bleffarono astutamente i due paladini della giustizia in pigiama, in quanto l'unica cosa riuscita a quei tre deficienti era giustappunto il travestimento da palombari del deserto di ghiaccio venusiano.

- Anche noi vi abbiamo riconosciuto. Non chiamate nessuno. - Rispose il capo spedizione con aria di minaccia molto più  concreta. 
Mentre i tre scavalcavano il muro e la ringhiera del cortile per darsi alla fuga, rinuciando al loro ingente bottino costituito dall'incasso giornaliero di una macchinetta videopoker, la cassetta dei gettoni per il biliardo, e un paio di flipper, le menti dei due paladini della giustizia si rivolsero ai pneumatici delle loro rispettive autovetture, o alle fiancate delle stesse.
E nello sguardo del padre che incrociava simultaneamente quello del figlio si sarebbero potute leggere queste parole:

- La mia macchina è al sicuro in garage. La tua no. Tié.

Ma affinché un tentativo di violazione della legge di quella gravità fosse punito fino in fondo, era necessario agire anche attraverso la leva pedagogica e redentrice. Conscio di questo, il padre si rivolse nuovamente allo sconfitto leader dei tre ladri fuggiaschi:

- Ehi tu! 
- Che c'è?
- Quella scala è vostra?
- Ah, sì!
- Toglietela da lì, portatevela via, ché dà fastidio.

Ed ulteriormente umiliato nella sua professionalità da scassinatore, il leader del gruppo tornò sui suoi passi per riprendersi la scala che stava dimenticando sul luogo del delitto.

- L'ordine prima di tutto. - Disse il padre al figlio, mentre spiegava l'accaduto al resto della famiglia destato dal vociare inconsueto, e prima di allertare le forze dell'ordine.
Intanto, l'insonne figlio provò a ri-adagiarsi sul suo letto. Ma comprese immediatamente che avrebbe dovuto porre rimedio alle sue turbe ormonali che gli impedivano un riposo ancor più meritato dopo il suo gesto eroico. 
Si recò in bagno, e s'abbassò i boxer affrontando direttamente il suo detrattore del sonno, ancora in ottima e vispa forma. 
Pensò che grazie a quell'erezione invincibile, quella notte, un crimine non ebbe modo di compiersi.
Trionfante d'orgoglio, prese piena coscienza della portata dell'evento, masturbandosi nell'accesa libido amplificata dall'autoesaltazione eroica.

Finalmente l'ormone s'acquietò. 
E tutti e tre gli eroi trovarono pace in quella notte in cui i criminali avrebbero dovuto temere più d'ogni vigilanza notturna, più di una ronda leghista della brianza, più di robocop, la benigna minaccia di un cavaliere oscuro, sempre vigile e attento nei boxer di un insonne.

L'indomani mattina il proprietario fortunato del bar era nel cortile a raccogliere le testimonianze dei testimoni oculari. 

- Grazie - disse il barista ai due giustizieri della notte.
- Grazie al "cazzo" - rispose il figlio, che cominciò a fantasticare in che maniera la leggenda si sarebbe diffusa tra le chiacchiere della città.

domenica 15 luglio 2012

Explosion in the sky

C'era uno strato di carne molto spesso che aderiva alle pareti interne dell'uovo che mi ha conservato. Non riuscivo ad assorbire i rumori esterni, e così ho cominciato a coltivare una lingua propria per far vivere nella mia mente gli oggetti che percepivo. 

Ricerca assillante di un guizzo sconosciuto a cui prestare un nome per poche ore. Il tempo necessario a perforare l'indolente membrana che atterrisce gli stimoli di polpastrelli feriti, che scappano inseguiti dai feroci bombardamenti dei secondini contaminati.

Gli impulsi si celavano tra i codici delle conversazioni intercorse con la maschera bianca, durante le vane attese di un senso che potesse germogliare inseguito dall'alba, alle 4.15 del mattino.
Molto poco saggia fu la scelta di andare senza portare con sè le provviste della memoria e una traccia del proprio tragitto, che potessero almeno sottoporre all'attenzione del sonno una meta da raggiungere a colpi di rinculi di cannoni, ruggenti nell'opposto senso avverso gli avamposti di unua stonata sopportazione silente.

Questa pozza nel terreno non mi è nuova. Ci ho pisciato dentro innumerevoli volte. Mentre attendevo l'esplosione del cielo, e i nani bianchi schiudersi in una pioggia di biglietti di benvenuto nel creato, dove apporre una firma elettronica in calce al decalogo delle spiegazioni esemplificatrici di tutta quella massa condensata nel tuorlo delle vocazioni condensate.

E non ci sarà bisogno di nessuna casa, perché torneremo ad ascoltare del blues, fottendocene del colore delle nostre scarpe, dell'accento dei nostri liquori, dei vessilli rappresentativi di ordini imperfetti e dei metri che avranno raggiunto le nostre barbe.
Cadranno gocce di sudore nelle vaschette di questa colla che tiene elasticamente aggregati gli umani.

Vado a farmi una passeggiata tra i corridoi del bosone di Higgs. Porto con me una penna per prendere nota, e un gesso per disegnare sui muri della materia oscura, versi cianotici inneggianti decapitazioni di dei strafottenti.

- Che ti prende, Alcor?

- "Alcor", hai detto?

- Sì. Che magnifici suoni, ricordi?

- Di fogli nel temporale, di lettere nella tempesta, di marmellate scadute sganciate dal cielo per ingannarci.

giovedì 8 settembre 2011

Two seconds, XL*


Alcor non trascorreva le vacanze solo con la propria ragazza da poco meno di 29 anni. E la cosa  deve aver avuto un effetto positivo sul suo organismo, perché, nonostante la pressoché invariata determinazione nel non praticare alcun atto finalizzato all'estinzione dell'adipe in eccesso, i suoi alunni l'han ritrovato più in forma e più giovanile (mah!).

Discrezione e buone prassi sulla tenuta della diplomazia familiare, quando vi è una particolare dedizione alla lettura, consiglierebbero di omettere dalla cronaca la pedissequa narrazione della vita di coppia vacanziera, nei suoi aspetti più intimi e appassionanti.

Ergo, escludendo dalla celebrazione di quei venti giorni, tali estasiatici dettagli....

... ... ...

...Racconto completato.






* il titolo del post non allude ai tempi di reazione di Alcor nei riguardi della massima espressione di bellezza in circolazione nel sistema solare, bensì ad un particolare equipaggiamento da campeggio.

martedì 6 settembre 2011

Spread


In questi giorni tutti gli investitoi fuggono come la peste dai listini europei, alla ricerca di rifugi sicuri.



Questa mattina la Banca Centrale Svizzera ha deciso di bloccare il cambio con l'euro, fissando un tetto massimo per limitare l'apprezzamento della valuta elvetica.



Risultato di tutto questo, tutti si rifugiano nell'oro: 1.920 dollari l'oncia e a 1.362 euro l'oncia.



Cala persino il Brent, presumibilmente a causa del crollo dei consumi.



In ogni caso mi torna in mente quella cazzona che mi restituì gli aurei regali da me evasi in suo favore, e le dico: grazie.

domenica 4 settembre 2011

La vita interiore


- Ma lei è un giocatore di rugby?

- No, pratico attività più tranquille, come la briscola.

- Fuma?

- Sì, ho un'insana propensione al carsismo polmonare.

- Diamo una controllata alla prostata?

- No! Sono diventato obiettore di coscienza pur di non far visitare la mia prostata! La prego...

- Ma giunti alla sua età un controllo sarebbe opportuno, suvvia, non faccia il bambino, si volti.

- Le ho detto di no! E comunque sono ancora giovane per badare alla mia prostata!

- Lei "giovane"? Ma sta scherzando, vero?

- Perchè?

- Lei crede davvero di essere ancora giovane?

- Ma... è scritto qui, legga, sui miei documenti.

- Quali documenti?

- Ecco, questi... ma.... che cosa è successo alla mia immagine?

- Che cos'ha la sua foto?

- Sembra essersi ingiallita, all'improvviso, e il mio nome è sbiadito, la mia altezza dimezzata, che scherzi sono questi?

- Tenga, si guardi allo specchio.

- Ma, chi è questo vecchio canuto?

- Come chi è? È lei, non si riconosce?

- Ma non  posso essere io! Avevo il viso tondo e i capelli neri quando sono venuto qui.

- Quanto tempo crede che sia trascorso da quel momento?

- Come sarebbe, quanto tempo... Un'ora al massimo...

- Un'ora al massimo, dice? Lei ci sta lasciando lentamente, figliolo. Su, si giri, dobbiamo controllare la prostata, è necessario.

- Ma vuole darmi una spiagazione? Che cosa c'era in quel bicchiere che mi ha offerto?

- Dei drenanti naturali.

- E cosa significa tutto questo? Perché sento le gambe cedenti e un forte mal di schiena?

- Che lei deve svegliarsi, giovanotto. Che lei deve necessariamente svegliarsi  e andarsene da qui.




Le scelte sono gli angoli in cui si depositano le scorie della solitudine in cui è confinato ogni uomo. Ai bordi del pavimento, lungo i muri delle stanze, basta una passata di un panno umido per ristabile una parvenza di chiarezza. Agli angoli, invece, resta sempre qualcosa che si deposita col tempo. Lì, dove i contorni si fanno irregolari, dove è obbligatorio svoltare per non andare a sbattere contro un percorso nottambulo, e dove fa più male se ci si rovina contro.

Dopo aver fatto i gargarismi col suo colluttorio rosso, e avendo avuto cura di riporre il suo deodorante ascellare nel bagaglio, andò incontro a suo padre che lo aspettava battendo la pianta del piede.

Allargò il nodo della cravatta per non lasciare che l'ansia lo strozzasse. Qualche felpa per la sera l'aveva portata con sè. Doveva ancora interpretare gli adattamenti del suo corpo ad un clima diverso a quello a cui era abituato. Ogni tanto si schiariva la voce con un grugnito silenzioso per modulare meglio le sue parole. Aveva capito che plasmando bene le parole avrebbe potuto rendere meno infettivo il suo accento marcatamente distintivo.

Durante il volo provava a intavolare discorsi con se stesso per saggiare i suoi progressi nel tenere  a freno le mani, per controllare meglio gli effetti dell'ansia.
Che avrebbe avuto a disposizione poche altre occasioni lo sapeva bene. Non si è giovani per sempre. E la resa dei conti inesorabilmente è depositata sempre là, all'angolo della stanza.

Avrebbe sciorinato ancora una volta il novero delle sue esperienze. Una ad una, come un susseguirsi di stazioni deraglianti che non avrebbero mai conosciuto un approdo. Avrebbe provato ad offrire alla commissione una rilettura di quegli eventi che fosse meno ufficiale. Avrebbe tracciato il filo conduttore di quella rincorsa alla normalità affrontata con tanto coraggio ma con pochi apprezzabili impronte nel corso evolutivo della specie umana.

Giunto a destinazione lei lo venne a prendere, e lo abbracciò. Per un attimo ebbe il sospetto che vi fosse una larga pozzanghera che separasse la realtà monolitica e immutabile dall'idea che costei in quel momento stava stringendo tra le sue braccia piene di ardore.

Ogni minuto che da allora trascorse assomigliava al campanello del giudice istruttore che freddamente enucleava le ragioni di una speranza malriposta.

(I vincenti li riconosci subito, riconosci i vincenti e i brocchi. Chi avrebbe puntato su di te? Io avrei puntato tutto su di te, Noodles. E avresti perso.)

Lei le offrì una granita all'anice, preparata come solo sua madre sapeva fare. Era diventata consuetudine da un po' di anni. Egli guardava il suo bicchiere di granita nel quale giaceva l'ultimo sorso. Pensò che non aveva sempre bevuto granite. Che per larga parte della sua vita le granite erano fluite in maniera indifferente senza che gli venisse mai venuta voglia di berne un bicchiere. Tanti anni erano trascorsi senza che le granite fossero mai esistite.

Un giorno, invece, s'accorse che faceva caldo e che non aveva fame, e che una granita gli sarebbe bastata per restare in compagnia di persone a cui avrebbe poi voluto bene.

Pensò che questa volta non sarebbe stato necessario avvisare a casa che il viaggio era andato bene.

Per anni gli avevano insegnato ad aspettare, a rinunciare, a restringere il ventaglio delle scelte. Si presentava al mondo dei vivi ricolmo di un amore che recava in dote miriadi di capitoli incompiuti. Storie affogate nel cesso al primo apostrofo erroneamente collocato.
Come quelle vecchie macchine da scrivere che andavano con i nastri di inchiestro nero. Bastava un dito un po' più disconnesso a rendere inaccettabili discorsi interminabili.

Infilò il suo pigiama invernale, e respirò a fondo il calore che da quell'abbraccio ancora s'infondeva. Una lacrima si addensò alla cornice del suo occhio sinistro, come un vetro rotto da cui penetrava la pioggia.
Sentiva il peso di tutta quell'inadeguatezza a cui aveva lasciato ampi metri di vantaggio, e che proseguiva lenta, lentissima, e lo precedeva nella risoluzione dei suoi algoritmi quotidiani.
Anche con il passo di Achille non l'avrebbe mai raggiunta, perchè essa conservava sempre una precedenza assoluta che le proporzioni dello spazio tempo avrebbero reso incolmabile.
Si nasce tartaruga, o si nasce Achille.
Si nasce compiuti, o si nasce appena.

Sul giornale dell'altro ieri vi era la consacrazione dell'incompiutezza come stagno nel quale la forza creatrice del linguaggio si edulcorava di arazzi pregiati nei riguardi di una cenciosa e scontata banalità a tratti quasi ripugnante.
L'irrequietezza è l'impeto ventoso che schiaffeggia l'insenatura al riparo del mare. Una conca aperta da cui la vita avrebbe lanciato affondi che un lago cheto e descrivibile non avrebbe mai appreso nelle sue computabili rive.
Una forma estrema di annegamento che ha come contorno incompleto la colpa, e come sbocco inevitabile la distruzione di ogni cosa.

Sentiva tutto il peso dell'umidità di un cielo in cui la sera non si rintracciano stelle.

A lei dedicò quei pensieri che si rivelarono gli ultimi. Pensieri che non sarebbe stato capace di replicare su carta per non lasciarsene privo. Ché scrivere è un impoverirsi senza ricevuta fiscale.
L'arte, un condono sull'inconcludenza.

E la smise all'improvviso, calpestato tra i binari di una metropolitana.


 

mercoledì 20 luglio 2011

Gates


"Desiderava fare qualcosa che non lasciasse la possibilità di ritorno. Desiderava distruggere brutalmente tutto il passato dei suoi ultimi anni.
Era la vertigine.
L'ottenebrante, irresistibile desiderio di cadere.
La vertigine potremmo anche chiamarla ebbrezza della debolezza. Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle, ci si vuole abbandonare ad essa. Ci si ubriaca della propria debolezza, si vuole essere ancor più deboli, si vuole cade in mezzo alla strada, davanti a tutti, si vuole stare in basso, ancora più in basso."



La regina di Itaca doveva possedere una tenacia fuori dal comune. Ella tesseva e sdruciva il medesimo ricamo ogni notte, e nel continuo ritorno del suo ago lungo l'esperito tragitto del suo filo guidato da mani sicure, rafforzava il senso della sua attesa. Traeva da essa la forma che sostanziava il suo tempo, nell'affidamento certo di tutte le grazie ad un moto che si ricaricava di ferme convinzioni ad ogni punto di ripresa.

Riempì la sua borsa all'ultimo momento, mentre aspettava l'autobus sotto casa i suoi piedi disegnavano cinconferenze sghembe sul terreno appena madido della prima pioggia d'estate. Il terriccio sotto i faggi conservava l'impronta della punta delle sue scarpe. L'attesa le rielencava il contenuto del suo bagaglio leggero che non le lasciava alcuna striscia di fatica sul palmo delle sue piccole mani chiare.

Portava con sé un cappello dalla frangia larga. Tutti gli oggetti essenziali che le avrebbero consentito di rilanciare al tavolo della vita li aveva lasciati a casa. La sua biancheria intima era perfettamente accatastata per riempire borse che sarebbero rimaste lì, aperte e mai riempite.

Aveva portato con sé un accendino, nonostante non fumasse regolarmente. L'aveva trovato qualche giorno prima in cucina. Un suo amico l'aveva lasciato lì dopo aver acceso una sigaretta a cena, non  prestando alcun ascolto alla sua richiesta di non fumare in casa.
Anche G. perdeva spesso l'accendino, e lei pensò che gli sarebbe stato utile quando sarebbe successo, e lui le avrebbe offerto da fumare. Pensava che G. avrebbe acceso la sua prima sigaretta dopo averla salutata e baciata, non prima.

Aveva lasciato a casa anche l'ultimo paio di scarpe di tela bianca che aveva comprato, semplici e comode, per preservare le sue caviglie dalle lunghe passeggiate. Si giustificava adesso raccontandosi che avrebbe passeggiato scalza.

Con larghissimo anticipo spense il suo cellulare, si sedette sul margine di una vetrina su cui campeggiava enorme la scritta SALDI, e poggiò il suo viso tra le mani a coppa.
Si accorse che tendeva inconsciamente ad allungare la gonna verso il ginocchio, come a scacciare via la sensazione di sentirsi nuda, di sentirsi spiata. Da qualche tempo le sembrava che anche gli sguardi più distratti riuscissero a pungerla oltre le vesti e la carne, che la sua vita fosse divenuto uno spettacolo gratuito da serata estiva al parco.

Su ciascun volto coglieva un'espressione riprovevole che testimoniava la partecipazione dell'intera platea umana alle conversazioni che intavolava con se stessa. Corti improvvisate che sentenziavano in pochi secondi la loro versione circa le sue conversioni.

Il monitor del gate annunciava l'avvio delle fasi di imbarco. Era certa che dall'altra  parte della rotta aerea ci fosse G., ansioso, che contava i minuti disegnando circonferenze sghembe. Le venne un sorriso denso d'affetto e si sentì all'improvviso colta da un senso di leggerezza. Si sentì sollevare, accompagnata da una stretta di mano in mezzo a tutta quella gente.

S'alzò, e vide che la confusione si stava organizzando in code. Afferrò la sua borsa e, inaspettatamente, inciampò.
Si scoprì che inciampava nei viottoli della leggerezza.

Ferma. Si ravvivò il rossetto sulle labbra e si passò una mano tra i capelli. Voleva sentirsi bella, e il suo specchio era la vetrina in rifacimento che campeggiava davanti a lei. Passi di ogni genere attraversavano il suo riflesso rivelandole tutto il suo immobilismo.
Si scoprì forse ancorata al suolo, mentre la coda di gente si rinforzava.

Stava per cadere, e avvertì il brusco risveglio. Riprese il rossetto dalla borsa e cominciò a passarlo più volte sulle sue labbra, voleva essere certa che la sua bocca esistesse ancora, e non le fosse strata strappata via all'urto con qualche vitrea parete di cui non avesse percepito la presenza. Non riusciva a distinguerla bene, la sua bocca, nella distanza di tre metri dalla vetrina nella quale si vedeva riflettere, e che veniva attraversata da viaggiatori di corsa.
La fase di imbarco stava per concludersi, lei nella coda non si era ancora inserita.

Un distinto signore di cinquant'anni le passo accanto e le sorrise. Le aveva camminato lentamente intorno senza che lei se ne accorgesse per diversi minuti. Finché si fermò e le chiese se avesse tempo per un caffè, e se per caso la fortuna li avesse condotti sullo stesso volo.
Lei non rispose, ed egli provò ad insistere con atteggiamenti languidi. S'accorse che lo sguardo  del cinquantenne s'ammantava di un'aria volgare ed era concentrato verso il suo culo con cui sembrava volesse toccarla e afferrarla brutalmente.
Lei strinse le braccia intorno al corpo, come se volesse proteggersi da quello sguardo che potesse accorfersi della sua nudità. E non disse nulla.

Il distinto signore, stizzito, mordicchiò un insulto con una smorfia che sembrava scacciarla via dal gioco normale degli esseri umani, dai loro mescolamenti superficiali e codificati dalle leggi dell'effimero che inflaziona l'appagamento per annullare la fame.

Un brivido la percorse, e si sentì smarrita. Come se avesse subìto un tentativo di scippo all'uscita del carcere.
Prendere quell'areo sarebbe stata una scelta in cui avrebbe dovuto risarcire la leggerezza con responsabilità.
Tutti gli sguardi si trasformavano in mani seduttive che provavano ad afferrarla, spogliandola dal peso della scelta, dissipando in una polvere di infinite
stazioni appaltanti la gestione degli spazi della sua felicità, fonti straniere al suo autonomo  discernimento.
La convinzione che il governo di quegli spazi potesse tornare completamente nelle sue mani, e nella sua volontà, ora sembrava spiazzarla e la atterriva, provocandole un senso di nausea.

Al contrario, conosceva le pareti della sua stanza senza doverle cercare con gli occhi. Quella leggerezza sembrava ora soffocarla, si sentiva lanciata ad alture con parole di scarsa densità materiale sulle quali avrebbe dovuto poggiarsi senza badare alla possibilità di cadere.
Quel valore richiedeva una fede sterminata dal sapore nuovo, differente dai pasti di cui s'era nutrita fino ad allora.
L'abitudine induce una mano a scorrere lungo un telaio e ricamare trainata da gesti sicuri e consolidati.  Le uscite di sicurezza le riconosceva camminando a gattoni in caso di incendio, segni distinguibili sono tracciati su ogni terreno.



dimmi, senza un programma, dimmi come ci si sente



L'ultima chiamata delle assistenti, e la fretta dei ritardatari che la evitavano senza guardarle il culo.
Prese il rossetto dalla sua borsa e lo lasciò scorrere ancora una volta lungo le sue labbra. Si scompigliò i capelli e riaccese il suo telefono.
Cercò il numero di un vecchio amico di scuola.

- Vieni. Riportami a casa.

 



dove un attimo vale un altro

domenica 3 luglio 2011

Il Pitone


Domani è già qui, lo sento. Scorre dappertutto e mi si pone accanto, come un pitone.

- Dottore, il pitone è tanto caro. Lo faccio dormire accanto a me, mi vuol bene. Deve sapere che prima riposava nella piazza accanto alla mia, racchiuso nelle sue spire, timidamente. Adesso è da qualche tempo che il pitone è disteso in lungo, come se volesse guardarmi diritto negli occhi, mentre dormo.

- Le ha dato un nome al suo pitone?

- L'ho chiamato Vita.

- Se ne liberi immediatamente, lo liberi.

- Perchè?

- Le sta prendendo le misure.


Io te lo dissi, cara, di non prestare ascolto a quello che scrivo durante le mie incursioni sul lato oscuro della Luna. Perché lì avrei scaricato il male per vivere il meglio. Ma tu non mi hai ascoltato, ed hai preteso di mescolarti al mio male ancestrale, di sentire nei guizzi dei  giorni inquieti le tue impronte.
Non esistono persone sicure in questo mondo. Solo armonie di debolezze. E quanto viene spacciato per sicurezza posticcia, nelle migliori delle condizioni, è soltanto un'adeguata cognizione dei limiti.

Un abbozzo della propria immagine riflessa in HD nell'autoconvicimento al plasma.

E alla luce risalirà una galleggiante risata.

Finisce tutto in una risata non propriamente amara. In tutto questo si traduce, probabilmente, il lato oscuro di chi sembra risolutamente condannato ad arrivare secondo e sconfitto. A rasentare il trionfo e a vederlo consegnare ad altri più predestinatamene meritevoli, senza invidia alcuna.

I giorni scarabocchiati da un cieco veggente, possono riservare pagine intere a nuove metafore.

Così ridendo, ti passerò accanto come alito di vento che soffia soltanto affinché si possa lambire il tuo volto. Scavando basse pressioni nel cielo per passarti accanto senza disturbare, quasi chiedendo scusa di quel passaggio. Perché non vuole che
questo traguardo sia consegnato in altrui bramose fortune.
E se la riconoscerai, questa brezza, potresti anche coglierne dentro la lieta melodia di chi non è abituato alla felicità, ma solo a fotocopie sbiadite di romanzi d'annata. Ottime annate a bianco e nero.

Se mi riconoscerai, questo domani non avrà le ore contate. C'è una venticinquesima ora in fondo ad ogni giorno, un'ora non scritta dai mistici delle narrazioni figlie delle medesime promesse di ieri.



 

sabato 7 maggio 2011

Dead Flowers


E giungono quei mattini in cui è evidente che qualche pandemia nevrotica stia dilagando tra i cani e i gatti.



Il tasso di mortalità per disattenzione nell'attraversamento stradale di questi docili mammiferi sta avendo un'impennata impressionante.



 



In queste giornate in cui ci si sveglia alle 6.00, e ad accoglierti nel  rinnovato mondo c'è la nomina di nuovo sottosegretario, il mio pensiero si biforca.
Una metà di esso corre spedita verso il barattolo della marmellata segregato nella credenza; l'altra metà corre attraverso le pianure del Tennessee, superando in un sol colpo le agende, i rasoi, le cravatte, i tuoi sorrisi esteri e gli sguardi languidi. Il portafogli e le assemblee, le decisioni e le dimissioni.



In questi giorni in cui basterebbe soltanto farsi indossare un bicchiere di vino, piace pensare che in fondo, tutto potrebbe essere limitato a far passare un po' di acido muriatico sulla democrazia.

Ad essere ingordi ci accontenteremmo di credere che verrà un giorno in cui i polmoni potranno essere sostituiti come i filtri dell'olio-motore, e che sarà abolito il monopolio di stato sui tabacchi.

Restiamo Umani. Troppo umani.



Take me down little Susie, take me down
I know you think you're the Queen of the Underground
And you can send me dead flowers every morning
Send me dead flower by the mail
Send me dead flowers to my wedding
And I won't forget to put roses on your grave

lunedì 28 febbraio 2011

Deregolamentazioni domestiche


Un mercato efficiente è quello che fa aderire pienamente domanda ed offerta senza distorsioni oligopolistiche, senza regolamentazioni che standardizzano l'offerta di beni e servizi, senza asimmetrie informative e azzardi morali.



Noi, che crediamo che il libero mercato sia uno dei pilastri della dignità umana, riteniamo si debba partire dall'autodeterminazione più  elementare.



Indi per cui sono stati introdotti nell'economia domestica: l'oliera a tavola per consentire l'applicazione delle dosi di olio, sale e aceto in base alle preferenze di ciascun commensale; e cancellata, con un emendamento, la norma non scritta che prevedeva un conferimento di zucchero direttamente nella moka, non tenendo conto della domanda di dolcezza di ciascun degustante.