sabato 8 luglio 2017
Apocalypse Later
venerdì 18 settembre 2015
La strada senza nome
giovedì 2 luglio 2015
Golden Age
domenica 15 giugno 2014
Un etnologo all'Esselunga
- Sto guardando un attimo... non trovo i preservativi di taglia XL....
- ...
- Ah, mi scusi signora, l'avevo scambiata per la mia compagna.
- ... (più sguardo schifato)
venerdì 21 febbraio 2014
Pensionati
domenica 9 febbraio 2014
Il socio ACI
martedì 21 gennaio 2014
Il Leader
- Ma chi cazzo lo vota Berlusconi? L'hai votato tu!
- Io? Nooooooooooooo...
Perché nel cuore di ognuno albergava la santa verità, e la piena consapevolezza che affidando le sorti del nostro popolo a cotal de cuius saremmo precipitati dritti verso la deriva.
Ma al popolo non serve un messia capace di traghettare le sorti verso la terra promessa. Al popolo serve sempre una figura di cui lagnarsi, a cui imputare il pigro degrado impresso al destino.
Al popolo occorre sempre una nuova scusa per levarsi il piccio di crescere.
Come una femmina che si innamora del maschio bastardo per leccarsi le ferite, e autoassolversi raccontandosi che sì, in fondo, è tutta colpa del solito stronzo.
lunedì 28 gennaio 2013
Il peso del fumo
Niente più mal di gola appena svegli. Qualche scrocco qua e là. Persino la voglia di tornare a correre e darmi un tono.
venerdì 23 novembre 2012
ShYning
Presta attenzione anche ai tuoi pensieri, e ti accorgerai di quanto siano divenuti brevi, stretti, come una strada senza margini di esondazioni, aggrenziti. Dovresti riprovare con qualcosa di comico, se ne sei in grado.
sabato 28 luglio 2012
ἀρχή engine
Dopodiché lapidatemi. Mentre fumo l'ultima sigaretta, pensando a mio padre e ai funerali dei miei cognati.
mercoledì 14 settembre 2011
Also spracht Alcor - la vita è uno stato mentale
Domani parto, again.
Tra la stasi esogena e la convalescenza che mi ha immobilizzato tutto ciò che esiste tra il mio basso ventre e le mie ginocchia, il mio pensiero corre e ricorre al racconto Infanzia di un capo, di Sartre. Quello del concetto della "immensa attesa", per intenderci. Omosessuali a parte (con tutto il rispetto), esistono parole che si attaccano alla pelle come elettrodi, e sembrano raccontare i picchi e i precipitati attraverso il diagramma che quotidianamente si tende ad arginare.
Uso l'impersonale, o un'anonima prima persona plurale, ma è di me che parlo, visto che il residuale tessuto di esseri terrestre mi è tuttora sconosciuto.
Dovremmo ripartire da alcune costanti: da Nietzsche, dal tonno con la maionese, dai cappelli ottocenteschi, dal nodo windsor alle cravatte, dal tiramisù, dai sudoku e dall'indifferenza imperatrix mundi.
Ricevo la telefonata di un caro amico che non ha del tutto perso la voglia di rantolare nel torbido. Del resto, perché biasimalo, ha solo 24 anni è assolutamente comprensibile che egli sia ancora in grado di invocare una solidarietà generazionale nell'erezione di un fronte battagliero contro questa manica di cialtroni che si proclama classe dirigente.
Mi veniva in mente che il porto vicino casa mia non riesce a sviluppare il suo potenziale di affari perché è poco profondo. Il pescaggio inferiore lo rende poco competitivo perché impedisce alle navi più grandi di poter attraccare.
Si potrebbe scavare. Si potrebbe, no?
Peccato che vi abbiano sversato tanta di quella merda, nel corso degli anni, che smuovere un sassolino dai fondali significherebbe mettere in circolo tossicità allo stato puro.
Ecco cosa accade quando si smuovono consolidati strati di schifo, per riconvertirsi e non crepare.
mercoledì 27 luglio 2011
Le invasioni barbariche
R. accese una sigaretta, chiuse la macchina e si diresse verso la porta di casa. Man mano che si avvicinava teneva la sigaretta il più possibile nascosta nel palmo della mano piegato a coppa, e con il braccio steso, tendente a celarsi dietro la schiena.
Tirava fumate rapide e frequenti. Se qualcuno l’avesse visto fumare non sarebbe successo nulla, ma lo sguardo riprovevole di suo padre, che di lì a poco sarebbe giunto anch’egli in prossimità del portone, era quanto di meno sopportabile vi potesse essere, soprattutto dopo una serata di indigestione da parenti.
Una volta s'era abbandonato ad uno sfogo nella cui requisitoria ricondusse, con deplorazione, le cause della sua irascibilità sociopatica all’attrito vischioso con cui si sviluppavano le conversazioni apparentemente più innocue tra lui e i suoi vecchi.
Suo padre, che riteneva di essere invaso da una innata condizione di impunità, non riteneva plausibile l’ipotesi sostenuta dal figlio, secondo la quale sarebbe stato lui l’induttore della condizione disadattante del proprio pargolo, e che l’incessante opera di messa in luce delle manchevolezze da parte di quest’ultimo rientrasse nel novero delle indispensabili competenze paterne, volte al progressivo ripristino della perfettibilità dei propri derivati cromosomici.
In virtù di questa missione egli sarebbe stato l’infallibile censore di ogni azione dei propri figli, nonché il vate pronto a svelare anzitempo le conseguenze di ogni loro proposito, facendosi beffe del simulacro ordinario dell’imprevedibilità degli eventi.
Era un rigido assertore della programmazione, e non riconosceva smentite, poiché negli anni aveva accumulato un forziere di giustificazioni applicabili a qualunque situazione.
Mentre R. indugiava con la sua sigaretta sotto il portone, osservava con una parvenza di invidia la leggerezza con cui gli avventori del bar lì vicino seguitavano ad accumulare vuoti a rendere di birra, discutendo animatamente circa le modalità di conservazione della ‘nduja calabra, e dei processi di lavorazione dello champagne.
Parole distinguibili tra rombi di motociclette, palle di biliardo che rimbalzavano al suolo, bestemmie di ogni genere e risate accalorate.
La contemplazione di tale eldorado fu bruscamente interrotta dall’arrivo della macchina paterna. Il finestrino si abbassò e lo sguardo del padre conducente si fece più distinguibile.
Quei pochi secondi di silenzio sembrarono pesantissimi ad R., che senza alcun motivo, sentì di dover giustificare l’indugio sotto il portone. Fece finta di frugare nelle tasche della sua giacca ed estrasse solo foglietti a caso.
- Non trovo le chiavi di casa. Le ho lasciate in macchina. Spero ci sia qualcuno che possa aprire il portone.
Il padre non disse nulla e andò a parcheggiare il mezzo. R. suonò il campanello e rientrò a casa.
Sentì d’essere scosso dopo che s’era appena assopito dinanzi alla tv che trasmetteva la rassegna stampa del giorno dopo.
- Vai a recuperare le chiavi di casa dalla macchina. – Impose suo padre.
- Ci andrò domattina.
- Ci vai adesso, così impari a dire ad alta voce che le chiavi di casa tua sono in macchina, informando la platea dei probabili scassinatori che popola il bar, su come svaligiarci senza fare tanto rumore.
R., si convinse del pericolo, si rivestì e tornò verso la sua auto per recuperare le chiavi di casa. Aprì lo sportello e le chiavi non c’erano.
Cercò dappertutto ma delle chiavi di casa, in macchina, non vi era traccia.
Rientrò a casa e comunicò a suo padre l’esito negativo della missione, lasciando che fosse lui a far emergere le conseguenze di quello stato di cose.
E per suo padre non vi era alcun dubbio: gli scassinatori che popolavano il bar, appena furono edotti dell’ubicazione delle chiavi del loro appartamento, dalle avventate parole di quello scriteriato di suo figlio, cessarono immediatamente di conversare sui metodi di conservazione della ‘nduja calabra e avevano provveduto ad aprire la macchina di R. per impossessarsi delle chiavi in maniera pulita e senza lasciare traccia, riuscendo persino a richiuderla per non destare sospetto.
Egli sapeva benissimo quanto si fossero evolute le tecniche raffinatissime di scassinamento eseguite in maniera delicata e chirurgica.
Una volta il padre di R. sentì di scassinatori che usavano un particolare gas sedante che consente l’esecuzione notturna dei furti mentre le vittime sprofondavano in un sonno quasi comatoso.
Era sicuro che il loro appartamento prima o poi sarebbe finito in cima agli obiettivi sensibili delle bande che imperversavano in tutta la provincia.
Quell’idiota di suo figlio aveva agevolato la scalata nella top ten dei colpi “sicuri”.
Quella notte non dormì, perché prima o poi sarebbero giunti e avrebbero aperto facilmente il portone con le chiavi di R., avrebbero liberato il gas, e lui al suo risveglio non avrebbe trovato neanche i cessi del bagno.
Ogni minimo rumore lo insospettiva e gli imponeva di alzarsi da letto per controllare che non vi fosse nessuno in casa. Girava per le stanze da letto, e giungendo nella stanza di R. lo vide dormire tranquillo, digrignando come sempre, e sprofondato nel suo sonno indifferente alla perniciosa sorte che di lì a poco sarebbe capitata per causa sua.
Avvertì un senso di frustrazione e rabbia per la mancanza di condivisione del dramma, proprio da parte del suo principale responsabile.
Ma la notte trascorse senza alcun tentativo di scasso. Il padre di R. asserì che era prevedibile, che una banda di professionisti non avrebbe agito immediatamente, perché si sarebbero aspettati delle contromisure immediate che notte dopo notte sarebbero state allentate da una falsa rassicurazione.
Egli non sarebbe stato gabbato, a differenza di quello che i malfattori pensavano.
Ogni notte avrebbe vigilato per controllare l’origine di ogni minimo scostamento d’aria in casa. Ovviamente non si fidava minimamente della collaborazione di moglie e figli, soprattutto quando la causa di quell’imminente sventura era stata proprio la noncuranza di uno di questi.
Era cosciente che avrebbe dovuto compiere quell’eroico salvataggio da solo. Non dormì per giorni divenendo sempre più intrattabile e severo, intollerante e iroso.
Dopo una settimana molto complicata R. decise che avrebbe dovuto porre fine a quel tormento da lui cagionato e che si ripercuoteva sulla tenuta mentale del padre, minando la consistenza stessa della sua famiglia.
Approfittando di una passeggiata investigativa del suo vecchio, decise di agire autonomamente, per dimostrare che anche lui era in grado di fare la sua parte per tutelare l’integrità dei suoi cari.
Fece cambiare la serratura della porta di casa, in maniera tale che anche se gli scassinatori fossero giunti non avrebbero potuto utilizzare le chiavi che egli aveva incautamente dimenticato in macchina.
Si sentì soddisfatto perché per la prima volta aveva posto rimedio ad un danno gigantesco derivato dalla sua insicurezza insanabile, ed alla quale s’era ormai rassegnato. Quel gesto riparatore lo avrebbe riabilitato al severo giudizio del padre e gli avrebbe infuso la tranquillità di non essere una merda di livelli irrecuperabili.
Per la prima volta attese il ritorno del padre per giovarsi del meritato premio al coraggio.
Il padre tentò di aprire la porta di casa con le sue chiavi e non ci riuscì, così, sospettoso, suonò il campanello. R. corse ad aprire.
- Che è successo qui?
- Perché?
- Le mie chiavi non funzionano, e cos’è tutta questa polvere intorno all’uscio?
- Papà ho fatto cambiare la serratura, per stare più tranquilli. Adesso non c’è più da preoccuparsi. – Pronunciò quelle parole con insolita fierezza.
- Sei un coglione, R.
- Perché papà?
- Una volta giunti sull’uscio di casa, annusata la preda, pensi che si fermeranno dinanzi ad una contromisura così scontata? Possedere le tue chiavi, stronzo, li avrà talmente allettati che una serratura nuova non basterà a farli desistere. Scassineranno la porta, ecco che cosa faranno! E magari diventeranno anche violenti se qualcuno dovesse tentare di intervenire per via del rumore che saranno costretti a fare. Potrebbe scapparci il morto, imbecille, capisci!!! Tua madre o tuo padre potrebbero morire perché un cazzone come te ha dimenticato le chiavi di casa in macchina, e lo ha urlato ai quattro venti.
- Ma io pensavo che….
- No! Tu non devi pensare! Dov’è la vecchia serratura?
- Nel ripostiglio.
- Vai a riprenderla.
- Vuoi rimontare la vecchia serratura?
- Certo, imbecille, continueremo le ronde. Anzi, TU continuerai le ronde.
Dopo qualche giorno, la madre di R. lavando la giacca di R. vi frugò nelle tasche, e vi trovò le chiavi che si pensava fossero state trafugate dagli scassinatori.
- È un cazzone, lo sapevo io. – Sentenziò il padre di R.
mercoledì 13 luglio 2011
Sussidiari illustrati di errori futuri
L'alfabeto è la chiave, non un susseguirsi annoiato di segni convenzionali. Una conquista del codice con cui attutire i colpi di maglio slanciati per scalfire il marmo e sancire una forma che non ammette errori. Perché se il colpo ferente è troppo brusco, le scaglie avvizzite non torneranno al loro posto. L'intera sagoma sarà ridiscussa, riconcepita, o al più tardi abbandonata.
Solo qualche graffio sugli stinchi, la stampella l'ho rifiutata finanche quando strisciavo.
Leggere è scegliere di appropriarsi, prestarsi al racconto è un deponente farsi scegliere da soppessare con immensa fiducia.
Mamma, doveva essere così alto il muro? Perché io da qui non vedo nulla. Questo è l'orario dei battelli, ne salpa una tra tre ore, e per ora l'imbarcadero è deserto, la battigia restituisce scorie di porti distanti. Forse mi sono sbagliato. Non salperà nessun battello. Nessuno se ne cura, nessuno avverte il gocciolare lento dei momenti che si approssimano agli orari scritti sulla tabella in mio possesso.
Controllo la data, ma i giorni sono uguali, non ci sono stagioni, solo settimane composte da numeri neri e numeri rossi. È troppo presto, dici, mamma? Ma io sono andato via, e sei un'estranea per me questa sera. Ascoltarti non rende questa attesa meno normale di altre.
Il mio libro nero è un puzzle di alfabeti stranieri che non so più interpretare. Le ultime pagine mi ricordano quanto è importante spazzolarsi i denti prima di andare a letto.
Non provare a baciarmi, puzzo di fumo dalle dita fino alle labbra.
Mi perdo spesso, ma una direzione non l'ho mai cercata. La volta celeste gira su se stessa ed il cielo non cambia mai. Il suo moto millenario sfugge alla percezione che una inutile vita abbozzata dai carboncini del caso può ponderare.
Quando smisero di perquisirmi controllarono un'ultima volta l'immagine sul mio documento. Non capivo il loro linguaggio rapido e convinto. Mi condussero in una sala piena di monitor su cui sfogliavano li profili dei figli degli uomini. Ci misero un bel po' a capire chi fossi, ed io a ricordarmi di me.
Nelle mie tasche vi era un foglio di carta con scritto un'indirizzo e due numeri di telefono, un biglietto di autobus usato, un pacchetto di sigarette e un accendino.
L'accendino mi fu requisito da un agente sorridente. Poi mi lasciarono andare, e mi mancò l'algida freschezza di quelle stanze bianche e refrigerate dai climatizzatori.
Avevo la percezione che la vita facesse schifo, e che fosse terribilmente breve. Fuori c'era un'afa diluente, ed in quelle stanze occorreva una giacca ben stretta sui fianchi.
Sui giornali la notizia di un poveraccio che si era trasformato in un rogo per accorciare gli effetti della fame e della miseria.
Mamma non c'è nessuno questa volta, e mancano solo poche ore al mio battello. Nessuno si cura di questa partenza, forse restermo qui, e non incontreremo nulla al di fuori del perimetro pisciato dalle nostre anime.
Non mi hai salutato per non disturbarmi.
sabato 2 luglio 2011
No-è
La pioggia torrenziale diventava sempre più insistente. R. controllò i materiali a sua disposizione e si rese presto conto che non avrebbe raccolto abbastanza legname per costruirsi un'arca capace di trasportare un rappresentate per ogni specie vivente del suo microcosmo.
Nemmeno una zattera monoposto, neanche un veivolo in fibra di carbonio che avrebbe consentito una docile trasvolata ai piani ammezzati del cielo, dove si preservava una fredda quiete.
Per costruire un'imbarcazione non sarebbe bastata la cartapesta ottenuta da un miscela di colla e carta straccia ricavata dalla sua immacolata biblioteca personale. Per questa ragione decise di uscire con un ombrellino del tutto inutile per i colpi trasversali e ventosi.
Tutto ciò che non vale la pena combattere, lo si aiuta ad invaderci.
Ché quell'imperfezione sarebbe risalita da un lato fino alle sue ginocchia, discesa dall'altro nei rivoli che avrebbero attraversato il suo capo e gocciolato a terra dalla fronte.
La sua casa era un brodo inquieto. Dove nottetempo fiorivano acidi nucleici elettrici.
I momenti topici sono sempre state puntine di compasso intorno a cui disegnare la circonferenza della retromarcia. Lungo la curva insistono innumerevoli centri di ristoro con offerte stracciate su cataloghi di alibi in svendita ai saldi di fine giovinezza.
- Ti va di parlarne, Alcor?
- No.
If I were afraid
I could hide
If I go insane
Please don't put your wires in my brain
mercoledì 1 giugno 2011
Another Brick Breaker in the wall
Possono definirsi discrasie sociali, o si tratta di quegli attimi banalmente vuoti in cui nessuna delle variabili che agitano la biosfera sembra avvertire l'impatto della propria presenza.
Imbrunisce senza un senso e immagino di chiacchierare con Foscolo, mentre accendo un toscanello. Dopo un po' egli s'è addormentato teneramente, quando s'è toccato il fecondo punto del marxismo antropologico, così gli rimbocco le lenzuola, e gli do un bacio sulla fronte. Piccolo Foscolo.
Mi sei crollato così, a piombo sul bauletto portavalori del mio compare. Avremmo telefonato al bar, qui sotto. Il garzone ci avrebbbe portato un succo all'ananas, un caffè, e due pasticcini al tiramisù. Affinché questa scialba forma di attesa ci sembrasse più potabile.
So che non devo cedere, ma ieri mi sentivo un po' più bravo di oggi.
giovedì 17 marzo 2011
Storia di un'associazione commerciale
Indesiderati parenti che infestano casa per visitare la madre inferma, e li si sente da lontano discutere di formaggi, campionati di calcio e ragazzine scannate.
L'Italia compie 150 anni, e stranamente mi sono commosso.
"Sei distraente, ti muovi troppo. Ma meglio te, che una mosca intorno." - A questo si è ridotta la mia dolcezza con le donne.
Quando un animale della mia specie scopre un locale per fumatori comincia ad accendere sigarette nonostante non ne avverta la minima bramosa astinenza.
Il mio socio mi dice che presumeva che quell'altro avesse capito perché la situazione era abbastanza chiara. A causa di questo modo di supporre, nel 2008, l'intero pianeta è collassato nella peggiore crisi finanziaria mai conosciuta.
Ti svegli una mattina e t'accorgi che il Giappone non esiste più.
Qualcuno potrebbe avvisarmi per tempo nei casi in cui mi vengono richiesti pareri decisivi nelle scelte di una persona?
Prima di vivere ci si dovrebbe documentare.
Io credo che la Legge di Murphy non descriva fino in fondo la questione.
mercoledì 17 novembre 2010
Lo specchio di Zeno
Compariva a tratti, quasi al comando di quegli occhi che fingevano di non cercarla staccandosi per qualche rapidissimo istante dal fuoco della sua osservazione nel quale ella spuntava.
Costei irruppe nella sua traducibilissima vita grazie ad un mai così opportuno errore. L'aveva scambiato per qualcun altro.
Lo chiamò, palesando frettolosamente costernazione per un saluto negatogli in chissà quale vita parallela che adesso incidentava bruscamente con la sua. Ella s'accorse dell'errato destinatario della sua premura e sorridendo ritornò sui suoi passi.
Divenne per lui fattore di inestimabile distrazione. La attendeva, con scrupolo e riservatezza, facendosi carico di esplorarsi in tutta la sua curiosità. Cominciò a figurarsi dentro, con animo dozzinale, l'ipotesi di restituirle l'incidente e di richiamarle alla mente quell'apostrofo errato che li aveva intrappolati in una scatola di imbarazzo reciproco.
Lui la richiamava mentalmente a sé ed ignara di tutto ella spiccava. Innescava la raccolta di tutte le domande possibili, l'enucleazione di tutte le scuse impugnabili per sottolineare la fatalità di quel lieto incontro. Non bastava il tempo per formalizzare in pochi sibili di presentazione tutta la sua disordinata pressione, che ella si volatilizzava.
S'accorse dopo diversi giorni, che costantemente s'arrampica a quei minuti.
Ma perchè ella ostenta in quella maniera? Perché procedeva al passo di un minuetto sembrando richiamare a sé tutte le attenzioni come una rete lanciata nella buia baia calpestata dalla risacca?
Provò a ricordarsi se ci fosse qualcosa che le cingesse l'anulare sinistro, e se quei fanchi avessero già tradito una o più elargizioni di nuove esistenze.
E se fosse davvero madre, ostentatrice e magnetica, che stesse provando a rapire tra i tentacoli dei suoi folti ricci solamente un custode per potersi concedere un lucchetto meno serrato alla spensieratezza di donna già provata e vissuta?
Egli attese, lei apparve. E continuò a domandarsi quale potesse essere la formula giusta. Finché giunse il tempo in cui in fondo a quegli interrogativi non si profilò che un unico definitivo quesito: perché proprio a lui?
E cambiò strada.
mercoledì 13 ottobre 2010
Cruel intentions
Questo perché la crudeltà non ha bisogno di buone ragioni per manifestarsi.
martedì 7 settembre 2010
Eventi di vita
Alcor, sappi che se andrà male stavolta non sarà colpa tua.
Ma di una bagascia cazzona travestita da psicologa che aveva l'ardire di voler giocare con il tuo animo, la tua fame, e l'adrenalina che ti ballava nell'antro intestinale.
venerdì 13 agosto 2010
Vacanze su Plutone
Qui lo scorrere del tempo non segue l'ordine sancito dal calendario del Frate Indovino, bensì direttamente la teoria della relatività di Einstein.
Tant'é che se taluni luoghi del pianeta Terra riescono a misurare il proprio progresso in contenitori annuali di 365 giorni e 6 ore, qui, ove insiste la mia persona, lo stesso tempo ci impiega molto di più: circa 248,1 anni terrestri per varcare le medesime soglie e giovarsi delle medesime conquiste.
Come su Plutone.
Qui, su Plutone, si gioca col suffragio universale come un bimbo di due anni alle prese con la nitroglicerina.
Qui, su Plutone, si sta come in un'incendio estivo, sugli alberi, le foglie.
Eppure il contrappasso dantesco ha stabilito così quest'anno. Una sorta di companatico piacevole ai riassunti e agli intervalli raccontati da coloro che ritornano per trascorrere l'estate su Plutone. L'endovenico cerimoniale prevede sovente il richiamo mnemonico di epiche gesta felliniane compiute durante l'imberbe età.
Il Welfare State non è più un capitolo dell'esame di Scienza della Politica, ma la nuova figura che nell'epoca della giovinezza precaria sostituisce Babbo Natale nell'immaginario onirico.
E se un tempo ci si ritrovava tutti insieme per scagliarsi in faccia piatti di spaghetti col tonno, palle di maionese come fosse neve, oggi si è alle prese con i primi matrimoni nele nostre fila, e con la meditabonda ricerca dell'idea geniale che ci faccia uscire tutti dal torpore, sia terrestri che plutonici.
E pensare che l'anno scorso ero a New York e tentavo di raccontare alle donzelle 'mbriache lo stato di agiatezza e grazia che si vive quando in società si è dalla parte della minoranza.
Il senso di responsabilità che mi ha fatto tornare in patria mi ingenera la stessa vergogna che gronda dal celebre monologo di Califano: avventura con un travestito.
Così, mentre l'amica aggraziata e disperata elucubra nel voler tentare un traffico di caciotte tra l'italico tacco ed il padan triveneto, ella mi sorride e mi suggerisce arcigna:
- Alcor, dammi il tuo CV, ed una lettera di presentazione...
- Ma io già ho le mie consulenze...
- Ascoltami, Alcor.
- Toh, un pezzo della lettera:
"Alcor, colui che sta a Confindustria come Veltroni sta a Martin Luther King. Nasce nel territorio della Comunità Montana più sputtanata d'Italia, nel novembre 1982, una manciata di ore dopo la dipartita del compagno Leonid Il'ič Brežnev. Gli agiografi dell'epoca parlavano di probabile metempsicosi, quando egli cominciò giovanissimo ad elaborare le prime teorie circa la sovranità limitata esercitata dalla sfiga sugli esseri umani, nonché una revisione in chiave sessuologica del marxismo.
La sua formazione culturale risente molto degli effetti della riforma agraria compiuta da De Gasperi, ed è sopravvisuto agli anni '80 e '90 nonostante Berlusconi. Da bambino, dopo aver letto il mito di Teseo, decise che avrebbe fatto politica attiva."