venerdì 12 luglio 2019
Narrazioni di confine
Quando sibilanti e rabberciati strati di cielo stellato irrompono tra i dorsi dei palazzi.
O quando piove. Quando ombrelli tesi dei passanti ci nascondono dai loro possibili sguardi, e ci proteggono.
Dov'è la casa? Io non lo so.
Di tutti questi tempi ricordo solo che non c'erano più. Attimi che perdono, come condotte divorate da ruggine e vermi.
E che dimenticano.
Dimenticano il susseguirsi delle continue sottrazioni e mancanze di ogni istante, di tutti quei cieli che non saranno specchiati in occhi assenti.
Respiri come zavorre di possibilità in cenere.
Onde del mare che incontrano invano una riva che risponde con parole straniere.
Del vento che non smuoverà più alcun fastidio, e degli spifferi di vecchi portoni che non presagiranno più asie assuefatte all'indifferenza di questa impraticabile vita.
Di tutto ciò che si è perso per sempre è popolato il treno del tempo.
Dei sorrisi di cui presto non ricorderemo il tragitto. Di concetti complessi come macigni che franano e frantumano l'abbandono ad abbracci vilmente scomposti.
Di parole strozzate esiliate da ogni pagina che possa sfidare i tuoi occhi.
Virgole che scindono e non collimano.
Profili di orizzonti piegati che non si riavvolgono.
martedì 9 gennaio 2018
Character
La paura che protegge, coccola, rassicura come una gabbia nella quale sentirsi sovrani.
La paura che ci assilla col suo smisurato vuoto che si fonde nelle ombre di ogni impegno massacrante con cui falcidiamo i nostri giorni senza un forse.
La paura che rafforza l'illusione di un equilibrio ritrovato che è solo un pensiero allontanato nello spazio e nel tempo di un sacco di angosce e promesse infrante a cui non abbiamo imparato a volgere uno sguardo pulito.
La paura di una scelta che irrompe a sciogliere i nodi dai nostri certi ormeggi, al riparo nella risacca della noia, svelando il volto banale e candido dell'inesorabile.
Inizia il nuovo anno con questa straripante voglia. Unico respiro di pace; una pace che sembrava possibile al realizzarsi di piccoli traguardi, e che si infrange non appena ogni méta si nasconde alle spalle della successiva.
E s'allontana.
Come te, che ogni giorno ti mascheri da questa angoscia, e in quella paura ti rifugi, al riparo da ogni possibile gioia.
domenica 17 dicembre 2017
Nascosti
- Forse..
- Non ho più dei capelli che restano impressi nella mente della gente. Sono corti ed anonimi.
- Son belli comunque. E non sono corti. Comunque no. Non rischiamo.
- Non rischiamo.
- Non rischiamo, potrebbero vederci. Lo sai che non sarebbe giusto.
- Le gente non bada noi.
- Non ne sono certa.
- Da chi ci stiamo nascondendo?
- Ci nascondiamo dalle chiacchiere che ci farebbero del male.
- Anche sottrarci alla luce ci fa del male.
- No, Alcor, no.
- Da chi ci stiamo nascondendo?
- Lo sai.
- Ci stiamo nascondendo da noi stessi. Ci stiamo mischiando alla polvere del tappeto che avvolge le mattonelle rotte delle nostre paure.
- Resta qui, in questa gabbia.
- Non parlo.
- Non parlare Alcor.
- Non voglio raccontarci.
- Non esistiamo se non nelle elucubrazioni della tua noia domenicale.
- Perché fuori fa freddo.
- Perché non sei ancora pronto per uscire, torna qui, nella gabbia.
- Non riesco a camminare sù per il bosco.
- Dormi qui, Alcor.
sabato 8 luglio 2017
Apocalypse Later
sabato 22 agosto 2015
Anime bastarde
E tutto questo sparisce portandosi via l'ammirazione verso i ricordi degli ospiti che presiedono quei minuti scippati da tutta quella immensa attesa che generava vita e sangue tra i vicoli ardenti delle proprie vene.
T'ho riconosciuta alle spalle di un sorriso di plastica esposto come vessillo di una presenza lontana proiettata da un fuoco volutamente nascosto. Straniera in un labirinto nella quale sembri esser caduta in un'età sedimentata sotto le orme ricalcate dai riflessi dei tuoi bicchieri.
Riflessi innanzi ai quali ti cali e ti spogli, lasciandoli attraversarti, trafiggerti e quasi sostarti dentro come lampi di pensiero senza fardelli di dubbio o fatiche di angosce.
Ripeti le parole del mondo con una cadenza insopportabile, ti agiti come un bambino che sta imparando a nuotare e sente ancora l'ostilità dell'acqua. Come una bolla d'aria generata dalle onde, che sa di dover sparire al prossimo vento, e tenta di imprimere quanta più esistenza possibile in quei giorni oscuri e confusi.
Come se il mondo non riuscisse ad accorgersi della tua imponenza, non sapesse come tradurre la tua immagine nella scena del tutto, le tue frasi si addensano in imperativi con architravi puntellati dalla colpevole innocenza di chi trema persino al peso di un braccio sospeso ed una sigaretta all'estremità più remota della mano.
Un'innocenza ripudiata, ma che giace intatta in una teca di vetro con le impronte dei troppi polpastrelli che hanno tentato di forzarla.
Ogni respiro è un sollievo da quel fardello.
Poi cala uno strano silenzio che chiude il sipario dalla tua bocca.
La paura sembra governare quei fragilissimi silenzi. La paura che il vento possa spirare talmente forte voltando le pagine del libro sospeso sulle tua mani, e possa riportarti a capitoli differenti da quelli su cui s'era arenata la tua voglia di interpretazione, e di nuovo da quel momento in poi, a disorientarsi in città invisibili. La paura di non trovarsi in alcuna delle immagini con cui s'è popolato il circo degli astanti che funambolano tra un menzogna e una sentenza.
Sembri spegnere con un mite rigetto quel crepitante ronzio, e per me sembri rivestirti di un'anima libera.
Indossi tutta la struggente bellezza della malinconia, di un'imperfezione che ha catturato un riflesso del caos, trasformandola in un miracolo che si alimenta ad ogni sguardo lanciato sul pavimento, assumendone luce e contorni per fiorire in un punto unico e singolo nell'intero universo.
Lascio questa notte, sperando che la corruzione della falsità del compromesso a cui siamo condannati non ti abbandoni, che continui a corroderti e a isolare dal resto degli alberi il tuo piccolo inerme fusto preda dei rovi in questa foresta minacciata dalle fiamme.
Che questo sapore acido sia come una cura, una placenta che preservi il frutto più dolce. E se anche la tua stessa memoria dovesse smarrire le chiavi della dispensa, lascia che da quella credenza di vetro traspaia un riflesso dal tuo malinconico sguardo. E la strada per coglierlo sarà solo un guizzo di luce senza parole drogate.
sabato 2 maggio 2015
Un apatico
giovedì 23 aprile 2015
Che fai?
domenica 18 maggio 2014
Reemergence six
- ...solo il filetto di pollo, grazie.
- hai paura stavolta?
- ho sempre avuto paura.
venerdì 21 febbraio 2014
Pensionati
domenica 9 febbraio 2014
Il socio ACI
giovedì 24 gennaio 2013
Out Out
martedì 15 gennaio 2013
Strisce gialle
domenica 23 settembre 2012
I trapezisti spezzati
Non era il calore delle sue avare carezze a mancargli, no. Nemmeno le cantilene notturne. Il vero baratro consisteva nel non potersi più afferrare come se fossero trapezisti in volo attraverso il dissestato tragitto dell'esistenza.
Di queste miserie si nutre il famelico verme della mancanza, non di altre grevi inadempienze.
Hanna, umiliata, tentò di richiamarlo a sé, e cominciò ad insultare il nome di Maggie.
R. non rivolse immediatamente i suoi pensieri a Maggie, né a quanto l'aveva amata. Pensò a quella volta in cui lei lo tradì. Stavano insieme da poco e lui occultò il fatto dalle sue conversazioni con lei spazzandolo lontano con scialbe citazioni nichiliste. Pensava che gli servisse da monito, per ricordargli che nulla mai sarebbe stato scontato.
Per un attimò gli sembrò anche bella adornata da un'aurea di sottomissione e vergogna.
Allungò le sue braccia dure contro la donna in lacrime, e le strinse la gola tra le mani finchè un'espressione di morte non gli raccontò in pochi istanti di che sapore era stata la vita che lì cessava.
Il volto di Hanna sembrava aver acquisito dei contorni. Adesso aveva dei nuovi occhi, una bocca socchiusa che reclamavi baci onesti e labbra da non scassinare con prepotenza, ma da assoporare con delicatezza. R. la guardò e la vide emergere da un anonimato tragico ed equo che si scioglie nel rito dell'addio.
Lo stesso che accompagnava Maggie, quella sera in cui gli comunicò gelidamente che sarebbe partita.
martedì 31 luglio 2012
Sulle fronde dei lecci
venerdì 27 luglio 2012
Over the glass
lunedì 20 febbraio 2012
mercoledì 14 settembre 2011
Also spracht Alcor - la vita è uno stato mentale
Domani parto, again.
Tra la stasi esogena e la convalescenza che mi ha immobilizzato tutto ciò che esiste tra il mio basso ventre e le mie ginocchia, il mio pensiero corre e ricorre al racconto Infanzia di un capo, di Sartre. Quello del concetto della "immensa attesa", per intenderci. Omosessuali a parte (con tutto il rispetto), esistono parole che si attaccano alla pelle come elettrodi, e sembrano raccontare i picchi e i precipitati attraverso il diagramma che quotidianamente si tende ad arginare.
Uso l'impersonale, o un'anonima prima persona plurale, ma è di me che parlo, visto che il residuale tessuto di esseri terrestre mi è tuttora sconosciuto.
Dovremmo ripartire da alcune costanti: da Nietzsche, dal tonno con la maionese, dai cappelli ottocenteschi, dal nodo windsor alle cravatte, dal tiramisù, dai sudoku e dall'indifferenza imperatrix mundi.
Ricevo la telefonata di un caro amico che non ha del tutto perso la voglia di rantolare nel torbido. Del resto, perché biasimalo, ha solo 24 anni è assolutamente comprensibile che egli sia ancora in grado di invocare una solidarietà generazionale nell'erezione di un fronte battagliero contro questa manica di cialtroni che si proclama classe dirigente.
Mi veniva in mente che il porto vicino casa mia non riesce a sviluppare il suo potenziale di affari perché è poco profondo. Il pescaggio inferiore lo rende poco competitivo perché impedisce alle navi più grandi di poter attraccare.
Si potrebbe scavare. Si potrebbe, no?
Peccato che vi abbiano sversato tanta di quella merda, nel corso degli anni, che smuovere un sassolino dai fondali significherebbe mettere in circolo tossicità allo stato puro.
Ecco cosa accade quando si smuovono consolidati strati di schifo, per riconvertirsi e non crepare.
domenica 4 settembre 2011
La vita interiore
- Ma lei è un giocatore di rugby?
- No, pratico attività più tranquille, come la briscola.
- Fuma?
- Sì, ho un'insana propensione al carsismo polmonare.
- Diamo una controllata alla prostata?
- No! Sono diventato obiettore di coscienza pur di non far visitare la mia prostata! La prego...
- Ma giunti alla sua età un controllo sarebbe opportuno, suvvia, non faccia il bambino, si volti.
- Le ho detto di no! E comunque sono ancora giovane per badare alla mia prostata!
- Lei "giovane"? Ma sta scherzando, vero?
- Perchè?
- Lei crede davvero di essere ancora giovane?
- Ma... è scritto qui, legga, sui miei documenti.
- Quali documenti?
- Ecco, questi... ma.... che cosa è successo alla mia immagine?
- Che cos'ha la sua foto?
- Sembra essersi ingiallita, all'improvviso, e il mio nome è sbiadito, la mia altezza dimezzata, che scherzi sono questi?
- Tenga, si guardi allo specchio.
- Ma, chi è questo vecchio canuto?
- Come chi è? È lei, non si riconosce?
- Ma non posso essere io! Avevo il viso tondo e i capelli neri quando sono venuto qui.
- Quanto tempo crede che sia trascorso da quel momento?
- Come sarebbe, quanto tempo... Un'ora al massimo...
- Un'ora al massimo, dice? Lei ci sta lasciando lentamente, figliolo. Su, si giri, dobbiamo controllare la prostata, è necessario.
- Ma vuole darmi una spiagazione? Che cosa c'era in quel bicchiere che mi ha offerto?
- Dei drenanti naturali.
- E cosa significa tutto questo? Perché sento le gambe cedenti e un forte mal di schiena?
- Che lei deve svegliarsi, giovanotto. Che lei deve necessariamente svegliarsi e andarsene da qui.
Le scelte sono gli angoli in cui si depositano le scorie della solitudine in cui è confinato ogni uomo. Ai bordi del pavimento, lungo i muri delle stanze, basta una passata di un panno umido per ristabile una parvenza di chiarezza. Agli angoli, invece, resta sempre qualcosa che si deposita col tempo. Lì, dove i contorni si fanno irregolari, dove è obbligatorio svoltare per non andare a sbattere contro un percorso nottambulo, e dove fa più male se ci si rovina contro.
Dopo aver fatto i gargarismi col suo colluttorio rosso, e avendo avuto cura di riporre il suo deodorante ascellare nel bagaglio, andò incontro a suo padre che lo aspettava battendo la pianta del piede.
Allargò il nodo della cravatta per non lasciare che l'ansia lo strozzasse. Qualche felpa per la sera l'aveva portata con sè. Doveva ancora interpretare gli adattamenti del suo corpo ad un clima diverso a quello a cui era abituato. Ogni tanto si schiariva la voce con un grugnito silenzioso per modulare meglio le sue parole. Aveva capito che plasmando bene le parole avrebbe potuto rendere meno infettivo il suo accento marcatamente distintivo.
Durante il volo provava a intavolare discorsi con se stesso per saggiare i suoi progressi nel tenere a freno le mani, per controllare meglio gli effetti dell'ansia.
Che avrebbe avuto a disposizione poche altre occasioni lo sapeva bene. Non si è giovani per sempre. E la resa dei conti inesorabilmente è depositata sempre là, all'angolo della stanza.
Avrebbe sciorinato ancora una volta il novero delle sue esperienze. Una ad una, come un susseguirsi di stazioni deraglianti che non avrebbero mai conosciuto un approdo. Avrebbe provato ad offrire alla commissione una rilettura di quegli eventi che fosse meno ufficiale. Avrebbe tracciato il filo conduttore di quella rincorsa alla normalità affrontata con tanto coraggio ma con pochi apprezzabili impronte nel corso evolutivo della specie umana.
Giunto a destinazione lei lo venne a prendere, e lo abbracciò. Per un attimo ebbe il sospetto che vi fosse una larga pozzanghera che separasse la realtà monolitica e immutabile dall'idea che costei in quel momento stava stringendo tra le sue braccia piene di ardore.
Ogni minuto che da allora trascorse assomigliava al campanello del giudice istruttore che freddamente enucleava le ragioni di una speranza malriposta.
(I vincenti li riconosci subito, riconosci i vincenti e i brocchi. Chi avrebbe puntato su di te? Io avrei puntato tutto su di te, Noodles. E avresti perso.)
Lei le offrì una granita all'anice, preparata come solo sua madre sapeva fare. Era diventata consuetudine da un po' di anni. Egli guardava il suo bicchiere di granita nel quale giaceva l'ultimo sorso. Pensò che non aveva sempre bevuto granite. Che per larga parte della sua vita le granite erano fluite in maniera indifferente senza che gli venisse mai venuta voglia di berne un bicchiere. Tanti anni erano trascorsi senza che le granite fossero mai esistite.
Un giorno, invece, s'accorse che faceva caldo e che non aveva fame, e che una granita gli sarebbe bastata per restare in compagnia di persone a cui avrebbe poi voluto bene.
Pensò che questa volta non sarebbe stato necessario avvisare a casa che il viaggio era andato bene.
Per anni gli avevano insegnato ad aspettare, a rinunciare, a restringere il ventaglio delle scelte. Si presentava al mondo dei vivi ricolmo di un amore che recava in dote miriadi di capitoli incompiuti. Storie affogate nel cesso al primo apostrofo erroneamente collocato.
Come quelle vecchie macchine da scrivere che andavano con i nastri di inchiestro nero. Bastava un dito un po' più disconnesso a rendere inaccettabili discorsi interminabili.
Infilò il suo pigiama invernale, e respirò a fondo il calore che da quell'abbraccio ancora s'infondeva. Una lacrima si addensò alla cornice del suo occhio sinistro, come un vetro rotto da cui penetrava la pioggia.
Sentiva il peso di tutta quell'inadeguatezza a cui aveva lasciato ampi metri di vantaggio, e che proseguiva lenta, lentissima, e lo precedeva nella risoluzione dei suoi algoritmi quotidiani.
Anche con il passo di Achille non l'avrebbe mai raggiunta, perchè essa conservava sempre una precedenza assoluta che le proporzioni dello spazio tempo avrebbero reso incolmabile.
Si nasce tartaruga, o si nasce Achille.
Si nasce compiuti, o si nasce appena.
Sul giornale dell'altro ieri vi era la consacrazione dell'incompiutezza come stagno nel quale la forza creatrice del linguaggio si edulcorava di arazzi pregiati nei riguardi di una cenciosa e scontata banalità a tratti quasi ripugnante.
L'irrequietezza è l'impeto ventoso che schiaffeggia l'insenatura al riparo del mare. Una conca aperta da cui la vita avrebbe lanciato affondi che un lago cheto e descrivibile non avrebbe mai appreso nelle sue computabili rive.
Una forma estrema di annegamento che ha come contorno incompleto la colpa, e come sbocco inevitabile la distruzione di ogni cosa.
Sentiva tutto il peso dell'umidità di un cielo in cui la sera non si rintracciano stelle.
A lei dedicò quei pensieri che si rivelarono gli ultimi. Pensieri che non sarebbe stato capace di replicare su carta per non lasciarsene privo. Ché scrivere è un impoverirsi senza ricevuta fiscale.
L'arte, un condono sull'inconcludenza.
E la smise all'improvviso, calpestato tra i binari di una metropolitana.
mercoledì 13 luglio 2011
Sussidiari illustrati di errori futuri
L'alfabeto è la chiave, non un susseguirsi annoiato di segni convenzionali. Una conquista del codice con cui attutire i colpi di maglio slanciati per scalfire il marmo e sancire una forma che non ammette errori. Perché se il colpo ferente è troppo brusco, le scaglie avvizzite non torneranno al loro posto. L'intera sagoma sarà ridiscussa, riconcepita, o al più tardi abbandonata.
Solo qualche graffio sugli stinchi, la stampella l'ho rifiutata finanche quando strisciavo.
Leggere è scegliere di appropriarsi, prestarsi al racconto è un deponente farsi scegliere da soppessare con immensa fiducia.
Mamma, doveva essere così alto il muro? Perché io da qui non vedo nulla. Questo è l'orario dei battelli, ne salpa una tra tre ore, e per ora l'imbarcadero è deserto, la battigia restituisce scorie di porti distanti. Forse mi sono sbagliato. Non salperà nessun battello. Nessuno se ne cura, nessuno avverte il gocciolare lento dei momenti che si approssimano agli orari scritti sulla tabella in mio possesso.
Controllo la data, ma i giorni sono uguali, non ci sono stagioni, solo settimane composte da numeri neri e numeri rossi. È troppo presto, dici, mamma? Ma io sono andato via, e sei un'estranea per me questa sera. Ascoltarti non rende questa attesa meno normale di altre.
Il mio libro nero è un puzzle di alfabeti stranieri che non so più interpretare. Le ultime pagine mi ricordano quanto è importante spazzolarsi i denti prima di andare a letto.
Non provare a baciarmi, puzzo di fumo dalle dita fino alle labbra.
Mi perdo spesso, ma una direzione non l'ho mai cercata. La volta celeste gira su se stessa ed il cielo non cambia mai. Il suo moto millenario sfugge alla percezione che una inutile vita abbozzata dai carboncini del caso può ponderare.
Quando smisero di perquisirmi controllarono un'ultima volta l'immagine sul mio documento. Non capivo il loro linguaggio rapido e convinto. Mi condussero in una sala piena di monitor su cui sfogliavano li profili dei figli degli uomini. Ci misero un bel po' a capire chi fossi, ed io a ricordarmi di me.
Nelle mie tasche vi era un foglio di carta con scritto un'indirizzo e due numeri di telefono, un biglietto di autobus usato, un pacchetto di sigarette e un accendino.
L'accendino mi fu requisito da un agente sorridente. Poi mi lasciarono andare, e mi mancò l'algida freschezza di quelle stanze bianche e refrigerate dai climatizzatori.
Avevo la percezione che la vita facesse schifo, e che fosse terribilmente breve. Fuori c'era un'afa diluente, ed in quelle stanze occorreva una giacca ben stretta sui fianchi.
Sui giornali la notizia di un poveraccio che si era trasformato in un rogo per accorciare gli effetti della fame e della miseria.
Mamma non c'è nessuno questa volta, e mancano solo poche ore al mio battello. Nessuno si cura di questa partenza, forse restermo qui, e non incontreremo nulla al di fuori del perimetro pisciato dalle nostre anime.
Non mi hai salutato per non disturbarmi.
sabato 2 luglio 2011
No-è
La pioggia torrenziale diventava sempre più insistente. R. controllò i materiali a sua disposizione e si rese presto conto che non avrebbe raccolto abbastanza legname per costruirsi un'arca capace di trasportare un rappresentate per ogni specie vivente del suo microcosmo.
Nemmeno una zattera monoposto, neanche un veivolo in fibra di carbonio che avrebbe consentito una docile trasvolata ai piani ammezzati del cielo, dove si preservava una fredda quiete.
Per costruire un'imbarcazione non sarebbe bastata la cartapesta ottenuta da un miscela di colla e carta straccia ricavata dalla sua immacolata biblioteca personale. Per questa ragione decise di uscire con un ombrellino del tutto inutile per i colpi trasversali e ventosi.
Tutto ciò che non vale la pena combattere, lo si aiuta ad invaderci.
Ché quell'imperfezione sarebbe risalita da un lato fino alle sue ginocchia, discesa dall'altro nei rivoli che avrebbero attraversato il suo capo e gocciolato a terra dalla fronte.
La sua casa era un brodo inquieto. Dove nottetempo fiorivano acidi nucleici elettrici.
I momenti topici sono sempre state puntine di compasso intorno a cui disegnare la circonferenza della retromarcia. Lungo la curva insistono innumerevoli centri di ristoro con offerte stracciate su cataloghi di alibi in svendita ai saldi di fine giovinezza.
- Ti va di parlarne, Alcor?
- No.
If I were afraid
I could hide
If I go insane
Please don't put your wires in my brain