lunedì 25 febbraio 2008

La trasparente reticenza del prof. R. (parte II)

Un così giorno perfetto



Il Prof. R. osservava la sua ombra allungarsi ai piedi di S., vedeva gli occhi di lei sottrarsi alla luce nelle palpebre strizzate e semichiuse che sembravano ulteriormente allungarle le ciglia. Quel volto avrebbe reso un’effigie al sorriso con qualsiasi frammento della pelle, con qualsiasi barlume di viso percepibile in un istante sfiorato con gli occhi da un distratto viandante. Qualunque ricordo dell’espressione di S. sarebbe stato un inganno, se non avesse ridisegnato nell’idea quel suo sorriso, al di là di ogni reale lieta posa delle sue labbra.   
- So chi è lei, professoressa - la interruppe il professore distogliendo via l’auricolare dall’orecchio destro. E le porse la mano.
- Oddio! Non l’avevo proprio riconosciuta! Che figura, professore... -
- Non si preoccupi, signorina S. - Le disse mentre fissava ancora quel suo candido collo bagnato dal sole.
Lei gli sorrise. Il prof. R. accennò a sorriderle a sua volta. E seguitarono insieme in quel tragitto che entrambi conoscevano.
Si sedettero al tavolino del chiosco nei pressi della scuola, S. ordinò la sua abituale cioccolata calda, il prof. R. prese uno strano intruglio composto da tre bevande alcoliche, cremose e dolciastre, rigorosamente molto ben riscaldato.
- Beve spesso quella specie di miscela fumante, o le piace anche altro? - Domandò lei.
- Mi piace molto anche la Sangria. La preferisco con i chiodi di garofano. Ma è ancora presto per le arance. -
- Se vuole ci sono le arance tutto l’anno… -  Disse lei con il cucchiaio di cioccolata ancora poggiato sul suo labbro inferiore.
- Sa che le arance sono un ottimo rimedio per l’influenza? Da bambino a novembre cominciava a prendermi il raffreddore e mi dicevano che dovevo mangiare tante arance, a novembre. -
- Lei di dov’è prof. R.? Non ha un accento riconoscibile… -
- Un posto dove a novembre maturano le arance. - Tagliò corto con uno sguardo alla sua destra il prof. R.
Ascoltava con interesse quanto S. gli raccontava di sé. Tuttavia lei parlava con discrezione, accennando e tentennando tra l’attesa di qualche domanda di curioso interesse da parte del prof. R., e una certa diffidenza nei confronti dell’attenzione di questi a non andare oltre i naturali canoni di una cordiale conversazione che servisse soltanto a riempire il tempo necessario a non mancare di cortesia a chi vi si trovava lì. S. notava però che di tanto in tanto il prof. R. tirava fuori la sua agendina, su cui prese da subito a puntellare alcune pagine con lesta riservatezza. Rispondeva celermente alla conversazione con la signorina S., eppure, senza dissociarsi un attimo dal loro chiacchierare riusciva a dedicare degli attimi alla sua penna e al suo piccolo libricino nero.
S. amava molto parlare anche del nulla, ritenendo che magari un fondo di logica si potesse trovare ovunque. Si rischiarava sovente lo sguardo con la mano, piegando una ciocca della sua frangia vacillante davanti agli occhi. Talvolta prestava attenzione a ciò che ascoltava stringendo le labbra forse per poi prepararsi meglio a sorridere, o forse era soltanto ciò che avrebbe desiderato un qualunque interlocutore che le sarebbe capitato dinanzi, smarrito nella confusione di dover starle dietro nei discorsi, o fermarsi a contemplarle il sorriso sbocciare da quelle labbra strette dal dubbio e poi dischiuse come una rosa rossa ai bisbigli di maggio.
E lui la fissava invece senza essere minimamente coinvolto dalla sua bellezza.
Alcuni che passavano di là vedevano il prof. R. seduto ad un tavolo con una donna, una collega, e non riuscivano a contenere malcelate reazioni di ilarità.
- Lei non si fa vedere molto in giro… professore. -
- Lo so. - 
Attraverso quegli occhiali scuri S. non riusciva a individuare la direzione delle pupille di R., non avrebbe mai potuto indovinare che esse erano rimaste immobili, immutate, poste su un punto fin dal primissimo istante, il suo sguardo si era posato lì e non s’era schiodato.
- È un po’ colpa sua se non l’avevo nemmeno riconosciuta, prima. -
- Sì, è vero… come si trova ad insegnare qui, signorina S.?-
- Potremmo anche darci del tu, che ne pensi? In fondo dovremmo essere anche colleghi… -
- Va bene… -    
- Il francese si insegna facilmente, ed i ragazzi sembrano svegli... - Rispose S.
Il prof. R. non aggiunse altro, piegò il capo alla sua destra, senza tuttavia distogliere il suo sguardo.
- E tu? Sei contento di stare qui? Cosa fai fuori dalla scuola, lezioni? -
Il professore scrisse una parola sul suo libricino e non rispose. Tuttavia emise un sorrisino tenue che faceva capire come comunque avesse trovato nella sua vita un delicato equilibrio e seppure non poteva definirsi felice, di certo non pativa. E i suoi giorni migravano dalla malinconia alla serenità come la nebbia calava o si sfaldava davanti al mattino, senza un perché, soltanto quieta ad un gioco di combinazioni di calore e direzione del vento.
- Ma vivi solo? - domandava lei.
- Vivo… con tante cose che avrei voluto lasciarmi indietro, ma spesso non c’è posto. -
- Ah... Ma, dicevo, vivi solo? -
- No -
- E chi c’è a casa con te? -
- Nessuno. Tu vivi sola? -
- Con mia sorella. -
Seduti per un paio d’ore a quel tavolino, parlarono a lungo ed il prof. R. riuscì a non dire nulla di sé. Le nuvole avevano di nuovo riavvolto il cielo. S. ebbe un brivido che s’accompagnò ad uno sguardo furtivo verso le scure lenti di lui, e mentre stringeva nel suo cappotto coprendosi il collo con la sciarpa verde, non s’accorse che in quel preciso momento aveva del tutto spento l’attenzione di R..
- Tra un po’ piove, perché hai ancora gli occhiali scuri? Il sole non c’è più! -
- Sì, il sole s’è appena coperto. - Disse richiudendo il suo libricino e riponendolo in tasca.
- Vuoi un passaggio? Dove devi andare? -
- No, vado a piedi. Grazie di tutto. -
- Grazie a te, R. Allora… ci vediamo presto. -


Salutò S. con un cenno della mano e le pupille rivolte alle montagne, voltandosi, scomparve dopo pochi passi.
Quella mattina però non fu l’unica. Si incontrarono il giorno dopo a scuola. S. non s’era mai soffermata sulla presenza pressoché anonima di R. in quell’istituto. Si accorse in quei giorni quanto fosse accorta la sua capacità di sembrare invisibile. Salutava lentamente le persone senza guardarle, non diceva nulla che non fosse scontato, già detto, inutile. Eppure era sempre lì il prof. R. Sempre presente ma invisibile. Riusciva a mimetizzarsi con le pareti bianche, confondersi tra i banchi scompostamente disseminati nei corridoi, tra gli armadi e le cattedre, nelle lavagne macchiate da polvere di gesso, nelle formule che i suoi alunni vi scrivevano.
Non dava cenni di cedimento dalla normalità, la sua prevedibilità era una mantella trasparente che lo rendeva insignificante all’attenzione di tutti. Faceva le sue cose, quello che andava fatto e poi spariva. S. stava imparando ad esaminarlo, ma non riusciva conoscerlo. Scambiavano delle parole di tanto in tanto ma lui non diceva mai nulla. Riservato come il portone di un vecchio maniero settecentesco con l’edera radicata sulle giunture. Non s’apriva. Non si capiva che cosa si celasse dietro quegli occhiali scuri, che cosa mai ascoltasse in quegli auricolari che non lasciavano scappare via nemmeno un suono per sbaglio. Era inaccessibile. E scriveva, appuntava, annotava, a volte semplicemente guardava.
E tutto questo col passare del tempo spingeva S., contro la sua stessa volontà, a non lasciarlo in pace con gli occhi, e con la mente. Lei era moderatamente curiosa, era gioviale, allegra. Aveva sempre tante attenzioni addosso, tante tranne una. Quella che le si posava soltanto quando le capitava di fare irruzione nella calma marmorea e serafica del prof. R.
Una volta, dopo qualche settimana capitò improvvisamente che R. invitò S. a fare una passeggiata di pomeriggio in pineta.  Glielo chiese in maniera fulminea, come se glielo stesse meramente notificando, senza darle il tempo di pensare e capire altro che fosse diverso da un bisillabo di rifiuto o gradimento. E lei, non senza pentirsi per poi ripensarci subito dopo, spiazzata, accettò.


Camminavano addentro all’autunno e lei lo guardava finalmente aprirsi in storie e racconti di vite non sue, perdersi in discorsi sugli alberi e sugli uccelli, sulla minuziosa descrizione delle abitudini bizzarre di alcune piante e di fiori; intensamente coinvolto sui ricordi che sembravano dettargli quelle nozioni e conoscenze su qualsiasi cosa si posasse il loro sguardo. Non aveva gli auricolari, sembrava non avere neanche la sua così strana agendina. Ad un certo punto giunsero ad una panchina di pietra dinanzi ad uno stagno, dove la pineta saliva su un dosso aperto al tramonto.
- Aspettami qui… - disse lui -  …torno subito. -
Lei cominciò a pensare che le reticenti resistenze di costui non erano così insormontabili, cominciava a pensare che fosse davvero una creatura senza origini, un emblema del presente che non fosse conseguenza di alcun passato, e non fosse causa di alcun futuro. Egli sembrava vivere l’attimo… era come un fossato con il ponte levatoio sempre calato, ma una volta giunti entro le mura, il castello non c’era.
Tornò dopo qualche minuto dal punto in cui era scomparso dallo sguardo silenzioso di S. che l’aveva visto allontanarsi. Reggeva due coppette.
- Prendi - le disse porgendole una di queste.
- Ma è Sangria! - Esclamò lei sorpresa.
- È novembre, ci sono le arance. -
Seduti a quella panchina, il tramonto cominciava a spianare i pastelli caldi con cui si tinteggiava il cielo.
- Vieni spesso qui? - Chiese lei.
- Sì, mi piace passeggiare qui, raccogliere le caduche foglie dei castagni sino al tramonto, fino a quando le voci dei passanti diventano sempre più rarefatte, fino a quando non fischia la sera nei meandri dei cespugli, fino a quel sottile momento in cui il silenzio non è ancora una preda del buio intenso che trasforma il mistero in timore… -
- Non sembri per niente un matematico! - lo interruppe bruscamente lei.
- Lo so... Sono un uomo, ed i giorni necessitano di una logica sempre dimostrabile per essere giudicati e accettati…  -
- Non capisco... - confusa mormorò S.
- Non fa niente - sorrise - Guarda lì, il sole che cala tra i cirri all’orizzonte. Hai l’impressione che il sole si muova se lo guardi all’alba o al tramonto, ignorando poi  per tutto il giorno la sua presenza nel cielo; almeno finché qualcosa di meraviglioso non venga scoperto dalle sua invisibili mani di luce. - E mentre diceva quelle parole, il prof. R toglieva via le scure lenti e increspava lo sguardo in direzione ovest, distendendo lentamente lo sguardo parallelamente al calare completo del sole.
- Chi sei tu? - esplose S. ed R. voltando i suoi occhi verso di lei le sorrise ancora.
- Sono solo alle prese con un involontario soggiorno. Si sta facendo buio, andiamo a casa. -


I cancelli della pineta sarebbero rimasti ancora aperti, S. abitava dopo qualche isolato ed R. la accompagnava guardando alle case senza mancare di commentare alcune forme strane di balcone, o qualche finestra senza parapetto che sembrava potersi perdere nel vuoto, tradendo una strana vertigine nel descrivervi l’inutilità di queste. Ammirava le guglie poste su alcuni vecchi frontoni e avanza ipotesi sul periodo di costruzione di quegli edifici, guardando poi al paesaggio montano, e cercando una logica difensiva alla collocazione di ogni cosa.
- Tutto sembra posto a protezione di qualcos’altro, ogni cosa è collocata per sentirsi al sicuro, guarda. - Ed indicava qualcosa agitando le braccia.
S. ascoltava, a volte interessata, a volte semplicemente colpita da quelle logiche che volevano ricomporre il mondo in un unico grande equilibrio.
- Ti piace il cinema, R.? Magari una sera potremmo andarci, magari, dopo un’altra passeggiata al parco come oggi. -
- Adesso... - disse lui. - Se puoi, non tradire l’ispirazione di questo momento che potrebbe non tornare. Andiamoci adesso. - Rispose con impeto R.
- Andiamo allora. - Disse lei sorridendo, indicando la strada per raggiungere la piccola cineteca di provincia all’imbocco del viale.


Dopo il film, dopo i commenti a cui R. non sembrava ben disposto pur facendo trapelare una certa soddisfazione, erano davanti al portone della casa di S.
-
Eccoci qua, io sono arrivata. Se vuoi prendo la macchina e ti accompagno… - Propose lei.
-
No S., non preoccuparti, è così trasparente questa notte, non vorrei mai negarmi questo canto notturno, come un pastore errante… -
-
Leopardi… - disse lei.
-
Sì, proprio lui, anche in una notte senza luna come questa che cancella i pensieri. -
-
Grazie di tutto R., sono stata bene oggi. Spensierata, tranquilla, grazie… - disse lei abbassando lo sguardo dinanzi a chi la fissava diretto e quasi imperterrito. R. non sembrava voler rispondere, alzando lievemente gli occhi al cielo sembrò sorridere dopo qualche timido istante.
-
A volte capitano giorni in cui si riesce a dimenticare tutto quello che circonda la vita di un singolo istante, si dimentica persino chi siamo, si ha come la sensazione di sentirsi qualcos’altro, qualcosa di buono, sono così i giorni perfetti. A presto… -
E sfiorandole dolcemente le dita della mano sinistra come fosse un saluto, come fosse anche un tentativo di allungare quel giorno perfetto, si voltò verso il viale con un cenno del viso, e con la brezza che gli scompigliava i capelli, strinse le spalle intorno a quella notte, lasciando lei a seguirlo con lo sguardo finché non diventava un puntino flebile e lontano. Lo guardava finché non scomparve, sentendo scivolare i brividi di quella sera lungo le braccia, raccogliendo tutti i piccoli attimi di quell’incontro, percependo quasi che la sua vita si strofinasse su questi per assaporarli fino a fondo. Fintanto che non sparì del tutto quella stella nera sotto i lampioni  tersi della notte umida, canticchiando a labbra semischiuse un motivetto docile che preservasse quel giorno perfetto.





Continua...

 


4 commenti:

  1. il prof. R. è per caso dello Scorpione? dalla simpatia che sprizza da tutti i pori, direi di sì.

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  2. Scorpione:


    (dicono) passionale, impetuoso, possessivo, vendicativo, intransigente, estremista, curioso, idealista, creativo, individualista. Speleologo del corpo e dell'anima, ha una vita psichica molto intensa, che gli permette di sviscerare ogni cosa. In continua ricerca di un principio di vita, non accetta compromessi.


    Questo tizio non racconta niente, è reticente, forse nasconde qualcosa (non è gay!), vedremo alla fine...

    Di sicuto il papà del prof. R. è Scorpione 100%! :-D

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  3. lo scorpione non si scopre, ma col suo fascino riesce a far aprire gli altri. è manipolatore e ha il terrore di perdere il controllo delle situazioni.


    altro che favolette di creatività e idealismo... leggi Sfigology vah, e fatti una cultura in merito, mon cher. :-)

    (sia chiaro che anche questo commento è ironico, dovessero scattare ritorsioni verso le mie sinapsi dai piedi doloranti...)

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  4. Very very interesting...

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