lunedì 4 febbraio 2008

Guarda Emily che gioca...








Ogni volta che mi addormento il pomeriggio mi sveglio sempre con il mal di testa e con un latente sostrato di sonno che mi impedisce di adempiere al meglio le rituali gesta con cui è sancito ormai che debba compiersi il giorno. Perché bisogna sempre adempiere le scritture. E su un registro  c'è scritto che devo fare determinate cose entro un determinato tempo, altrimenti il sinedrio e gli anziani non mi fanno arrivare a trentatre anni. Nessun Barabba si propone per uno scambio di incombenze e responsabilità? Nemmeno un Cireneo che mi dia una mano lungo la scalata al colle ventoso? Vabbè finiamola con la metafora blasfema, non vorrei dare adito a tutti coloro che mi accusano di superbia e boriosità.
Ieri mattina derogavo all'adempimento dei precetti della mia apocrifa esistenza, e appoggiavo il tallone delle mie lucidissime scarpe nere alla parete di un grande palazzo settecentesco che faceva ombra su una miriade di pargoletti mascherati intenti ad perfectum gaudium.
Ammiravo il folto addensarsi di quell'indistinto sciame di homini sapiens chiamato società. Giovani coppie alla maldestra ricerca della prole istantaneamente smarrita mentre ci si era voltati un secondo a salutare quell'altra coppia che invece la prole la regge al guinzaglio. Teneri fanciulli imbacuccati da pagliacci o fatine, e la lacrima disegnata sulla guancia che non è solo un trucco a matita, che sognavano invece di scorrazzare disordinati per la piazza travestiti da qualche violento guerriero dalle mani grondanti di sangue. Entrare per un attimo nei panni della propria innocente fantasia, dove follia e spontaneità si intersecano e si abbracciano. Nella parata di angosciate porcellane di buona famiglia io vedo gli anarchici e i ribelli a cui servirà solo pompare la giusta dose di autocoscienza. Ovviamente la vita di ognuno sperimenta tangenti che non si identificano in un genere specifico. La giovane coppia che mi ha messo al mondo apparteneva alla schiera di quelle che mettevano il guinzaglio alla prole, ed esibiva il proprio prodotto infagottato da gentile imbecille, mentre costui nella sua mente covava di essere Jack lo Squartatore. Soprattutto quando in tenera età rimasi estremamente affascinato dal XXVIII canto dell'Inferno e dalla pena riservata al seminatore di discordia Bertram dal Bornio.
Mentre ogni tanto mi distraevo dal rimirar il social consesso, perché i filantropi avventori sociali che mi accompagnavano mi richiamavano ai loro monotoni argomenti, una giovane coppia che frequentavo è subentrata nel mio campo visivo. Il papà portava in braccio un bimbo di neanche due anni. Per diverse ragioni senza importanza non ho più contatti con queste persone. Fino a qualche mese fa’ quel bambino però lo prendevo in braccio, lo coccolavo, ci giocavo così come adoro confrontarmi con la sincerità di chi non capisce un tubo di quello che dico, e che mi risponde sempre e solo ridendo. L’inconsapevolezza, che è la massima delle libertà e la più avvilente delle catene. A volte quel piccolo mi era sembrato l’unico essere umano che era riuscito a darmi un’identità, ogni volta che mi vedeva batteva le mani, era la prima lezione che gli stavo impartendo per farne un buon militante prima ancor che sempre azzurra non potesse essere più la sua età. Lo guardavo ieri da lontano,  camminava, ha imparato bene e si confondeva tra le gambe dei giganti. Avrà rimosso ormai il mio volto dalla sua flebilissima memoria; un giorno diventerà un ragazzo ed io avrò i capelli completamente bianchi e gli occhi indeboliti.
Gli parleranno di me, gli racconteranno la storia di uno spregevole bastardo. E mi guarderà torvo mentre io attraverserò la strada oppure mi rinverrà nel sinedrio della sua piccola ridicola realtà. Realtà così prona nel dispensare giudizi senza appello e senza disporsi ad ascoltare, in nome di superstizioni morali corrotte dal non esser capaci di guardare oltre la sterpaglia che cinge il proprio orticello coltivato a cavolfiori e ignoranza. Ma questa per me sarebbe una sconfitta atroce, perché vorrà dire che non me ne sarei andato. O peggio ancora, che sarei potuto essere tornato. Qui forse, non ci tornerei nemmeno a morire. Vorrei non avere alcun luogo da ergere a tomba del passato e del futuro.
La persona a cui il piccolo si rivolgeva battendo le manine, è morta già.
L’Emilio di Rousseau, un giovane che doveva forgiarsi
e educarsi nell’amor proprio, e nella purezza di una vita senza contaminazioni sociali che trasformano l’individualità e l’originalità in egoismo e paura. Finché sei innocente, Emily, giocare e non pensare è gratis.



Emily prova ma non capisce
Ha spesso la tendenza a farsi prestare
I sogni di qualcun'altro fino all'indomani
Non c'è un altro giorno
Proviamo in un altro modo
Libererai la tua mente e giocherai
Giochi gratis oggi
Guarda Emily che gioca
Poco dopo che si è fatto buio Emily piange
Guarda fissa attraverso gli alberi, afflitta
Quasi non emette un suono fino all'indomani
Indossa un vestito che tocca terra
Galleggia su un fiume
Per sempre
Emily, Emily

Syd Barrett, See Emily Play, 1967
Pink Floyd - Relics


2 commenti:

  1. Ho sempre avuto paura dei bambini, i bambini sono scatole nelle quali puoi mettere dentro tutto... Anche dinamite. Possono farti scoppiare... Di solito fanno boom, e il tuo cuore e la persona che credi di essere si sgretola di fronta a tanta tenera cattiveria non controllata.

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  2. Un po' come avviene con la verità... fa paura.

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