
Quella bocca arsa scacciava inquieta
l'ansia, succhiando il tappo della biro
sognando la carriera unica meta
aliena a mutande e ferro da stiro.
E tu in quel vil destino disonesto
posta l’evanescente prospettiva
non capivi perché nel buio pesto
la speranza arenasse alla deriva.
Che colle grigie occhiaie consumasti
mille notti sui tomi e sui rimpianti
serbando al dì venturo i dolci fasti
che mettevan calli ai piedi astanti.
E pur non bastò l’arduo sacrificio
per quella carta esposta nel tinello
vai al supermarket con l'auspicio
che poca pecunia colmi il carrello.
Stanca, sudata e dalle rughe avvinta,
odii lo specchio bastardo e sincero,
dinanzi a cui vano è il fondotinta
per celare l’astio fitto al pensiero:
brucia il culo perché presa in giro
da una, ministra e senza farsi il mazzo,
che anche tu, fessa, anziché la biro
meglio era se succhiavi qualche cazzo.
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