martedì 8 aprile 2008

Erostrato




Gli uomini bisogna vederli dall'alto. Spegnevo la luce e mi mettevo alla finestra: essi neppure sospettavano che si potesse osservarli dal disopra. Gli uomini dimenticano di difendere spalle e crani con colori vivi e stoffe vistose. Sul balcone d'un sesto piano è qui che avrei dovuto passare tutta la vita.

Sono da poco tornato dopo una mattinata nebbiosa trascorsa a riempire di invettive invane il buco nell'acqua di una giornata persa.
Giungo alla fermata dell'autobus dopo una passeggiata lenta e mattiniera. Troppo lenta, avrei dovuto immaginarlo ed affrettare il passo, avrei dovuto essere ben certo che l'autobus sarebbe partito senza di me. Eppure quando alcuni giorni si muovono da soli, anche forzare un passo sembra difficile. Da questo sbuffo novembrino è scesa da un'auto una vecchia conoscenza emigrata. La ricordavo con i capelli castano chiaro e corti davanti agli occhi, un'aria ingenua e una S moscia da antologia dell'involontaria sputacchia. Aveva una grossa valigia blu notte e doveva prendere un treno. Non conosceva gli orari degli autobus, ed aveva le unghia coperte da uno smalto nero e lunghi capelli tinti di rosso prunaio. Questa mattina aveva provato a non dover farsi plagiare l'attesa da una corsa dettata dall'ansia dell'ultimo minuto. Niente da fare, anche stavolta pochi istanti frettolosi l'avrebbero separata da quell'autobus che bucava l'umida mattina, ed il suo treno.
- Tu ti fermi qua? -
- Sì, io mi fermo qua. Consegno un foglio e torno. Tu, salutami le montagne... -
Qualche sera fa' brulicava di individui una piazza di cui non sono cittadino, in un paese che miro dall'alto verso il basso. - Ma come fai? - mi chiese un amico smilzo col doppio dei miei anni - come fai a fare tutto questo e ad essere un misantropo? Ti contraddici. -
- Sono vasto. Contengo moltitudini. -

Bisognava talvolta ridiscendere in istrada. Soffocavo. Quando si è sullo stesso piano con gli uomini, è molto più difficile considerarli come formiche: ci toccano. Il cuore mi batteva così forte che mi facevano male perfino le braccia. Le mie dita, nella tasca, erano assolutamente molli intorno al grilletto. Le pesone si allontanarono, e le seguii macchinalmente. Ma non avevo più voglia di sparar loro addosso. Mi ripetevo: Perché bisogna uccidere tutta questa gente che è già morta?
Avevo voglia di ridere.

Ho la maschera di un vigliacco, e non so chi me l'ha cucita addosso. Ora non ho voglia di far niente, di interdire i minuscoli circuiti che ricuciono i canali per rintracciarmi.
Posso scegliere gli sguardi di cui volermi bagnare. Ed arida è la terra quando non piove. Potrei manovrarli con l'amo del desiderio e l'esca di una parola. Potrei posarmi con un trasparente volto di cristallo ed i bulbi vermigli, senza pupille. Non ho bisogno dei miei occhi. Una voce respinta dal vento come un'eco che si ascolta o si ignora.
Sì che sono bravo a farmi il deserto intorno, che la memoria umana ricorda colui che distrusse il tempio e non colui che lo eresse. Gli antieroi hanno decisamente una storia più interessante da narrare, una storia meno triste di chi è continuamente assediato dall'essere un'attesa per gli altri. Schiavi di una sorte che non è la loro.

Amo l’acqua perché non mi ha mai chiesto niente
Amo agosto perché non mi ha mai chiesto niente
Amo la paglia perché non mi ha mai chiesto niente
Amo la roccia perché non mi ha mai chiesto niente
Il giglio perché non mi ha mai chiesto niente
Amo il coniglio perché non mi ha mai chiesto niente
Il fuoco perché non mi ha mai chiesto niente
Il vento perché non mi ha mai chiesto niente
Amo il rubino perché non mi ha mai chiesto niente

Perché non te ne importa niente
perché non me ne importa niente
io cosa ho chiesto
quando ti ho vista,
a te…


la mimosa a marzo è gialla
l’universo si allarga, si spande
tutti gli uomini vanno a lavoro e
i ragazzi a scuola e i bambini all’asilo


brani tratti da Erostrato, di Jean-Paul Sartre.

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