giovedì 6 marzo 2008

To keep on being chosen, or you're finally choosing...



Quando in anticipo sul tuo stupore verranno a chiederti di quella espressione scavata nel viso, a quella gente consumata nel farsi dar retta non spiegar nulla più di quel che narra il silenzio. Annoderai il nastro di un età sperperata a mantenere le palpebre vagamente appoggiate sulle suggestive fantasie dei programmi e dell’avvenire, come una carrozza che stride sui ciottoli lungo la pista degli anni, ad attimi increduli dove incespichi in rifugi insperati decorati da probabili scorciatoie.
Strade un po’ meno tortuose che sappiano frantumare il normale corso degli sbalzi e delle ricadute, rammendare le esperienze l
iete e i paghi ricordi in un solo percorso, facilmente valicabile, lì dietro l’angolo.

Chiuderai alle tue spalle quella porta, stavolta non prestando accortezza a non sollevarvi polvere. A non disturbare la silente quiete, e l’ultimo giro di chiave sarà tanto lento quanto rimestato agli odori che si spalmano sfumando via oltre alloa scorrere delle immagini di quei bagagli che lasci indietro, senza alcun rimorso di un futuro invadente.

Senza raccattare più nulla di quei pigri pomeriggi tesi a rincorrere un sonno precoce che chinasse la notte ed un sipario immaturo, senza aver più la voglia di sapere come sarebbe andata a finire, se tutto fosse stato sincero, nel ricuso della tua immagine risarcita allo specchio annoiato.

Qualcosa ancora rimane fra le pagine chiare e le pagine scure, cancello il tuo nome e confondo i miei alibi e le tue ragioni.
Diranno che avrai abbassato lo sguardo di fronte alle rinunce, che la causa del gelo che ti frantuma la cute sulle tue mani è nell’esacerbante notturno dell’inverno che ti porti dentro sempre e ovunque, e che riveste ogni maschera di presunta empatia col dolore, che in fondo ti sfiora appena come il dorso di una carezza che rasenta il morbido collo.
Non capiranno mai, che non mi bastavi...

Occhi troppo stanchi di dover raccontare quel che ti consuma, troppo stanchi per non vergognarsi di confessarlo ai miei, così identici ai tuoi.

Perché in fondo sono riusciti a cambiarci, ci son riusciti lo sai.

Ed ora che intercetti il vento con le braccia, come una vela che rastrella gli sforzi per la traversata di un oceano più vasto, senza che le ore siano dettate dagli umori e dalle angosce di chi t’ha vissuto la tua vita durante la tua non reperibile assenza, dimmi, senza un programma come ci si sente… Continuerai ad ammirarti tanto da volerti portare al dito, per offuscare disegni che non recano la tua firma, e i ricchi doni dell’alba non meritati se non le promesse misconosciute che la sera ha portato via con sé, senza alcun preavviso, senza chiedere scusa.
Tornerai ad amare per amore, o solo per averlo garantito.
Non sei riuscita a cambiarmi, ed io non ti ho cambiata lo sai.
Andrai a vivere con chi ti offrirà del whisky distillando fiori, o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori. O resterai più semplicemente dove un attimo vale un altro, senza chiederti come mai…

continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai.

(Scritto a quattro mani con un fabbro che come me amava il mare).

Nell'immagine: René Magritte,
Les Reveries du Promeneur Solitaire, 1926.













4 commenti:

  1. e anche un romano di nome francesco d.g. ci ha messo del suo :)

    notte.

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  2. Col cazzo che mi cambiano...

    Scusa il francesismo, Alcor, ma questo non è tempo per le buone cose di pessimo gusto.

    Questo è il tempo della rivoluzione.

    L'avvocato che legge i pdf.

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  3. Non ci cambiano gli altri, o forse non ce ne accorgiamo, il mondo non è che scivola addosso così neutro... o forse no.

    Non saprei.


    Comunque ho scritto questa cosa attingendo alle esperienze di una persona che non sa neppure dell'esistenza di "Alcor", per la quale ho ancora un nome reale, e che non se la sta passando bene (e che mi viene a distogliere mentre aspetto il mondo dalla mia panchina solitaria).

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