mercoledì 20 agosto 2008

Smisurata preghiera durante una stagione all'inferno


Coltivando tranquilla l'orribile varietà


delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine




Mi raccontavano che sarà come una proiezione rapida e costante di immagini, come litografie, un lampo che condensa tutto, rivelando quale enorme boiata sia stata il trascorrere del tempo.
Parametro bugiardo per prendere i centimetri delle calvizie (per chi ce l'ha) e misurare goniometricamente le lombosciatalgie, e i cedimenti progressivi della prostata.

Scopri di non essere servito a niente. E ti vien da ridere.
Che se non hai una prole che ti rimpiazzi, e a cui devi fare economicamente e previdenzialmente spazio, sei insignificante alla stessa stregua di un mandorlo bonsai.
E che ci vedrai, dunque, mentre fai per l'ultima volta la respirazione ritmata 3-12-6, come da medico consulto?
Cose così, a cazzo, come mi tornano in mente, senza ordine e tempo:

Il pallone multicolore comprato nel mitico negozio di giocattoli a due piani in via di Palma a Taranto. Quando mi portavano a fare compere contro la mia volontà; e nell'aria dove tutti sentivano puzza di diossina, io sentivo profumo di focaccine fritte e cherosene.

L'arco, le frecce, e gli alberi su cui mi arrampicavo credendo di aggrapparmi alla corteccia, e spesso trovandomi con una lucertola da muro tra le mani.

Un vecchio fucile della Grande Guerra del mio bisnonno soldato fascista. Era pesante e lo andavo a prendere in cantina per tenerlo imbracciato. Era fresco laggiù, e si sentiva un buon odore di benzina.

Un albero di ciliegie pallide e amarognole che riempiva i calzoncini di una resina profumata non smacchiabile, anche qui, su cui mi arrampicavo per nascondermi quando veniva qualcuno a trovare mio nonno materno che stava morendo.

Mio zio che veniva a prendermi da scuola con la sua mercedes bianca, in inverno. Sul sedile posteriore c'era una busta con del pesce da arrostire alla brace; dopo pranzo una dormita colossale davanti al camino, in campagna, e la sensazione di essere voluto bene davvero da quel fuoco.

Il pastore tedesco che mi stava staccando il polso sinistro il giorno della sconfitta ai rigori dell'Italia contro la Francia, nel mondiale del 1998.

Quelle volte che invece non veniva nessuno a prendermi da scuola, ed anziché andare a casa mi mettevo a gironzolare per le strade del mio paese, non riuscendo mai a credere che a qualcuno potesse mai fregare un cazzo di me, tanto meno che potesse preoccuparsi.

E quella volta che litigai con mio zio che si convertì al ForzaItaliotismo, mentre io lentamente trasmigravo verso il sindacalismo rivoluzionario. Mio zio naviga nell'oro, io sono un morto di fame.

Mio padre che mi portava a vedere le sue partite quando giocava a tennis.

Mio padre che smise di giocare a tennis. Mi portava ugualmente al campetto, si sedeva ad una panchina, e piangeva.

Mio padre che mi accompagnò la prima volta a giocare a pallone in un campo sportivo vero, e rimase a vedere la partita. Da ex giocatore, cominciò a darci dei consigli: più passaggi e meno dribbling. Forse non gli ho mai voluto bene come quella volta.

Mio padre che si sentì male quando, la seconda volta che mi accompagnò ad una partita di calcio, si accorse che camminavo anziché correre, e che mi tenevo il polso perchè in quel contrasto mi ero fratturato il radio.
Quella volta mi ero ripromesso che sarei riuscito a segnare. Invece finii per farmi l'estate col gesso al braccio.

Mio padre che cominciò ad odiarmi quando ero intenzionato a prendere filosofia all'università.

Quella volta che mia cugina mi si presentò nuda davanti, e mi parlò delle sue prime mestruazioni quando io non sapevo ancora che cavolo fossero, e pensavo stesse citando il maestrale di Carducci. Mi innamorai di mia cugina, ed ero gelosissimo.

La prima volta che io ed E. abbiamo dormito insieme. Faceva freddo. Ricordo che era bello starle addosso. E non smettere mai di accarezzarla e... per tutta la notte.

Quando E. stava male ed io per starle vicino persi La Meglio Gioventù su rai 1.

Il mio amico di università che portava due anni di ritardo, che andò a finire fuori corso, e che aiutavo. Che adesso guadagna il triplo di quello che guadagno io, ed ha il posto fisso.


La mia amica
di università innamorata follemente di me, che mi chiamava a casa per comunicarmi che ero stato l'unico del corso a superare le prove di Macroeconomia a punteggio pieno, e che nei corridoi della facoltà stava già montando la leggenda.
Era fidanzata, ed io, onesto imbecille, me la lasciai scappare. La aiutavo a preparare l'esame di Economia Internazionale, ed il sistema linfatico mi ribolliva come la minestra della maga Circe.
Una delle ragazze più finemente porche che abbia mai incontrato.

Quando vinsi il concorso per il dottorato. Ero felice, ma inconsapevole. Altrimenti non sarei stato felice.

Le giacche, le cravatte, le scarpe nere, lucide, comode e belle. Le conferenze. Gli interventi attesi, il proprio nome sui manifesti. La gente che ti riconosce per strada, e la contestuale voglia di non uscire più di casa per questa ragione.

Scolpire l'argilla. Disegnare il viso di S. in chiaro-scuro. Fermarsi a contemplarlo. Provare a chiamarla per dirle solo: eh, sei bellissima. Ma lei non risponde. Esci, e vai a mangiare una pizza senza mozzarella, con la bresaola. La vodafone lì non riceve bene, il pizzaiolo conosce la composizione chimica di tutti gli ingredienti, e sa distinguere tutte le etnie Rom. Mi offre la grappa alla fine.
E non pensi ad altro che non sia lei.
Intanto ricevi uno squillo in un barlume di rete funzionante...

Ant. che in secondo liceo mi sedette accanto e mi disse: "Sei il migliore di tutti, mi piaci. Ma da me non avrai niente." Questa frase la volli da subito come epigrafe esistenziale, e me la scrissi sul taccuino. Da allora scrivo tutto su quel taccuino nero.

M., una delle poche per cui ho davvero sofferto, che in quarto liceo mi rifiutò perchè ero brutto, nerissimo di capelli, e portavo gli occhiali. Mentre lei lo voleva biondo, bello e con gli occhi azzurri. E poi, dopo qualche anno, la ritrovo in giro con un mio amico, una specie di hobbit mal riuscito, tozzo e cicciottello, né chiaro, né scuro; e non mi soffermo a dare opinioni sul Q.I. sennò sembro più presuntuoso di quello che già sono. Così impara, la fessa.

Di M. mi resta una foto che ci siam fatti a Recanati sotto l'inscrizione dell'Ermo Colle. E quel suo sorriso innocente, delicato, e profondamente intenso come un mestolo di brodo vegetale.

Sempre caro mi fu quel volume dell'Inferno dantesco di Famiglia Cristiana che mio nonno mi fece scoprire a sette anni. E quella frase che mi restò per sempre impressa nel cervello: "d'animo alto, e disdegnoso molto."

Le scollature e le gonne di mia zia. Cristo.

La speranza di recitare ne La Grande Magia di De Filippo e interpretare Calogero Di Spelta.

Le poesie di Guittone d'Arezzo e Guido Cavalcanti che leggevo di nascosto di notte, per non farmi sorprendere da mio padre, il quale sospettava che io consultassi giornaletti porno. E sarebbe stato più contento in questo caso, e non sapendomi intento a imparare a memoria la produzione stilnovistica ed il Petrarca.

I pomeriggi a lavorare a nero nella libreria del mio amico. Licenziato per manifesta inettitudine nel confezionare i volumi con la carta da regalo.

I Gemelli Veneziani, Zio Vanija, Possesso, L'uomo dal fiore in bocca, Enrico IV. Gli spettacoli teatrali più belli a cui ho assistito.

La mia prof di filosofia del liceo, che non era un granché, ma che mi sarei trombato fino a prosciugarmi l'anima perché mi definiva: "eclettico, e purista della lingua".

La mia prof di inglese del liceo, che non era un granché, ma che mi sarei trombato fino a prosciugarmi l'anima perché aveva scorto in me tratti di Samuel Coleridge, e perché citava spesso frasi di dark side of the moon.

La mia prof di lettere del liceo, che non era un granché, ma che non mi sarei mai trombato nemmeno se fosse stata stupenda, perché ad un compito in classe mi mise 8 e 1/2 nonostante sosteneva che fossi uscito fuori traccia. Per coerenza pretesi il 2, e lei mi guardava stranita.

La mia prof di matematica del liceo. Che mi sarei trombato, e che mi tromberei ancora e sempre, solo perché è indiscutibilmente bona. Perché una sera durante una festa liceale venne a trovarmi mentre me ne stavo in disparte, in controluce, e abbracciandomi mi prestava attenzione quando le mostravo le stelle e le costellazioni, citando mitologie e leggende aramaiche.
E vi garantisco che è dura fare questi discorsi in condizioni di eccitazione libidinosa tambureggiante.

Colei che dopo 10 anni mi rivela di essere stata innamorata segretamente di me. La cosa mi stupisce, ma non me ne frega niente. Me lo dice poco prima che io le chieda, placidamente, di scopare, a prescindere dai ricordi e dai rimorsi, solo per sublimare il presente. Non è contraria. Ma poco prima di procedere scoppia in lacrime.

Mi sento una cipolla.

La mia spalla bagnata dal pianto di V. che era stato mollato dalla ragazza, seduti su una panchina verde davanti ad una caserma ed una chiesa, ed io che consolandolo soffrivo le torture cinesi perchè dovevo andare a pisciare e mi stava scoppiando la vescica. E fortunatamente non ero nemmeno afflitto dalla proverbiale diarrea.

La prima volta che salii su un palcoscenico dinanzi ad una platea e, interpretando un martire, pretesi dagli altri attori che mi si torturasse davvero per rendere la cosa credibile e le mie urla veritiere. Mi ispirai a William Wallace, e alcune signore spettatrici piansero nel vedermi pestato e preso a calci nello stomaco, e trascinato sul palco tirato per i capelli.

La Vita è Bella, e la scena finale del carro armato. Forse è il mio film preferito, perché l'ho visto solo una volta in vita mia, e non ho mai avuto il coraggio per rivederlo.

Quando imparai a suonare la chitarra, lo volli solo per Wish You Were Here.

La prima volta che vidi E. Poi quando la fermai, la prima volta che la baciai, la prima volta che camminammo presi per mano, le dita intrecciate strette nella tasca del mio lungo cappotto di pelle marrone in stile Matrix, per via del freddo gelido. La prima volta in vita mia che dissi "ti amo". Tutto in una sera. Il giorno che iniziai e smisi di amarla. E poi ci sono rimasto comunque insieme diversi anni. E tutte le promesse che non ho mantenuto, di cui non mi importa nulla.

Quella volta che per litigare con E. nei corridoi della mia facoltà lasciai incustodito un paio d'occhiali da sole stupendi. I migliori che avrei potuto mai avere. E me li fregarono.

Quelle sere scoglionanti in macchina dove lei stava assegnando i nomi alla futura prole, mentre io ascoltavo Syd Barrett, strafatto di appallamento esistenziale. Quando lei mi chiedeva un parere, io, che non avevo ascoltato un cazzo, rispondevo: "eh...lo vedi quello là? Quello è Giove, ricordatelo..."

Ant. che non mi guardava più in faccia. E mi piombò a casa un pomeriggio mentre io spettinato stavo guardando un film con Andy Garcia e Samuel L. Jackson. Era bellissima, era sincera, era giusta. E non la ringrazierò mai abbastanza.

La prima volta che vidi il film Bianca, e ne restai turbato. Presi la mia carta di identità per controllare che non vi fosse scritto Michele Apicella al posto del mio nome e cognome. E non hai pietà tu di me...

Laura Morante, dopo S., è la donna più bella che esiste.

Il mio primo comizio, la mia prima campagna elettorale, le sonore sconfitte. Le sedie scagliate nei litigi tipicamente "sinistri" sulle antropologiche motivazioni della egemonia gramsciana
liquefatta nel tessuto interclassista della variopinta e composita realtà del mio paese. Scazzi di un'evanescenza atavica, in quella nicotinizzata sezione dei DS. Le feste de l'Unità con le casse di birra e la carne al fornello. E quei dibattiti in ottobre in una piazza deserta con gente che spiava dalle finestre, e un uditorio di tre vecchietti in via d'estinzione, orgogliosamente seduti su sedie di legno targate P.C.I.

Nei miei anni con E. volevo scopare con qualsiasi essere vivente femminile che mi comparisse innanzi. Dopo averle dato il benservito son precipitato nell'indifferenza. Misteri psico-testicolari.
Tornato single la mia prima frase fu: "E fu così che persi circa 60 voti di preferenza...".

Le ruspe che buttavano giù la tenuta di campagna di mio nonno materno, e una mega villa che sorgeva mattone dopo mattone. E l'odio che saliva, sbuffo dopo sbuffo. E i luoghi della mia vita, quelli sudati, zappati, e rastrellati con mio nonno, venivano demoliti. Le reliquie pietrose venivano riposte in cassettine di legno come macerie. Lasciate ai muratori che vi avrebbero ricavato delle pietre levigate per erigere muretti a secco ornamentali in chissà quali altrui proprietà.

La sera in cui una persona rimase gettata a terra a piangere per me. E per la prima volta non scesi dalla macchina per consolarla, ma feci inversione andando via senza pietà. Ascoltando The Final Cut al massimo volume.

La sera in cui, dopo una canna, ero gettato terra con alcuni tizi sognando di stare a Woodstock sotto il palazzo del municipio.

Una sera recente in cui un compagno di Rifondazione, sorridente, mi si avvicina chiedendomi gentilmente di spegnere il sigaro perché dava fastidio alle signore lì vicino. Mi riporta le seguenti frasi delle suddette, a me rivolte:
"Maaaadoooo', avete capito chi è quel ragazzo che sta fumando il sigaro? Il figlio di..... MAAAADOOOOOOO'!!! E fuma il sigaro... maaaadooooooooo'.... era tanto un bravo ragazzo! E pure suo padre, era tanto una brava persona".
Impeachment, per un cazzo di sigaro. Se avessi stuprato la moglie del sindaco di destra, sarei diventato un eroe della resistenza.


Salutare uno zio sapendo che forse non lo rivedrai mai più. Rassegnarti a questo. Piangere ad una sua telefonata il giorno della laurea. E poi rincontrarlo, e trascorrere giorni interi a camminare lungo corso Buenos Aires a parlare della planimetria urbanistica di Milano, e della sua evoluzione negli ultimi 50 anni. Strani miracoli apparentemente. Poi no, i miracoli li fa la nostra volontà, il resto è pigrizia pura.

La prima volta che ho preso il treno, e sono andato in Abruzzo. Ah...
non è che accadano a ciascuno cose secondo un destino, ma le cose accadute ciascuno le interpreta, se ne ha la forza, disponendole secondo un senso, vale a dire, un destino.

Tornare dai miei viaggi e chiamare una persona che viene ad attenderti alla stazione col rossore in volto. Camminare abbracciati, e sentirti addosso quel suo sorriso. Desiderarle le labbra carnose, tanto per cominciare. Averle in pochi baci, i più belli finora mai dati e ricevuti. Sfociati in rabbia anziché in una reciproca e completa immersione di quel momento.

Cesare Pavese. Il silenzio.

Quella voce che ti dice: "Giuse', il fatto è che tu sei abbastanza visibilmente intollerante a tutto ciò che ritieni stupido". La scoperta dell'acqua calda, che mi ha cambiato la vita.

Il battello sul Danubio, ed Ant. che, scoppia a piangere e mi dice: "Ti voglio bene" mi abbraccia e dice che avremmo rischiato di non stare più così tanto tempo insieme. Prendo il taccuino, rileggo la sua frase-epigrafe di tre anni prima e penso: "potevi pensarci prima...".
La abbraccio e ci facciamo una foto.

Quella notte lontana a Budapest ho dormito con Ant., Ross, ed A. nello stesso letto. Amici ok, platonici ok, ma mi svegliai con qualcosa che ricordava l'obelisco di Place de la Concorde.

Una notte trascorsa affacciato alla finestra a Tarvisio. Tutti in discoteca. Io a guardare le montagne.

Sentirmi assalito da un dubbio, da un presentimento, da un desiderio. Mandare al diavolo ogni cosa e scegliere la vita. Eccomi qua, questo è il risultato, et voilà, monsieur le mollusque.

Il 18 febbraio 2008. Poi il 18 maggio 2008, 19 maggio 2008, 20 maggio 2008, 21 maggio 2008. Ti adoro.
Il giorno più bello di quest'anno. 19 maggio, ore 20.00 circa, Ch
âtelet, Parigi. Tu eri te stessa, io ero
Humphrey Bogart.

Aver conosciuto, ma non ancora incontrato, Madame Revanche. Che se vogliamo risalire ben bene alla genesi, tutti i miei ultimi casini sono venuti grazie a lei. Rendiamo grazie a dio.

16 luglio 2008, l'ultima volta che ho fatto colazione con una tazza di latte e caffè.

Scoprire una bottiglia di Johhnie Walker in casa, e non trovare nessun complice disponibile a condividere l'evento della sua iniziazione al palato umano.

Ross. che torna a casa in senso sia letterale che metaforico, e mi cercava e mi reclamava. Ross che mi dice "grazie" ed io le credo. Che se ne va, ed io sto male.

Mio nonno omonimo che dopo la sua solita partita a carte, nella quale mio zio lo lasciava vincere, disse plasmando vocaboli nella bocca sdentata : "Ho 86 anni, il diabete mi ha mangiato mezzo piede e non posso camminare, non posso mangiare dolci e bere il caffè, mi prendono in giro facendomi vincere a briscola, il partito socialista non esiste più. Che cazzo ci sto ancora a fare?"
Mi sorrise.
Morì dopo tre giorni.


La gente che non mi piace. Le vetrine dei negozi che non mi piacciono. La Coca-Cola che non mi piace. Le sigarette Winston che non  mi piacciono.
Proprio l'altra sera ho visto una carina, amica della sorella di una mia amica.
Scarpe pessime, andiamo avanti...

Una ragazza di notte che mi racconta la sua vita. Assolve senza guardarmi negli occhi situazioni e ingiustizie subite, definendole accettabili. Allevia così un po' di rimorsi. Condanna tutti, per non ammettere di aver incontrato persone sbagliate. Le tendo la mano, ma lei scappa via. Ed io che c'entro col resto del mondo?
Anche se faccio schifo, voglio far schifo per me stesso, non per una categoria.

L'oculista che chiede di parlare in privato con mia madre, e sembra impallidito e sudato. Incespica nel già discutibile eloquio. "Signora, ho visto delle macchioline sospette negli occhi di suo figlio. Non vorrei dire sciocchezze, perché parliamo di cose molto serie, ma credo che sia urgente fare degli accertamenti."

Grazie per avermi rovinato la vita, dottore. Oppure per avermi fatto fare un salto di almeno quindici anni in avanti? Ehm, è la stessa cosa.

Giuse', promettimi che sarai un bravo ragazzo. Addio.

Fatemelo incontrare, un'ultima volta ancora. Non ero pronto allora. Non l'ho mai neanche sognato. Chissà che cosa penserebbe, chissà che cosa penserebbe...

Le serate in solitudine, tante. I film di Nanni Moretti, i libri di Jean-Paul Sartre, le dispense di econometria, e Echoes nello stereo. Mandare a cacare tutti, ed arpeggiare Ninna Nanna dei MCR.
Momenti in cui si sta bene, con la parallela coscienza di andare nella direzione completamente opposta alla felicità.
E che grande il mio tempo, che bella compagnia.

La previdenza, la pensione, i soldi da parte, la macchina, la casa, la mediocrità.
Non per me. Per me prima la vita, nei suoi risvolti più misteriosi e dolorosi.

S.
Lo sai che in qualunque parte del mondo sarò, ed in qualunque tempo, penserò sempre a te, no? Non ti rimpicciolire più di quanto incautamente abbia già fatto il mondo. Non serve che te lo ribadisca in continuazione.
Lo sai che per me non sarai mai sbagliata e che non ti seguirò mai lungo la strada delle paure e delle incertezze, se non per trascinarti via da essa?

Mi raccontavano che sarà come una proiezione rapida e costante di immagini. E vediamole dunque. Che non ho mica paura di guardare in faccia alla verità.
Sempre sorridendo, e senza intenti disfattisti legati ad alcunché, ma io al suicidio non nego di averci pensato un sacco di volte. Solo per ridere di gusto, un'ultima volta.

Lessi da una parte, non mi ricordo neanche dove, "si vivesse solo di inizi". E ci rimasi a pensare. E no cazzo, no! Che senso avrebbe dilatare le cose verso l'inevitabile disgusto? Ogni cosa si adorna e si completa nella sua fine. Il limite che gonfia il ripieno del sugo della nostra vita che altrimenti si espanderebbe in una pozza atra esposto all'arido evaporare. Scomparirebbe perdendo la sua unicità.
Una melodia, è una catena di note che muoiono. Ed essa stessa muore.

Ho firmato un co.co.co con la mia età, solo non c'è scritta la data. Nemmeno la mansione.
Allora prendo il telefono odiato in una sera d'agosto, perché non posso fare altrimenti, e senza maschere, lascio al mio fiato ciò che vorrei si potesse cogliere in silenzio. Captare nell'aria che parla per me. E sono in pace, e sono felice.
Sereno che se si rescindesse il contratto non avrei di che lagnarmi pateticamente.

E vi guarderò scorrere quel che sarà.

Come litografie decotte.
Come lacrime scialbe.
Come il dolore avulso.
Come incontri negati e sorpassati.
Come la rivolta di un apostata alla rassegnazione.

Mi condannerò, o mi assolverò? Più probabile sarà che mi farò una risata, passandomi il pollice sulle labbra, ordinando un whisky.






per chi viaggia in direzione ostinata e contraria



col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità, di verità




2 commenti:

  1. il pezzo più brutto che io abbia mai letto..la nostalgia mi ha fatto piangere di felicità..spiegamela questa mò..ti aspetto.

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  2. Ross, sono stufo... un po' di tutto, sinceramente.

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