I
Sedeva saldo, accostato a quella grande finestra serrata da tempo.
Il suo braccio destro giaceva grave sul freddo davanzale di marmo, immobile; il sinistro pendeva indifferente e le dita di quella mano tentennavano lentamente, ostentando un’opaca presenza di vita, quel che n’era rimasta e non accennava a distruggersi, perseguendo invano una secca e sconosciuta vendetta contro un rimorso amaro che lì lo aveva esiliato.
In un miserabile stato, che pochissimo sapeva d’umano.
I vetri luridi si rifiutavano ormai di riflettere l’impressione del suo viso, né permettevano allo sguardo di eludere il suo castigo, neanche per un istante. La luna del fresco cielo notturno non avrebbe mai avuto accesso in quella buia tana, per consolare chi si consumava in un letargo eterno.
Tutt’intorno aleggiava un’aria fosca, satura d’insopportabilità, di rassegnazione, di mestizia; il pendolo appeso alla parete ingiallita, che di là si confondeva alle sue spalle, non osava più cercare il coraggio per scandire gli attimi di un tempo defunto, relegato ai ricordi in cui tutto si era lì fossilizzato.
Tutto si sospendeva e forse la vita, dormiva, senza sognare, né reagire, e la notte avvolgeva la casa con straniera indifferenza e ripugnanza: le stelle non ardivano spiarla per non recarle offesa o disturbo. E il mare, che s’abbevera sazio e non pago delle intangibili lacrime che la reietta violenza scagliava disperse, riposava spesso quieto contemplando la noia che l’empio vento riusciva a sfiorare, per non carpire ancora dolore e angoscia.
Occhi sguainati dall’esistenza che non trovarono la via di riaversi al profumo del sole, non avevano incontrato ancora faccia a faccia il destino che leggesse loro la sentenza che avrebbe sancito la risolutiva condanna.
Ansimava. Il fiato singhiozzante non aveva più lacrime da disperdere alla mercé delle onde.
Espirava.
Confondendo al respiro un’enorme brama di liberazione da quell’affanno asfissiante, dal quale immaginava di separarsi piano, lungo piccoli passi di salvezza tracciati per lui dalla prudenza di essere, che l’avrebbero avvolto di pace, spogliandolo dalla carceriera memoria di uomo errante, adagiandosi nel breve ristoro della sua debolezza, pago dell’insulsa dimensione finalmente lambita.
Una meta silente ove l’ozio della ragione e dei sensi era bottino sopraffino ricchissimo, al riparo dal vento, il suo naufragio si sarebbe così tacitamente arenato, nella baia dove non albeggiava mai estate, dove la follia di petali secchi di una primavera remota non avrebbe sussurrato l’abbaglio dello strappo che lo spogliò della sua anima.
Poi inspirava. Tanto e tanto forte. Con furia. Con rabbia. Con realtà. Per assorbire in sé quella cappa di piombo che gravava minacciosa, immergendo sempre più in fondo ai suoi polmoni, alla sua milza la sua colpa, e l’atroce condanna di cui egli sempre volle recitare il copione del boia più spietato; ma… se l’umana viltà avesse fatto mai capolino sorretta dall’orgoglio, dalla dignità, dall’infernale sentirsi di sé, dagli inganni meschini di un mondo che aveva forgiato il male covandone il seme nel suo seno protetto, che l’avrebbe accompagnato verso un tramonto improvviso cui non sarebbe seguito alcun giorno bensì una notte che in un attimo avrebbe annerito d’ombre l’idea stessa del tempo impercettibile, che avrebbe cancellato tutto senza preservare la via da cui la vita sarebbe potuta tornare accanendosi nell’impedire ogni ritorno possibile, allora egli rigettava fuori dal respiro ogni cosa. Per poi ritornare al patibolo, quasi s’allontanasse da sé per essere parte del fumo ansante che divorava la sua insulsa presenza, che aveva per sempre escluso la vita dalla casa sul mare.
Nulla poteva racchiuderlo in categorie umane. Tranne quel trascendente castigo che s’era cucito addosso con le mura di quell’umida casa. Neanche l’ufficiale vessillo di una colpevolezza acclarata e pronunciata da un giudice. La colpa è pur sempre un abito sporco che tiene ancorati all’esistenza, è l’idea di una presenza dai precisi connotati scalfiti dai giorni vissuti.
Quella casa sul mare era tutto ciò che gli fosse rimasto dell’eco dei ricordi. Un tempo era stato un delizioso appoggio di fortuna per le vacanze, piccolo e scomodo, ma prezioso rifugio di pace, in un villaggio di pescatori che vivevano delle fecondità del mare.
giovedì 19 maggio 2011
La casa sul mare
mercoledì 18 maggio 2011
La maieutica: Alcor ed un'ostetrica bona
- Aiuto Alcor, perchè la gente cerca sempre di indirizzarmi sulla retta via partendo con menate sul cristiansimo?
- E chi lo dice che sia quella la retta via?
- C'è 'sta mia amica infame che è fermamente credente e comunista. Sta cercando di convincermi che i primi comunisti sono stati gli apostoli.
- Nel senso che hanno fatto cadere il governo Gesù, come fece Bertinotti nel '98 col governo Prodi?
- Ahahahahah. Ma se la mettiamo così sono stati gli uomini delle caverne.
- Ciao, devo andare, il mio posto è là.
- Ciao, W Gesù.
lunedì 16 maggio 2011
Send me dead flowers to my wedding
Ad una donna-geco:
- Sei andata a votare?
- Sì. Gli conviene fare qualcosa per la cultura o lo ammazzo con le mie mani, dillo al tuo amico.
- Se dobbiamo sposarci dobbiamo fare una cosa veloce: cambierai la tua residenza quaggiù, mi voti l'anno prossimo e poi divorziamo, ok?
- Sono in una giornata terribilmente acida, incazzosa e nervosa... sii felice di essermi lontano.
- Per un voto sopporterei qualsiasi acidità. Questa è una guerra.
- Moriresti sciolto, nella mia acidità... alché il mio voto non ti servirebbe più a un tubo.
- Nooooo, io sono basico, al massimo resterà del sale sul fondo del contenitore delle nostre vite.
- "...al massimo resterà del sale sul fondo del contenitore dlele nostre vite..." Sì, ok ti sposo.
- Son troppo brrrrravo a raccontar cazzate per convincere la gente.
- Sì, confermo.
- Considera quella frase un dono di nozze. Più che parole non saprei cosa regalare. O preferisci un solitario?
Fuggita inesorabilmente. Mai raccontare tutta la verità in campagna elettorale.
domenica 15 maggio 2011
Agenda esistenziale
Certo che mi piacerebbe: evitare prologhi confusi, contestualizzati encefalogrammi di ogni singolo proposito. Restare con una bolla d'aria tra un paragrafo e l'altro nel pressurizzare una risposta che non appaia dettata da rappresaglie, o da rimorsi, o dalla volontà di ristabilire un punto d'orgoglio in una partita interrotta per impraticabilità del terreno.
Mi piacerebbe avere quello spirito grazie al quale era normale mollare ogni cosa e divorare le distanze, per garantirsi pochi minuti di sacro litigio, per quell'affinità così perfettamente adiacente e così apparentemente ingestibile.
Sarei stato curioso di scoprirmi indifferente al punto di assorbire qualsiasi soluzione come fosse incolore e insapore. Farsi dettare i ritmi dalle incombenze esterne, e non dai riflessi delle proprie inadeguatezze sottese.
Mi piacerebbe sospendermi, come ci si sospendeva quando la vita delle nostre parole acquisiva una forma propria e incontrollata, che talvolta ci ha infuso una dolce paura. E quasi mi consola l'incertezza nel proferire un giudizioso rifiuto, il precipitato salinico di una miscela aritmeticamente perfetta nell'indirizzo della coagulante salvaguardia del sé.
Un tempo si pensava che la propria salvezza sarebbe anche potuta passare sotto il giogo di una paziente sconfitta, come risultante di un'importazione tacita e silente di una qualunque forma di nobile offesa.
Filtra poca aria dal muro, ed è ancora troppo lontano per sentirsi a casa.
lunedì 9 maggio 2011
Al sodo
Bene, visto che ci siam trovati, e abbiamo resistito qualche minuto senza avvertire l'esigenza di rimuoverci reciprocamente dalle compagnie, preferisci che perda tempo nell'invitarti a prendere un caffé, o possiamo procedere col fare sesso senza tante ipocrite cerimonie?
sabato 7 maggio 2011
Dead Flowers
E giungono quei mattini in cui è evidente che qualche pandemia nevrotica stia dilagando tra i cani e i gatti.
Il tasso di mortalità per disattenzione nell'attraversamento stradale di questi docili mammiferi sta avendo un'impennata impressionante.
In queste giornate in cui ci si sveglia alle 6.00, e ad accoglierti nel rinnovato mondo c'è la nomina di nuovo sottosegretario, il mio pensiero si biforca.
Una metà di esso corre spedita verso il barattolo della marmellata segregato nella credenza; l'altra metà corre attraverso le pianure del Tennessee, superando in un sol colpo le agende, i rasoi, le cravatte, i tuoi sorrisi esteri e gli sguardi languidi. Il portafogli e le assemblee, le decisioni e le dimissioni.
In questi giorni in cui basterebbe soltanto farsi indossare un bicchiere di vino, piace pensare che in fondo, tutto potrebbe essere limitato a far passare un po' di acido muriatico sulla democrazia.
Ad essere ingordi ci accontenteremmo di credere che verrà un giorno in cui i polmoni potranno essere sostituiti come i filtri dell'olio-motore, e che sarà abolito il monopolio di stato sui tabacchi.
Restiamo Umani. Troppo umani.
Take me down little Susie, take me down
I know you think you're the Queen of the Underground
And you can send me dead flowers every morning
Send me dead flower by the mail
Send me dead flowers to my wedding
And I won't forget to put roses on your grave
mercoledì 4 maggio 2011
La dolcezza del ferroviere
- Ti sei svegliato presto stamattina.
- Erano circa le quattro.
- Ma sei andato a letto all'una... Qualcosa ti turba?
- Le mie soddisfazioni più sfarzose le colgo nel rimuovere i Trojan dal mio netbook.
- Mi dai libero accesso ai tuoi pensieri reconditi?
- Non ho più la password.
Si sentiva a propio agio e d'accordo con una minoranza di persone. Ora neanche più con quella. Saranno state le immagini taroccate del volto pestato a sangue di Osama Bin Laden, e gli esotici racconti di assolate strade africane, ma quella notte s'era svegliato di soprassalto.
S'era scoperto a rimestare nostalgie in preda ai narcotici riflessi di una fase REM viziata da una propensione insana tra psicanalisi ed Inception. I sogni l'avevano spesso condotto a recuperare i ritardi lungo i binari di un treno in imminente partenza, popolato da viaggiatori malformi.
Si recò al lavoro con insolita solerzia, motivato a sospendere quell'incidentale episodio nel background della sua paga giornaliera. Non riusciva a giustificare i propri comportamenti e le parole che mancavano puntualmente l'appuntamento con l'opportunità e l'occasione di eventi lanciati a velocità non irresistibile, lungo la tratta che gli era stata assegnata nel turno mensile.
Poteva sembrargli una ritirata spagnola da tutti i mea culpa inculcati dalle inadeguatezze degli appuntamenti precedentemente colti con precisione svizzera.
Adesso disegnava involontariamente olgrammi nel proprio fiato, in un umido mattino di maggio, aspettando che il proprio spuntino di metà mattina si scongelasse.
Mancava la dimostrazione pratica delle proprie doti, quelle che avrebbero consentito ad una mente moderatamente brillante di collocarsi come meglio avrebbe meritato.
Non tutti i suoi talenti erano stati resi al termine del viaggio. E non tutte le coincidenze aspettano il congiungersi degli animi proprizi con l'approssimarsi degli attimi compiacenti. Scendendo dalla carrozza accidentata era stato poco accorto a non dimenticare un bagaglio colmo di delicate attenzioni e dolci premure che sembrava ora irrintracciabile.
La sera precedente non aveva bevuto. Colei che lo accompagnava aveva il fiato d'un cocktail ionizzato.
- Perché non riesco a dirti mai di no? Te ne stai lì con lo sguardo perso che ti mura alle spalle della civiltà. Fammi entrare.
- Non c'è nulla.
- Hai le mutande troppo strette. Laggiù c'è qualcosa che soffre la mancanza di adeguati spazi.
Interruppe bruscamente la propria opera in seguito ad un giramento di testa. Aveva bisogno di vomitare e corse in bagno.
Lui la seguì con gli occhi, guardando altrove uno specchio che poteva rifiutarsi di ritrarlo in quella vergognosa sospensione dalla propria dignità.
Lei era piegata a singhiozzare. Smaltiva le conseguenze dei propri eccessi, e della propria miserabile riluttanza a smettere di umiliarsi per la libera scelta di farsi trattatre da rimorchiatore a chiamata per solinghi rottami.
S'alzò di scatto e la raggiunse. Era china, e le sollevò la gonna mentre lei espelleva. Cominciò a prenderla con veemenza da dietro, ed i singhiozzi acidi di lei si frammisero a sussulti.
Ché in quello spurgo avrebbe risolto la contraddizione che lo lacerava e lo esiliava nella condanna ad un silenzio di un'anima non del tutto espressa.
Finì, ed andò via senza un saluto, dopo aver rimosso con dovizia le tracce dell'incauta brama di autodistruzione.
Dinanzi al treno in partenza ripercorreva l'inflazionamento e lo sperpero di vita che lo aveva condotto a spalare quella tale montagna di merda dalla porta d'ingresso della felicità.
L'insipiente inadeguatezza che ne era venuta a galla, e la dolcezza che era stata estinta.
Non era stato il suo lavoro a renderlo un po' più cinico, un po' più avaro.
Poi all'improvviso la chiamata che aveva smesso di attendere, quella che avrebbe reso più accettabile il ritardo della sua coincidenza. Quella voce che sottendeva gioia ed innocenza tra i silenzi impercettibili che fluiscono tra una domanda e una risposta.
- Volevo soltanto chiederti l'orario del prossimo treno in partenza da Milano. Tutto qui.
Tutto qui.