venerdì 17 dicembre 2010

Immobilità - chapter 1


I tranquilli passi incontravano la strada bagnata e sembravano non risentire affatto della solitudine con cui percorrevano il solito tragitto che riempiva quei vuoti pomeriggi, traghettando il tempo fino alla tiepida luce della prima sera.

Scorgeva quel sole introverso cedere lentamente il dominio della via, come se fosse svogliato nel tornare padrone per quei pochi minuti, che di lì a poco avrebbero annunciato l’arrivo del vespro, oppure, come se avesse paura di schiarire un cielo scialbo e velato, ignorato per tutto quel giorno, del quale si vergognava a raccogliere le ultime briciole, lasciando che l’ombra trionfante limitasse la vista, impedendole di smarrirsi e giungere laddove un cielo più azzurro si tuffava alle spalle dell’orizzonte incolore, oltre le colline argentate che cingevano la valle, coronandola di cime levigate e dalle semplici fattezze.

D’estate, la valle che stava volgendo in punta di piedi al crepuscolo, si diffondeva di colori e profumi che si stentavano a ricordare nella landa grigia che si stagliava ora dinanzi, dove fragili banchi di foschia si dissolvevano, spandendo qua e là un senso di sterminata stanchezza, il desiderio di un riposo che nulla avrebbe dovuto violare e impedire, mentre si dileguava ogni istante un’eco remota dei giorni lieti fra i bassi picchi dei colli, sempre più vicini alla notte, sempre più lontani.

In una confusione di malinconia e ammirazione, poggiava le sue braccia affacciandosi al muretto oltre il quale si poteva scorgere quella piccola immensità, mentre le prime luci della strada s’accendevano pigre. Sapeva che quella sera sarebbe durata più a lungo e che avrebbe volentieri ritardato il suo rientro a casa.
Dalla piazza del centro proveniva ancora il frastuono delle automobili immerse nel traffico serale, e il vocio dei passanti, che pullulavano vispi attraverso le vie avrebbe riempito i marciapiedi finché l’orologio non avrebbe rispedito ognuno a compiacersi dei sapori della cena, o forse ad agghiacciarsi dinanzi la televisione.

Da quando aveva smesso di lavorare, egli evitava di percorrere quelle strade colme di persone, tanto che il viale costellato da pozzanghere, che s’ergeva sul fianco del colle su cui era adagiata la cittadina, era per lui quanto di più caro e insostituibile la giornata potesse offrirgli; ogni attimo trascorso lungo quella strada era una finestra aperta alla memoria del suo paese, e la nostalgia, quantunque non lo visitasse mai, poteva incontrarlo unicamente in quel luogo, in cui ugualmente non avrebbe mai avuto alcuna possibilità di rivalsa.

Non poteva essere certo un senso d’insopportabile nostalgia per delle radici di cui mai s’era sentito germoglio sano e felice a rendere pavido il suo incedere quotidiano lungo quel mirabile belvedere che l’ospitava, ma nei sospiri che la terra acerba d’autunno emetteva, sembrava arenarsi ancora più saldamente quel vivo sentore intrinseco di disfatta, per una fuga senza movente che all’improvviso s’era arrestata, dopo un incauto peregrinare che avrebbe dovuto dare un’anima ai suoi giorni, ai suoi sollievi, che avrebbe dovuto comporre il volto della speranza e di una presenza delle quali essere artefice.

Ancora non era riuscito a capire, ancora sentiva di dover tornare a cercare, senza che le ombre e le tentazioni di disperati e umilianti ritorni potessero capovolgere il suo irrequieto intento di conquista. Ma in quella conquista s’era smarrito da tempo, E tra quella cinta di colli si spegneva la sua nebbia, il dubbio che l’aveva spinto ad andare, che ora s’indeboliva in quelle che non erano crude certezze, ma indefinite benché tangibili prigioni concentriche incatenanti e infiacchite dal tempo, del quale mestamente egli tutto ora accettava, e quella stanchezza irresoluta, e quella sua inefficacia, e il suo silenzio, l’avevano vinto.

La valle era adesso sgombra dai suoni e dai sapori del temporale che s’andava sfogando lontano, le piccole botteghe del quartiere del borgo antico s’accingevano a salutare quel giorno che si disponeva a tacere. Soltanto la vecchia libreria era ancora aperta, aspettando la sua quotidiana razione di soddisfazioni, che quel giorno non le aveva ancora portato.

Non appena giunse nei pressi dell’entrata e ne varcava la soglia, un docile motivo dai precipitati lamentosi disegnava i contorni di un piccolo ambiente rosicchiato dall’umido, ad accoglierlo era come sempre un’affettuosa voce familiare, destata da un’inattesa fiducia, pregustante la possibilità che finalmente sarebbe potuto entrare qualcos’altro, oltre al cliente.



[to be continued...]

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