martedì 28 novembre 2017

Quel tanto così

Il pezzo di strada che mi piace provare a percorrere è quello spazio, quel tanto così.

Lo spio di continuo dal mio balcone lontano al primo piano, dove osservo il transito sempre uguale di calotte craniche in preda al maestrale che gela il pensiero dei viandanti. Alla distanza minima che non mi fa sentire gli odori, filtrati dal tabacco ormai dismesso, di quelli che mi spaventerebbe poi dover conservare nel mio personalissimo emporio degli affetti.

Guardo, invece, quel tratto che misura tanto così. E non so distinguere nella prospettiva se sia lungo oppure corto. 
Adoro i tuoi capelli biondi stressati dalle mille corse giornaliere, che si abbandonano alle mie carezze adagiandosi sulla mia mano che li raccoglie. Ma non indugerei mai un solo istante di più su quel magnifico tatto, e nel suo docile riposo,  se potessi correre su quel tratto di strada lungo tanto così.

I tuoi occhi verdi che riparano alla solita cancellazione dei contorni servita dalla notte. Non posso smarrirmi quando mi guardi, e non posso raccogliere le perdite del mio cuore vacillante ogni volta che me li ritrovo addosso, adornati dal tuo sorriso perfetto che non si è mai abituato a dover narrare come un disco di favole per i bambini, una serenità talvolta non scritta, spesso non pervenuta negli appuntamenti che la vita ci fissa in quel posto e in quell'ora dove ci facciamo comunque trovare.

Mi incanterei a intrecciare la musica delle tue parole e dei tuoi pensieri, del mistero dei tuoi sguardi, dell'armonia di ogni tuo respiro, ma io devo andare laggiù, lungo quel tratto che mi toglie il sonno che è sempre lì, a tanto così dal mio più bel passo.

A tanto così da adesso, da ieri, da ciò che non sappiamo ancora voler essere e che non importa battezzare se non con l'olio della pace che l'avvolge.
A tanto così da tutto, lì in fondo, c'è la porta che non si schiude. Il tuo mistero più prezioso, che non sa di sola gioia, che non raccoglie le farneticanti propagande della speranza a buon mercato. Che non riesce forse più a disegnarti al di fuori di te stessa, in compagnia di respiri non soltanto tuoi.
A tanto così dai momenti in cui vorrei sempre averti accanto, c'è quell'anfratto ignoto della tua anima da cui promana una forza smisurata e sconosciuta, che osservo in silenzio ammonendo ogni mio guizzo patetico di domande senza senso.
A tanto così da non lasciar sfuggire che frammenti di sofferenze e coraggio che hanno generato tutta l'inspiegabile bellezza di cui ti rivesti mentre parli, mentre ti muovi, mentre racconti le storie sempre identiche di una quotidianeità spesso scomodo.
Quel tanto così inarrivabile e meraviglioso che non vorrei mai sparisse perchè lì, in quell'inespugnabile perla travolta dalla vita ci sei soltanto tu protetta dal tuo bene supremo.

Tanto così, è il tragitto dei suoni che fanno impazzire la mia mente spegnendo ogni altra eco dell'universo.
Tanto così è il sentiero delle parole proibite, insignificanti nel linguaggio dei giorni attuali che non riusciranno mai a descrivere per intero un solo attimo che ti vede attraversare il mio cortile più indegno.

Tanto così, è lo spazio ai cui argini trovo dove potermi fermare, a respirare la brezza che da lì arriva... una risata al telefono, il profumo di una mela o di un rum dolciastro. Passeggiate che s'allungano tra vicoli popolati da balconi e piantine dagli strani nomi latini che solo tu pronunci.
Il freddo, la tua sciarpa che avvolge ogni strato di bellezza che popola il creato di cui conservo memoria.
Fughe come attimi senza tempo lontani dal chiasso delle incombenze.
Albe ritardatarie che si dimenticano di fiorire tra i cieli di Venere.

Tanto così, dal mio primo pensiero al risveglio dopo una mezzagiornata passata all'inferno, per cercare una pianta qualunque all'imbocco di questo pezzo di strada che conduce laggiù.
Curarne ogni foglia e vederla cercare il sole, perchè questa strada senza alcun indirizzo tra i ricordi umani, è il crocevia che più bramo, tra tutti i miei sogni e quella meraviglia che alberga in te, a tanto così da ogni istante.



venerdì 24 novembre 2017

If I rise

Un giorno sono morto e non ricordo nulla. Non ricordo il perchè.

Tra i miei racconti preferiti si narrano gesta infinite che si concludono con morti epiche, che trasformano anime in stelle, storie in racconti eterni, rincorse in inseguimenti che non tramonteranno mai.

Io sono morto quattro giorni fa. Alle 8.15 del mattino è stata constatata l'ora del decesso. Mi piaceva molto Albert Camus. Raccontavo, coglionamente, che l'incidente stradale sarebbe stata la mia principale probabilità di decesso.

Non ricordo come ci sono arrivato, come è successo. Il volto di chi mi ha salvato in quel momento.
Non ricordo il mio volto, non credo di averlo mai visto.

Qualunque alba proietti il giorno nel mondo, quella luce aveva di nuovo il sapore della penna indolente che non s'addormenta sui crinali della noia.
E che persino la mia stessa morte mi è stata trasmessa in replica. Neanche lì ho potuto avvertire il dolore arrampicarsi dalle viscere fino all'attico della coscienza.

Me l'hanno raccontata coloro che l'hanno vissuta al mio posto, che l'hanno sofferta mentre io fingevo di emanciparmi dall'indifferenza interrotta da qualche mal di testa. 
Non l'ho vissuta, come quasi nulla di ciò che segna l'esperienza dell'esistere di una ghianda o di una pigna.

Non vivremo mai, saremo solo racconti traumatici che si perderanno nel tempo.
E allora, torniamo a raccontare questi giorni e le loro menzogne.

sabato 18 novembre 2017

Resistenzialismo

Da dove si ricomincia? Io non lo so quanto si possa allontanare l'inquietudine prima che marcisca nel ridicolo. Se i palliativi che poggiamo su ferite dall'origine sconosciuta riescano ancora a disinfettare strappi che si incistiscono col tempo.
Questa giostra non conduce da nessuna parte. Ed ogni cosa non avrà mai alcun senso fino al suo compimento. Se scegli la libertà di questa smisurata galera le cui pareti si restringono con la stessa puntualità del tempo che transita senza raccontare nulla.

Doveva essere questo e non sarebbe stato diverso in qualunque altro angolo dell'universo.
E tu? Tu chi sei a completare questo nulla nutrendolo dell'insensatezza della pioggia, dell'insipidità delle fontane sporche dei paesi. Cosa vuoi? Cosa cerchi? Cosa ruberai alla mia libertà in tutti quei miseri istanti in cui proverai a raccontare un'inesistente immagine di me al tuo cervello sconosciuto persino a te stessa?

Non sarà la scrittura, nè una rassegnazione inalata al primo vagito di consapevolezza umana a rendere tutto meno amaro e tollerabile.