giovedì 26 maggio 2011

La casa sul mare - 5


V
Intanto una voce di un vecchio si levava anch’essa da quella casa vicina. - Vera! Vera! Torna qui brutta bambina stupida… - Imprecava, chiamava, apostrofava la bambina.
– E’ tuo nonno, vero? - chiese lui, vergognandosi della pietà per quella povera anima ancora immune dalla realtà cruda.
- Sì, mio nonno è tanto severo, ha un fucile, dice che serve per far paura all’uomo cattivo che abita a casa tua. – Sorrise. – Si… fa tanta paura il fucile del nonno, tanta.

La piccola ebbe un sussulto improvviso verso di lui. - Vieni con me, quella casa è brutta, andiamo sul molo e aspettiamo papà!
Senza che lui potesse far nulla, Vera lo prese per mano e lo fece camminare con lei. Lui sentiva le sue gambe zoppicare accanto a quella piccola che gli curvava la schiena. Si lasciava condurre, senza opporre resistenza senza più ascoltare le voci che da quella casa sentiva levarsi verso la sua guida dai riccioli biondi.
Lei lo trainava e più camminava più si sentiva leggero, più riacquistava la linfa nelle gambe, più l’odore torbido della casa sul mare si disperdeva nell’odore del mare che sentiva vicino, sempre più vicino.

Raggiunsero il molo. Era freddo e nero, continuamente bagnato dalle onde, stretto e vecchio. Pareva un ponte in rovina, una pensilina collocata sul mare per attraversare a piedi le acque. Nessuna barca era ormeggiata ai suoi lati.
Attendeva anche egli di sprofondare nell’alta marea. Non se ne era accorto, ma all’estremità del molo questo aveva ceduto all’erosione del mare, e la punta era crollata in diversi blocchi di pietra franati chissà da quanto tempo. Erano ricoperti di alghe e di liquami sedimentati sulla roccia.

Guardò quel ponte interrotto, mentre un canto sottile e sussurrato dalla piccola accanto a lui che dondolava il suo braccio, per un attimo zittì il vento, e assopì il mare. Il molo pareva allungarsi, il ponte sembrava non interrompersi più e fuggire verso il cielo, sembrava una strada agevole che il suo cuore riusciva accogliere con sobbalzi sempre più miti, lontani dalla stanchezza, prossimi al tepore di settembre.
La spiaggia lontana appariva adesso pulita e chiara nel tramonto, l’acqua era immota man mano che ci si allontanava dalla battigia, ondeggiava con ansia, ma senza alcun impeto. L’acqua cheta assomigliava al mesto placarsi del suo respiro. In quel punto, con la piccola Vera, il suo affanno pareva predisporsi a svanire.
Vide anime e destini percorrere quell’acqua, passi e racconti, storie di naufragi e rimorsi raccontavano i primi riflessi della sera che rendevano invisibile il fondo bruno. Ed il mare narrava mille voci disperse, di gente che non tornava ai suoi cari, che lì però avevano incontrato la pace, altre infinite e invisibili dimore tra le onde, scrigni intoccabili, solcati dal vento e calpestati dagli angeli.

Lì apprendeva in quel silenzio accarezzato dai versi della piccola Vera, che la speranza riposava nell’immensità del mare, che la pace sarebbe stata il mescolarsi supino tra il calpestìo delle fate e degli angeli sulla superficie che evaporava verso il cielo… avrebbe voluti sciogliersi lì, ed evaporare anche egli, lasciando al mondo un umido pugno di sale.
Già sentiva mescolare le sue membra fra la spuma argentata che sgualcita si dissipava in superficie, e mentre calava tiepido il crepuscolo, quella tavola vitrea appariva sempre più lontana dall’abisso che soggiaceva nel buio delle acque. Avrebbe allungato docilmente i suoi passi salutando la piccola Vera che lo aveva condotto verso quel ponte tra la morte e la speranza.
Si sarebbe annullato nei meandri in cui riecheggiava ancora il sorriso del suo bambino mescolato con il suo durante i giorni sereni a bordo della piccola canoa. Sarebbe divenuto mare che avrebbe dato sollievo ad altre vite, sarebbe divenuto un’onda che avrebbe illuso Vera sul ritorno del papà disperso. Pensava già che la condanna emessa fosse stata più clemente, e che accarezzando quel lento svanire il suo male sarebbe evacuato lontano dall’anima…
Sì fermò a gustare tutti i momenti con respiri convinti, di quel ristoro dei sensi e la fine che avrebbe desiderato per ritornare al principio. Non si accorse che la mano della piccola non stringeva più la sua, e che il suo sussurro s’era bruscamente interrotto.

- Papà, papà, sta tornando papà! – la piccola aveva visto un piccola vela all’orizzonte e cominciò a correre verso la punta del molo. La superficie di questo era cosparso di alghe e di flutti, la piccola inciampava ma correva, correva, si rialzava e correva… scivolava, e correva per poter rivedere il papà disperso.
Lui la guardava correre forsennatamente, mentre il mare ricominciava a gonfiarsi e la marea avrebbe divorato tutto in pochi minuti sotto la sua fagocitante voluttà. Doveva salvarla e corse arrancando vistosamente, tentando di attirare l’attenzione della piccola con schiamazzi soffocati.

Passi gonfi di ferocia si mossero intanto dalla spiaggia.
- Vera! Vai via da lì! Allontanati dalla bambina brutto porco! – Un urlo diabolico giungeva, e si distinse un vecchio zoppicante con in mano un fucile che con falsa rapidità si dirigeva verso il molo, mentre caricava la sua arma, seguito da una donna in lacrime che chiamava con ardore il nome della piccola che aveva orecchie solo per il vento che doveva avvicinare a lei quella vela, nella quale cullava la speranza che ci fosse il padre.
Non s’accorse del vecchio che sopraggiungeva.
Decise che doveva correre ancora, correre verso la piccola, mentre le onde si alzavano sempre più maestose, pregustando di inghiottire la piccola preda. Corse. A passi soffocati. Ogni passo gonfiava i suoi polmoni logori, per quegli ultimi respiri che avevano un senso.

Quando fu a pochi metri da lei riuscì a chiamarla.
- Vera torna indietro è pericoloso lì – urlò lui alla bambina, che saltellava vicino alla punta del molo in prossimità del punto in cui questo rovinava nelle acque tornate maledettamente troppo furiose.

Il caricatore del fucile era posizionato e pronto a levare il suo latrato verso il molo. Pochi attimi, pochi passi, ultime voci prima del ruggito.
Lui correva. Il fucile si caricava di morte.

La bambina saltava sulle sue strette ginocchia. La chiamò con voce disperata mentre la sfuriava si gonfiava sempre di più in ogni attimo. La piccola Vera riconobbe una voce paterna che le diceva di ritornare indietro, e si girò sorridendo verso di lui, dando le spalle all’impetuoso precipitarsi delle onde affamate di terrore.
Un’onda si levò famelica investendo di spalle la piccola Vera che scivolava via strillando, e chiamava: Papà!… Mentre i suoi piccoli piedi non incontravano il freddo nero del molo, ma slittavano via verso l’acqua bramosa. Lui riuscì a raggiungerla in un balzo che avrebbe consumato tutto la vita che gli fosse rimasta, riuscì a prenderle il braccio e tirarla in salvo a sé.

Mentre dall’imboccatura del molo, la bestia ruggì.

Un unico sordo fragore, che intimorì anche le onde del mare. La pallottola perforò la sua testa, bruciando il cervello e asciugando con il calore dell’odio il sangue che dal foro infiammato non sgorgava neanche. Non ebbe il tempo di capire, di vedere, di presentarsi degnamente al suo appuntamento con il destino. In un istante si spense la coscienza.
Il tuono avrebbe consumato ogni misero desiderio di consumare quegli attimi agognati in cui aggrapparsi piano tra la vita e la morte mentre vi avrebbe voluto calarsi in quest’ultima cosciente e deliziato nel riposo della sua anima.

Dopo giorni di agonia e morte dell’anima, Vera era riuscito a condurlo su quel ponte dove si insegue la speranza, e lui quasi inconsapevole, concepì un desiderio di pace e redenzione. Pregustare la fine tra quelle onde e aggiungere il suo triste destino a quell’eterno ritorno che lo avrebbe reso infinito.
Ecco che malvagio e tetro il patibolo atteso s’era manifestato per lui, nella pena più atroce e violenta, deprivandolo dell’ultimo briciolo di vita che aveva trovato il coraggio di costruire nel suo cuore. Finì così il vano supplizio, senza coscienza e redenzione. Nell’oblio di un buco nella testa perforata con indifferenza, senza che sgorgasse via il suo sangue.

La piccola Vera gemeva terrorizzata con quella carcassa senza anima addosso. Il vecchio e la madre li raggiunsero al termine del molo. Sollevarono la piccola. La videro ansimare, con gli occhi sbarrati, non muoveva palpebre, ciglia, labbra. I suoi capelli parevano voler resistere al vento.
Pallida e smorta, la allontanarono via. Il cadavere putrido fu presto condotto nella casa sul mare. Il vecchio raccolse le travi di legno disseminate sulla sabbia e accese un fuoco cospargendo di benzina le mura decrepite, sollevando una fiamma che rendeva invisibili le stelle.

Tra le fiamme le pareti della vecchia catapecchia cedettero piano, il soffitto crollò improvvisamente sul cadavere che ardeva. Quella fu la sua tomba di odio e di fuoco.
La piccola Vera dopo qualche mese che non si muoveva più, che non parlava, che s’era trasformata in un vegetale marino, fu portata in un istituto di recupero psichiatrico. I pescatori, spaventati e costretti abbandonarono per sempre quella spiaggia.

La vita era completamente sparita. Il male, aveva compiuto il suo ciclo nell’eterno ritorno delle onde del mare.

3 commenti:

  1. amicu mi è vistu puri io  ti vengh a trov       ottimo narrarazzione tvbene lo sai 

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  2. Sono senza parole, bellissima. Ho il cuore a duemila, dove trovi l'ispirazione? Vorrei saperlo

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  3. La trovo seduto sul cesso, tutte le mattine.

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