venerdì 28 dicembre 2007

Autoritratto



"...Come vede, nella mia vita non c'è niente che meriti di essere rilevato: è tutta interiore, nel mio lavoro e nei miei pensieri che... non sono lieti.



Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria.



Chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più a ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita.



Così è. La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del destino, che condanna l'uomo all'inganno. Questa, in succinto, la ragione dell'amarezza della mia arte, e anche della mia vita..."


Luigi Pirandello, Autoritratto




Sono giorni in cui prendo le mie parole, raccolgo i miei salubri silenzi, e porto tutto a casa. Accanto a me. Così le placche del mio cerebrale mantello sussultano senza sviluppare bradisismi vocali e turbolenze verbali. Così si scuote meno aria, e la polvere pirica non infiamma le mie dita dedite al racconto. Così il sisma però non si dilegua. Perdura. E ha diritto alla sua quotidiana razione di fuga dalla quiescienza nella quale lo ricaccio a stento. E devo adombrarmi, dietro le spoglie mnemoniche dei miei eletti. Dietro parole non mie che ricalcano i miei medesimi pensieri. Quando non fluisce abbastanza senno, e sentimento. Quando si è capito il gioco, e non è più la stessa storia. Un'altra storia, per mutuare una normale espressione a me preziosa. Emblema di un tempo, d'una treccia di fili d'oro, ricordi e pensieri.
Sto dipingendo un'ombra che eclissa il sole. Sto dipingendo una mistura di ciò che mi manca e ciò che non ho mai conosciuto, sto dipingendo una voce ed un silenzio, sto dipingendo i contorni di qualcosa che attendo e che vive dentro di me e nella mia mente, come forse non esiste neanche così come vien fuori dalla mia penna. Sto idealizzando le negazioni d'un età mai semplice, anche durante i giorni di risate e bravate. Sto idealizzando una fuga dalle strade diritte che si snodano tra viadotti impervi e curve accecate dalla foga di arrivare. Sto idealizzando un viaggio senza punto d'incontro oltre la speranza. Sto imparando a conoscere mondi di cui non colgo gli accenti e le abitudini. Spogliandomi dalla crosta e dalla placenta ardente che m'ha incastonato al carbone, impedendomi di splendere come un diamante pazzo.
Sto dipingendo qualcosa che neanche osservo accanto al mio esistere brullo e scontato all'apparenza di chi non ha mai scavato nel comprendere cosa scorresse in quell'invaso, se fosse il triste Stige, o il fulgente Lete. Sfolgorante dimenticanza che tutto rasserena e placidamente rinnova nell'incoscienza di sé.


Sto dipingendo, qualcuno o qualcosa non ancora l'ho chiaro dentro; se ha i contorni di un eterno esterno o di un giorno nuovo. Se m'appartiene o se l'osservo allontarsi ancor, o gemer nei miei notturni insonni, all'eco d'un ugual bisbiglio della vita al mio sordo intento. Quel che si ritrae al sol per non patir di quel calor l'assenza. La sembianza di quel soverchio sentir su tutto il resto, in un ristoro che scandisce in coro, il ritmo del mio canto e del mio abbandono. E non so perché e per cosa s'addormentano questi giorni, quel che dà per gli occhi una dolcezza al core, che 'ntender no la può chi no la prova. Il mio sentir, a questo stormir di voci, ratto s'apprende. E quel ch'io vi vedrò i gatti lo sapranno. 



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