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giovedì 16 dicembre 2010

Homini lupus


Ebbene, non gli serviva a niente fingere: non era affatto contento dell'esistenza di altri esseri umani. Non gli si  farciva l'esistenza di variegate distrazioni, non gli si coloravano le giornate, non aveva dismesso i panni lerci dell'insonne.



A dire il vero, a volte avvertiva una temporaneamente magnetica attenzione verso categorie circoscritte di popolo: elettori afferenti alla sua medesima circoscrizione elettorale in pieno godimento dei propri diritti politici, consumatori, clienti, puttane... persone a progetto.

Qualche conto, tuttavia, non tornava. Perché nonostante non facesse alcuno sforzo per variare  il gradiente di apprezzamento attivo e passivo tra lui e gli altri, gli capitava sovente di finire sul cazzo agli altri senza alcuna ragione.

Ma ciò che più lo turbava era di non riuscire a farsi odiare quando vi si adoperava scientemente: perché non riuscivano a capirlo.

E non vi è più profonda cesura con il convinto presiedere se stessi nel mondo dello sprecare il proprio odio verso chi non sa apprezzarlo.

martedì 7 settembre 2010

Eventi di vita







Alcor, sappi che se andrà male stavolta non sarà colpa tua.

Ma di una bagascia cazzona travestita da psicologa che aveva l'ardire di voler giocare con il tuo animo, la tua fame, e l'adrenalina che ti ballava nell'antro intestinale.

giovedì 5 agosto 2010

Identikit

Giunti alla soglia dei 28 anni, e cominciando a maturare l'ipotesi di ri-fidanzarsi in vista delle elezioni amministrative dei prossimi 2 anni... occorre fare alcune valutazioni.

Provando a varare una stima, incrociando le variabili più o meno comunemente presenti nelle donne fin qui incrociate durante rapporti, avventure, incidenti, consulenze, corrispondenze, maldicenze, e ovviamente miserrimi fallimenti, il ritratto che viene fuori è codesto:

bionda (anche se in linea teorica preferisco le more);

occhi chiari e cristallini;

maggiore o uguale ai miei cm 180;

3° o 4° di reggiseno;

più grande di me;

studentessa fuori corso in preda alle crisi di identità curriculare;

una storia del cazzo appena conclusa che inevitabilmente prolungherà i suoi effetti nell'occasionale presente nel quale casualmente ci sono io a pagare il fio di vergogne che ignoro;

un rapporto di invidia, sudditanza, e viscerale verso la propria madre, che spesso ha la sua stessa voce e finisce per innamorarsi di me più della figlia;

spesso vittima dei flauti magici e ammaliatori della sinistra estrema, e in ogni caso, fortemente critica verso il Partito Democratico;

ex-grafomane decaduta nella palude cerebro-distruttiva di facebook;

come me, apparentemente sbucata da un film di Black Edwards;

in un modo, o nell'altro, la Francia c'entra qualcosa;

insicura, bugiarda,  fragile, affetta da ogni genere di psicosi e pronta alla denuncia di stalking se le sbadigli in faccia per puro caso;

avida di succhiare consigli per sanare il debito pubblico di certezze nei riguardi del mondo fuori;

"Ok, Alcor, vediamoci. Ma sappi che c'è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo."
Qualcosa di talmente profondo che non si capisce di che cazzo si tratta;

"Alcor, tu sei la persona che più... che più ... che io abbia mai... però..."
Basta così! Ho capito. Ecco, caro destino o caro "momento sbagliato", questo è il mio ano: accomodati;

afflitta da cicli mestruali modello Katrina 2005, turbodiesel JTD;

mancina;

suona la chitarra, o ci ha provato senza successo;

amante delle sfumature della vita, ma poco incline ad accettarne gli effetti senza il pratico manuale della disperazione a portata di mano;

ride delle più indicibili cazzate;

non regge l'alcol, e crede di essere Eva Kant con una Corona Extra in mano;

ha minimo il poster di Caro Diario appeso in camera. Ed è, ovviamente, fatta male.



Una gran troia nel senso Kill Bill del termine.





venerdì 22 gennaio 2010

venerdì 27 novembre 2009

Il problema è l'essere animali sociali

Provare a vincere ad ogni costo rinnegando ogni qualsiasi pegno alla coerenza, oppure essere pienamente convinti che metodo e sostanza siano monoliti intoccabili, binomi indissolubili, che spogliano i comportamenti di qualunque principio stocastico.

Insomma la Puglia è la regione più innovatrice del Mezzogiorno e d'Italia. Quella che negli ultimi anni ha fatto registrare tassi di crescita migliori di quelli della Lombardia, quella che ha conosciuto una recessione più morbida, quella che ha saputo mettere in campo politiche di ricerca e in favore dei giovani chesono diventati modello appetibile persino per taluni illuminati esponenti dell'attuale miserabile governo.

Però bisogna vincere, e tutto questo pare non bastare.

La capacità indiscussa ed il buon governo non sono variabili indipendenti. Esiste il termine dell'errore. Quello che è convinto che lo scardinamento dell'architrave nebuloso che regge i connubbi della sanità pubblico/privata possa cedere dinanzi all'ostinazione moralista vendoliana, quello che vorrebbe magari attingere son copiosi sorsi al maggiore acquedotto d'europa, o far cacare fumi più silenziosi al peggior culo d'Europa.

Dobbiamo vincere, o dobbiamo difendere tutto questo, e provare a limitare i danni?

Ed il cittadino, ora che avrà finito di sollazzarsi con i plastici dell'appartamento di Brenda, avrà ancora qualche cellula nervosa intonsa per comprendere qualcosa?

Assecondare l'apparato di cui si è parte, o lanciarsi verso un impeto di verità? Magari compromettere quella che oggi ha i presupposti per diventare una fulgida carriera, o serrare i ranghi e turarsi il naso?

Insomma, ritrovarmi con le pezze al culo e mandare a puttane un percorso finora perfetto, per difendere un ricchione che ha provato a trasformare i destini di una terra di cui, peraltro, mi frega poco.
Un probabile epilogo del genere non l'avrei mai immaginato.

La deriva del ripiego sulla massa non ci salverà.

Il problema è sempre il dilemma tra egoismo e giustizia. Come quando stai per sederti a tavola. Non è ancora pronto. Il piatto sta per essere servito, i commensali indugiano.
L'attesa della convivialità sincronizzata, sommata all'attesa del piatto caldo, induce ad allungare le mani sulle olive, sul pane, sul vino, su tutte queste cazzo di trappole disseminate per la tavola pronte a catturare e soddisfare gli appetiti preliminari.

Con lo stomaco clandestinamente soddisfatto per buona parte da questi micro elementi criminali, e tutti rigorosamente dotati di un apporto calorico notevolmente copioso benché concentrato, ecco giungere il pasto.
A cui non si può, socialmente, rinunciare.

E i danni son presto cagionati.

Il problema è sempre quello, la capacità dell'offerta di adeguarsi all'irrazionalità della domanda. La prontezza con cui si risponde alla fame. Ché se facessi sempre come sono stato solito fare: prepararmi da me stesso, consumare in solitudine, e ignorare tutti, avrei procurato un piccolo sinistro al valore della famiglia, ma avrei mantenuto integra la mia persona, il mio fisico, il mio morale.

I varchi sono sempre quelli, gli approdi i medesimi: fagottinizzarsi e corrompersi, restare integerrimi e poi morire di fame.

lunedì 12 ottobre 2009

When it doesn't make sense...

Che fosse veritiero o meno, ho visto un quadro che avrei battezzato così: "il futuro e il terrore".

Quell'immagine si sovrapponeva poi a quella di due donzelle lasciate sole a bagnarsi sotto la pioggia perché il car service serale registrava altre priorità vaginali da rispettare.
E tutto questo si combinava nella mia mente con la logica delle liste bloccate, che ha tasformato l'orizzonte democratico in un selciato cingente un campo di patate transgeniche e drogate.

Mangiatevele e morite, bastardi.

Tutto si manifesta nella sua assurdità più variopinta, come un'inestricabilmente distorta allocazione delle risorse. L'efficienza dinamica sta all'esistenza come un innocente ranocchio starebbe a Godzilla.

... ché alla fine è una gran rottura di palle, quando ti accorgi che la vita non ha senso non soltanto in stupidi paragrafi forbiti...

... e tutti quei tastieroscritti con dedica, melliflui e commoventi, che mi guardano e mi spernacchiano per lo spreco di vocaboli, e che vorrei tanto avessero ciascuno una qualunque forma umana per affondare le mie dita nel sangue...

... e quella convinzione che così si sta benissimo, che stando così bene potrei stare bene in qualsiasi condizione, ma se stessi diversamente sarebbe meglio.

Ma perdere un pacchetto di sigarette intero, e restare bloccati nel nulla per un coglione che parcheggia in doppia fila... di questo... no. Non riesco a farmene una ragione.

- Hai dormito bene, Alcor? - disse sollevandosi stentatamente dal materasso. Lui le guardò gli occhi azzurri che aveva aspettato per tutta la notte castigati dalle palpebre perplesse. Poi rispose.

- Per niente. Non trovavo il secchio della nutella.

martedì 15 settembre 2009

Rough State

DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN



- (chi cazzo è che mi chiama dall'Italia, a quest'ora?) Hello!

- Ehi, Alcor! Bentornato a casa!!!

- Ma bentornato un cazzo! Io sto ancora qua!

tu... tu... tu... tu... tu... (chiusura del telefono in faccia)


Ora, in Italia c'è il regime. La cosa è evidente. Le libertà fondamentali sono ridotte all'indispensabile per sopravvivere.

Quello che mi chiedo è perché tutto questo non venga reso ancora più evidente.

Tanto gli italiani sono così stolti da non notare le differenze, imboniti come sono.

Almeno io potrei chiedere lo status di  rifugiato ai sensi dell'art. 1 della Convenzione di Ginevra,  e restare qua sotto la protezione dell'Alto Commissariato ONU... Eddai Silvio, lo so che ci stai già pensando! Ti prometto che smetto anche di scrivere per non consentire al popolo di  distrarsi e di potersi leggere Feltri in santa pace.

Un ultimo sforzo su, su, su...

giovedì 20 agosto 2009

martedì 7 luglio 2009

Alcor - zio Tom 2-1 (ai supplementari)

Mi ha preso un sonno assurdo, e staccarmi dal letto equivale a staccare il muschio dalla nuda pietra.
Indi non ho molto da riassumere, e tra le altre cose, l'alimentazione di questi giorni mi ha reso particolarmente argilloso il pensiero.

C'è da dire che ho l'intestino tenue sfondato come la costruenda metropolitana di Napoli.
C'ho il blocco dei lavori, e forse a furia di scavare potrei riportare alla luce qualche reperto, tipo la lucina verde dei Lego che ingoiai a 5 anni nel tentativo di staccarla coi denti da un altro pezzo.


Mangiate per una settimana insalata di riso a temperatura ambiente, fatevi bloccare un volo transoceanico a poche ore della partenza e vedrete se, tra materiale alimentare in sosta e fregatura entrante, il vostro culo non collasserà.

L'allegorica famigerata mandria di rinoceronti che risale lungo i canali anali è una metafora di arcaica generazione.

Ma si sa a tutto c'è una spiegazione in questa immensa settimana enigmistica che è la vita. E se unisco tutti i puntini forse forse un'interpretazione la trovo.
Mi ricordo una frase di Thomas Becket nell'opera di Eliot, "non compiere mai l'azione giusta per il fine errato".

E se questa era una fuga, insomma, sarebbe stata una gran cacata. Andarci ora, che m'è passata la voglia, a furia di far la guerra con la burocratica organizzazione col mondo, forse ha pure più senso.
Visto che la guerra l'avrei anche spuntata. Ma non farò mica l'errore di Bush in Iraq che si mise a far bagordi di fanfare inscenando un bellico trionfo mentre stava per cominciare il vero disastro...

Effettivamente mi mancava qualche pipposo tassello da dipanare, tipo trascorrere qualche giorno imprevisto nella patria capitale per disintoccarsi da un pochino dalla bile eccessivamente escretata.
Ma soprattutto riuscire finalmente a sedermi da solo ad un tavolo per consumare un fiero pasto, e giocare davvero serenamente una partita a quattr'occhi con la solitudine senza sentirmi un pezzo da cabotaggio nell'arcipelaga esistenza.

Sentirmi solo fino ai morsi della fame non mi era mai capitato, e mi mancava 'sta prova per evitarmi gli attacchi di panico che tutte le amiche psicologhe hanno unanimemente pronosticato.

Forse ora che sono indifferente sono pronto. La felicità è femmina, per averla la devi sonoramente mandare a fanculo.

Però aspettiamo: può sempre succedere che il mio passaporto venga smarrito dalla mail boxes che deve farmelo recapitare a casa farcito di tutti  quei cazzi che mi hanno ancorato in Italia.

Oppure può capitare che mi becco un trauma cranico mentre tento di emulare Zidane con il prossimo tizio che manifesta in mia presenza apprezzamenti per Franceschini.

Oppure... no meglio che sto zitto sennò succede davvero.

Fanculo a tutti.
Non vi voglio per niente bene. Solo che mi curo di voi per dimostrare che politicamente sono bravo.

"Azione giusta per il fine sbagliato", ma non voglio mica esser santo.
L'idea di avere un giorno sul calendario dov'è sancito che qualcuno si debba ricordare di me mi fa solamente inorridire.

mercoledì 15 aprile 2009

Lesson N

Mi ficcano in casini assurdi. Gli altri. Perché se fosse stato per me questa gente non sarebbe mai esistita. Così come un passante che ti incrocia per strada, ti pesta il piede e chiede scusa, è come se morisse perché non tornerà più nella tua vita; così le persone di cui ignori le vicissitudini è come se non fossero mai nate.

Per via di oscure ed indecifrabili manovre del fato invece esse irrompono nei delicati spigoli di un equilibrio già ontologicamente dissestato e si attaccano al tuo pane quotidiano come i koala ai rami del baobab.
Cosicché quell'asilo che durante la debita azzurra età mi guardai bene dal frequentare, ritenendolo uno stucchevole spreco di tempo, mi ritrovo a doverlo sperimentare oggi.

Se non scrivo più con ritmi forsennati è perché ho cominciato a masticare un po' di ritrosia nello sventolare i cavoli miei. Esplosiva miscela: un periodo di scarsa propensione all'autoironia, mancanza di tempo, tastiera del pc affetta da "tasteoporosi", batteria del pc affetta da litio-diabete, cronica assenza di novità che valga la pena di ostentare in prosa orripilante per i cultori della fraseologia fastfood.
Carenza di stimoli dovuta alla scomparsa di altri decenti prosatori (-trici, per la verità) che arricchivano la dialettica della scrittura, e che ora prediligono il deprimente svilimento indotto dai social network sul potenziale creativo della mente, essiccando quelle piacevoli doti.

Leggo poco e scrivo poco, perché non vi è più reciprocità.
Ed anche perché pago tuttora un deprecabile dazio alla condizione di essere letto, laddove non mi riesce di essere più dissacrante e irriverente su episodi dalle tinte cosmicomiche.
Così come mi si è incrinata la voglia di ridere e sbeffeggiare dopo la tragedia del terremoto in Abruzzo.

Però il processo di autoanalisi continua senza pitstop, rifornimento e cambio gomme. E facciamo passi da gigante. In questo periodo ho appreso diverse cose che elenco:

Quando mi incazzo ho difficoltà a percepire le mutazioni del mondo intorno. Fatto sta che mi ritrovo a urlare al telefono sotto un acquazzone della malora, perché sotto l'unico riparo possibile all'esterno del ristorante in cui mi trovavo, c'era gente che fumava e che avrebbe intessuto con me una bionivoca corrispondenza di cacamento di cazzo.
Cosicchè, guidato da un vigile istinto di autoconservazione, ho trovato riparo sotto una pensilina di canne di bambù utili come se si volesse riempire un secchio con un colino.

Quando mi incazzo è difficile capire perché mi sto incazzando, non lo so nemmeno io. Ma mi capita talmente raramente che pur essendo difficile ricavarne le motivazioni, state certi che ci sono. Non si sa quali, ma ci sono.

Quando mi incazzo non gesticolo. Perché non sto recitando, ma sto consumando litri di bile.

Ho imparato che le invasioni degli argini che si interpongono tra il mio arroccamento breve (lessico da scacchi appreso da poche ore) e tutto il resto, mi crea scompensi intestinali accelerando in maniera anomala lo smaltimento dei reflui acidi lungo il cavo orale.

Ho imparato che coloro che provano nostalgia per me possono benissimo munirsi di tamagotchi. Eppure, sono certo, con la mania di voler dare tutto per scontato e dovuto, pure un coniglio elettronico si cacherebbe il cazzo.

Adirarmi e trattar male gli altri è un ombroso atto di amore che è pure esagerato.

Ho capito che è inutile che mi ostino a voler distrarmi a destra e a sinistra alla ricerca di buchi con la carne di femmina intorno; perché quel momento di estasi non ce la fa a compensare il baratro d'angoscia che mi si svuota sotto i piedi appena esaurito il picco. Quando desideresti farti gli impacchi di benzene per levar via un odore straniero sulla pelle, e cancellare le impronte di carezze che non corrispondono alla mano che è stata capace di spalmare la vita sul tuo corpo.

Imparo. Ogni volta che imparo è solo una voce nuova che si aggiunge al novero delle mie repulsioni.

Nella meditabonda nullafacenza ho capito cosa ho sbagliato. Facevo un giochino scemo: dovevo trovare cinque eroi da cartone animato in cui il mio fanciullino si sarebbe dovuto riconoscere. Ma quali? Al terzo eroe ero in crisi.
Non ne conoscevo altri.

Ecco dove ho sbagliato, all'epoca dei primi peli sull'inguine avrei dovuto farmi gli occhi su Zora la Vampira, non sui sonetti di Guido Guinizzelli.
Di certo adesso sarei capace di mandare a fanculo la gente senza nemmeno quel retrogusto di interrogativi propri di chi ha più di un neurone sul lato oscuro della luna.
E non sentirei i cazzotti in testa mentre mi infilo tra cosce sconosciute, in mezzo alle quali è facile sentirsi orfani e lontani da casa.

E poiché io credo sempre di poter plasmare le cose come voglio, sto scaricando l'intera serie di Daitarn III.
Un mix oscuro di pietà e giustizia permeava i meganoidi di quella serie, così come il conflitto tra
Banjo ed il meganoide balbuziente DonZaucker (che conteneva il cervello di suo padre) aveva un non so che di kafkiano.
Che se avessi letto Zora la Vampira non avrei potuto cogliere. Avrei amato senza cognizione, più spensierato ma più scellerato, come un meganoide e non come un uomo.





Questa canzone me l'hanno messa in testa stasera, anche se non c'entra una mazza con quello che ho scritto, o forse no...