domenica 15 luglio 2012

Explosion in the sky

C'era uno strato di carne molto spesso che aderiva alle pareti interne dell'uovo che mi ha conservato. Non riuscivo ad assorbire i rumori esterni, e così ho cominciato a coltivare una lingua propria per far vivere nella mia mente gli oggetti che percepivo. 

Ricerca assillante di un guizzo sconosciuto a cui prestare un nome per poche ore. Il tempo necessario a perforare l'indolente membrana che atterrisce gli stimoli di polpastrelli feriti, che scappano inseguiti dai feroci bombardamenti dei secondini contaminati.

Gli impulsi si celavano tra i codici delle conversazioni intercorse con la maschera bianca, durante le vane attese di un senso che potesse germogliare inseguito dall'alba, alle 4.15 del mattino.
Molto poco saggia fu la scelta di andare senza portare con sè le provviste della memoria e una traccia del proprio tragitto, che potessero almeno sottoporre all'attenzione del sonno una meta da raggiungere a colpi di rinculi di cannoni, ruggenti nell'opposto senso avverso gli avamposti di unua stonata sopportazione silente.

Questa pozza nel terreno non mi è nuova. Ci ho pisciato dentro innumerevoli volte. Mentre attendevo l'esplosione del cielo, e i nani bianchi schiudersi in una pioggia di biglietti di benvenuto nel creato, dove apporre una firma elettronica in calce al decalogo delle spiegazioni esemplificatrici di tutta quella massa condensata nel tuorlo delle vocazioni condensate.

E non ci sarà bisogno di nessuna casa, perché torneremo ad ascoltare del blues, fottendocene del colore delle nostre scarpe, dell'accento dei nostri liquori, dei vessilli rappresentativi di ordini imperfetti e dei metri che avranno raggiunto le nostre barbe.
Cadranno gocce di sudore nelle vaschette di questa colla che tiene elasticamente aggregati gli umani.

Vado a farmi una passeggiata tra i corridoi del bosone di Higgs. Porto con me una penna per prendere nota, e un gesso per disegnare sui muri della materia oscura, versi cianotici inneggianti decapitazioni di dei strafottenti.

- Che ti prende, Alcor?

- "Alcor", hai detto?

- Sì. Che magnifici suoni, ricordi?

- Di fogli nel temporale, di lettere nella tempesta, di marmellate scadute sganciate dal cielo per ingannarci.

Nessun commento:

Posta un commento