giovedì 20 settembre 2007

Una giornata


Mi piace sempre definirlo così, un giorno. Un ritorno del mondo al punto in cui è adesso, nel suo girotondo intorno a se stesso. Trottorella il mondo, sobbalzando leggermente ai poli, ed io ora sono qui, con solo un giro del mondo di ritardo.
Ho trascorso gli ultimi due giorni come fossero due gemelli siamesi dello stesso attimo, fusi dalla frenesia degli appuntamenti improrogabili con la realtà che non puoi disertare. Eppure l'avrei fatto, oggi pomeriggio, mentre quel pullman attraversava quel paese così diverso dal mio. E volevo scendere lì, alla fermata precedente, perchè temevo di conoscere cosa mi attendeva al varco delle  fermate successive... Ma c'era soltanto il forte vento a raccogliermi quando sono sceso. Tutto è così automaticamente predetermianto. Come sempre, il passo svelto sino alla stazione centrale, dove c'è la fontana in manutenzione da mesi. Peccato che lo fosse, la costeggiavo sempre lungo il lato avverso al quale soffiava il vento, cosicchè goccioline invisibili avrebbero potuto sfiorarmi il viso, e tra quei fiotti finissimi e vaporei, un minuscolo arcobaleno si sospendeva tra le boccuccie della fontana ed i gas di scarico dei tram che da lì partono. Un arcobaleno al metano. Raggiungo il punto di raccolta delle genti affaccendate che devono attraversare tutta la città, ciascuno assorto nelle proprie cose. Ci arrivo ignorando il rosso omino dei semafori, rischiando di finire sotto la falce... ed un CBR per poco non mi ci portava, ma non lo ha fatto. "E non hai pietà tu di me?" Stavo urlando a quel dardo bianco spuntato
improvviso da una curva cieca. Niente falce per ora, ho promesso di non tramontare. In autobus non mi accorgo che a pochi passi tra la folla c'era una collega, dirà di aver fatto strani segni rivolti alla mia attenzione assorta, negli spazi limitati che la calca umana lasciava liberi al suo campo visivo, nel qual suo io apparivo, mentre il mio era del tutto spento e assente. Finalmente, scendendo, mi accorgo di lei, ha una valigia, saluterà tutti perchè parte per l'Inghilterra, lei ce l'ha fatta, se ne andrà. Ascolterà le nostre conferenze e ciao.
Pochi minuti ancora, io sarò il secondo. Dobbiamo caricare i nostri file sul portatile. Ed è lì che la mia natura scanzonata vien fuori... perchè dopo una notte insonne a preparare le slides maledette, dopo che la bottiglietta di caffè che avevo bevuto la sera prima per consentirmi una notte di lavoro mi aveva  cementato le palpebre mentre il resto del corpo voleva crepare dal sonno; dopo un'alzataccia alle 5.00 per continuare l'opera interrotta dal rifiuto del mio pc di assecondare i miei ritardi nottetempo, sono stato capace di dimenticarmi
a casa la pennina usb col mio sudato lavoro. Se fossi stato un personaggio uscito fuori dalla penna di Italo Svevo mi sarei dato una spiegazione psicoanalitica a tutto questo, come Zeno che sbaglia funerale perchè dentro di sè forse sa che quel defunto non gli era stato poi così simpatico. Ma io sono in cerca d'autore e non posso essere interpretato senza un contesto. E poichè io ho esperienza delle svariate forme inconscie in cui riesco spesso a farmi del male, ero stato previdente. Perchè avevo salvato la mia presentazione su un server, e dovevo solo scaricarmela. Fatto. Perchè io non mi frego nemmeno da solo. L'unica cosa che mi frega è una maledetta impostazione del firewall per msn, ma lasciamo stare...
Non c'è nessuno di potenzialmente fastidioso tra coloro che ascoltano, ma sinceramente non mi tangeva minimamente. La mente era altrove, come sempre. Ah!... Se ci fossero dei linguisti o dei grammatici a leggermi, faccio loro presente che il mio uso incoerente e blasfemo della consecutio temporum è ricercato e voluto, è un mio schizzo stilistico per mescolare i tempi nel periodo. Raccontare è come rivivere, e deve tracciare una via per sperare. Perchè il presente non è solo l'intersezione tra passato e futuro, ma una corsa dove non vuoi restare indietro ai tuoi sogni sfuggenti. Ed il mio presente ora è una canzone che da tre giri del mondo non riesco a tener spenta. Come una sorgente da cui s'abbevera l'anima, come un corso d'acqua limpida e trasparente nella quale essa si specchia dopo essersi assetata, e dopo aver visto chi c'è in quell'immagine, ritorna a bere. Ho pianto ascoltandola e mi risuona, mi incalza al desiderio di dismettere via tutto e tornare lì dove lei canta questi miei giorni.

Una collega a cui è stato riferito che non andrà in terra d'albione si offre d'accompagnarmi mentre nasconde la delusione a stento. Viene con noi anche un altro collega che invece lì già c'è stato, e tra una delusa ed un soddisfatto, c'ero io che non andrò da nessuna parte. La sera è già fredda qui, e fa buio presto, ma sono contento, perchè le ultime stelle d'estate
oramai si mescolano alla luce del giorno, e solo un avanzar prematuro della sera mi consente di vedere ancora Antares al di sotto di Giove.
Sto andando a casa. Colto da un attimo di immenso inatteso, e tanto lì dura la mia casa.
Il tragitto scomodo appoggiato al finestrino appannato si compiace di offrire storie narrate ad alta voce, storie che dovrebbero restar celate nei sussurri, storie di addii e voglia di star soli raccolte da orecchie estranee, transitate anche nei pressi delle mie. E nella voce spezzata ma risoluta della fanciulla alle mie spalle che ricacciava qualcuno al telefono, ho sentito una tenerezza posarsi tenue in fondo lì, dove s'abbevera l'anima, dove sento di tornare a casa. E' solo la corsa serale di un autobus, ma spesso si diventa involontari scrigni feriti delle storie altrui, di parole carpite involontariamente da quella madre ansiosa, del racconto di tanti giorni diversi che si incontrano tutti a pochi millimetri l'un dall'altro, come fosse la storia di un'unica vita del genere umano che si consumava nello spazio di un'ora, di quel ritorno a casa. E nel buio distinguevo tra i vetri sporchi e le luci del mondo fuori i rami di quegli alberi, sempre loro, chiome che ancora riescono ad interrompere l'oscurità, sventolate come bandiere dal vento, ma non in senso di resa. Tutto sembra bello se c'è un pensiero dolce a dipingere l'aura di ciò su cui si posano gli occhi per caso, o per semplice stanchezza.
E' solo che quel ritorno a casa ancora non ha mantenuto la promessa. Perchè sono qui tra i mistici echi della notte, tra il quieto sopraggiungere dei fruscii che interrompono i percorsi silenti di strade deserte, a rendicontarmi i passi di un mondo che guarda avanti ritornando indietro, al medesimo punto di partenza.
E lo sento anche io, che il treno ha fischiato. Sì forse sta fischiando ancora più forte il treno, fischia ma io mi volto alle mie spalle, perchè forse non è la chiamata per me, forse c'è qualcun altro che sta arrivando e che rischia di perdere la sua carrozza. Il treno fischia e invita a far presto, fischia e  chiama con ansia. Fischia il treno ma non si odono passi. Il treno ha fischiato, ed io forse sono solo un errore.

2 commenti:

  1. finalmente riesco ad entrare in questo blog. Ogni volta che ci provavo mi si bloccava Opera.

    saluti..

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  2. Ciao Paniko, forse è il mio blog ad essere un'anomalia. Anzi, togli il forse.

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