sabato 1 marzo 2008

Run, Alcor, run!






Ci sono diversi modi per scegliere di scegliere la vita. Uno potrebbe essere prestare ascolto alle varie sollecitazioni a mezzo SMS che prima o poi mi condurranno a farmi scegliere di togliere la vita al mio telefono cellulare. Chiudere i libri, spostarli con un gesto fermo del mio braccio accantonandoli in prossimità del limite della scrivania, oltre il quale si precipita ineluttabilmente nel vuoto. Accontentare persone che reclamano una mia partecipazione più assidua ai consessi ludico-alcolico-sociali rigorosamente previsti ogni venerdì. Vestirsi più o meno decentemente ma non troppo, fare sforzi sovraumani soprattutto di carattere lessicale, per mimetizzarsi e diventare invisibile all'interno della compagnia. Fare una passeggiata vespertina piacevole e raggiungere il luogo dedito  all'appuntamento; sghignazzare mentalmente allo scorgere nelle espressioni lievemente contrariate degli altri compari quanto fastidio si cela nei loro "non ti preoccupare le macchine ci sono già", dopo aver notificato loro per l'ennessima volta che io il mio mezzo l'avrei lasciato al calduccio nel mio garage. Costoro non sanno che io il mezzo lo adopero prevalentemente solo quando serve, ossia quando espleta le medesima funzioni di una camera d'albergo. Sicuramente meglio la camera d'albergo, ma certe volte la celerità nella predisposizione degli incontri ha una produttività marginale molto più elevata della comodità. Per non parlare dei vantaggi di costo... e noi si preferisce essere sempre monopolisti, nonostante tutto.
Dunque, riprendendo, raggiungere con l'altrui mezzo il luogo che, ma guarda un po', è sempre lo stesso, ed io, coerentemente al canovaccio dell'eterno ritorno più scellerato di tutta la fenomenologia del pensiero universale, avrei introdotto sempre il mio consueto doppio Manhattan in gola. Avrei scambiato due chiacchiere con qualcuno, avrei riso, avrei detto la mia. Avrei poi gentilmente rivolto alla tizia de cuius l'ultimatum a dimenticare cordialmente il mio numero di telefono, per il semplice cortese motivo che, quando abbiamo garbatamente consumato, le comunicai dolcemente che il sottoscritto ha candidamente deciso di non volersi affabilmente ed inevitabilmente compromettere nel lungo periodo. La cosa che più in maniera repellente detesto è l'essere cercato in maniera ossessiva e martellante, soprattutto da chi dice di non capirmi e vuole comprendere cose che non capisco nemmeno io.
Un mio carissimo amico ieri mi ha detto che ho guardato troppo i film di Nanni, io gli ho risposto che i film di Nanni sono troppo simili a me.
Un altro modo sarebbe quello di invitare alcune persone a recarsi a raccogliere lumache nel deserto mongolo, e anziché andare al punto di ritrovo virare la rotta verso tutt'altra direzione... spegnere il telefono per una mezz'ora abbondante. Aver piacere di incontrare gente che ti ferma per sapere per quale motivo i pini secolari sul viale sono stati rimossi, oppure qualche altro tipo di ragguaglio sull'andamento lento di un borgo di provincia che a stento si ricorda del fatto che la Terra è rotonda. Perché se fosse stato Tolomeo a prevalere su Galileo, qua sarebbe cambiato ben poco...
Niente doppio-Manhattan, niente ore piccole, scegliere la vita e andare a letto presto.
Svegliarsi con le campane della chiesa che non mi rallegrano un tubo, ma mi insinuano già all'alba la fiaccola del mal di testa tra le sinapsi. Lavorare un po', per non sentirsi in colpa, e perché non si sarà mai del tutto liberi. Una mano che scrive, un occhio che tiene i calcoli sotto controllo, frammenti di idee che sgattaiolano già via dai miei doveri verso il ripostiglio dove riposano le mie nuove scarpette bianche da corsa.
E' umido tutto intorno, l'aria sembra essere pastosa e malleabile. L'attrito sotto i piedi si fa sentire, il mondo non è sempre un tappeto morbido e lascivo che scorre sotto il calpestìo dei nostri passi dapprima lenti, poi man mano che l'aria si scioglie ed il fiato si scalda, sempre più avidi di voler scacciare fuori dalla mente tutte le sozzure che la intorpidiscono, e fare posto al niente più beato, all'ossigeno e a null'altro. Man mano che scorre la vita sotto le gambe, giungo al limite giornaliero che mi impongo per non sfottere il mio particolare e fragile equilibrio atrio-ventricolare, di cui Madre Natura mi ha fatto dono, molto generosa, grazie. Ma non doveva disturbarsi così tanto... in fondo il mio soggiorno è tanto involontario quanto indesiderato.
Arrivo al punto indicato, e mi dico
ma io sto bene. Mi sento bene... visto che sono arrivato fin qui tanto vale che arrivo alla fine di questa contrada. E non torno indietro. Un cartello alla mia destra mi informa che ho varcato un territorio comunale, so dove mi trovo, so che non sono a casa, e la cosa non mi dispiace affatto...
Sono quasi alla fine della contrada, al doppio del percorso stabilito in partenza, e prima di toccare il nuovo limite, è la fantasia a superare le mie gambe ancora fresche ed il mio cuore malconcio.
Perché visto che sarei giunto fino a lì, mi sarei detto che tanto valeva arrivare fino al mare, quell'altro mare, quello che bagna il dorso dello stivale e dal quale anni fa' sono giunti venti di guerra e miseria.
E ci sarei arrivato, con l'anima c'ero già. E una volta giunti fin là, tanto valeva continuare a correre tenendo fedele il mare alla mia destra, correre senza che giungesse mai la notte, scorgere il Gargano spuntare dalla nebbia al di là di una vasta pianura levigata dal vento di libeccio. Correre sino alle prime colline daune che risalgono i ricordi lungo i primi gradini dell'appennino più tenue, tratteggiate da ruscelli e ponti, fiumiciattoli a secco e assetati, come i campi arsi e gelati che attendono invano la pioggia e voltano già le spalle ad una primavera a cui non avranno messi da offrire. Le alture di paesi arroccati su punte quasi inaccessibili e scenari di paradisi denudati dall'incantevole solitudine, persino il vento è catturato, intrappolato e costretto a far girare enormi e disordinati mulini meccanici che violentano le promesse di una pace accomodante tra le frange degli alberi, che ha lasciato il passo al virare magnetico di queste braccia di giganti di piombo.
Ancora, continuare a correre lunga questa dorsale che amo e che mi ha restituito semplicemente alla vita quando tutto sembrava essere predeterminatamente avulso da ogni mio desiderio, con il mare alla mia destra, i monti abruzzesi alla mia sinistra, con costellazioni di case sparse e piccoli alveari di uomini posti lassù in cime che si affacciano inarrivabili al mio sguardo volto alla strada che scivola ora su un terreno morbido, vicino dove si infrangono le onde. Accanto alle gallerie dove scorrono treni e storie di gente che non conosco e che mi par di voler portare via con me, affinché non si riduca tutto sempre e soltanto in un incontro fugace, ma affinchè ci fosse sempre una seconda volta, sempre un'altra possibilità.
Non per lenire le ferite, ma per sorridere ancora.
Scorrendo case di amici e persone lontane che sono lì, nei pressi della mia corsa... non posso fermarmi a salutarli, perché visto che sono giunto fin qui tanto vale continuare a correre e toccare quei monti che già mi capitò di attraversare, quelle schiere di ghiaccio in cui ho raccolto alcuni dei ricordi più lieti che hanno segnato il tratto più
radioso del mio involontario soggiorno.
Ancora correre lungo i valichi che aprono i cancelli di un paese dove non sarò compreso, dove dovrò farmi capire con gli occhi o con la forza di un'espressione. Qui ci sono già stato, c'è ancora lo stesso odore di cipolla che manifesta quanto sia lontano da me il mondo che si schiude man mano che l'orizzonte alle mie spalle cancella il mio scontato giaciglio di cui sono stanco.
C'è ancora lo stesso ordine di case sparse, di sguardi freddi, di pulito e completo... e visto che sono giunto sin qui, tanto vale continuare a correre in terre che non ho mai visto, bagnarmi i piedi e riposarmi lo sguardo sulle sponde argentee del Mare del Nord. Non sono stanco, non sono domo, ogni mio passo allarga le pareti di una casa più vera che sento mia più di ogni altra eventuale dimora al mondo...
Sono arrivato, e sfioro un orizzonte che non ho mai neppure immaginato, lungo ricordi e speranze ho risalito il tempo che è stato e quello che potrebbe essere, potrei scendere e risalire questa abissale distanza dalla realtà alla mia voglia, e lo farò... continuando a correre...
Non corro per affermare un principio, non corro per un'idea, né per star meglio, né per sentirmi leggero né risoluto contro-vento.
Avevo semplicemente voglia di correre...
Mentre la mia anima si è persa nello scorrazzare lungo lidi che non so se riuscirò mai a lambire con lo sguardo stanco dei miei giorni corporali, i miei passi cominciano a farsi incerti, ed il mio respiro si accorcia e si insegue esponenzialmente. La strada per tornare indietro è sempre faticosa, svogliata, è una rinuncia ed una sconfitta... e questo mio corpo è un sarcofago troppo stretto per contenermi, una dimensione che non fa a misura con la mia voglia, con la mia vita...
E' davvero tardi, i miei simili potrebbero sedersi a tavola, mentre io corro piano ma ci sono ancora, e guardo lassù la libertà di un raro rapace che ancora non ha abbandonato queste colline.
So con certezza che l'aver prolungato il mio tragitto desterà preoccupazioni, ma se mi fossi perso davvero allora sarebbe stato del tutto diverso. Placati i pensieri di chi affida palpitazioni e preoccupazioni sulla tenuta del mio cuore allo sforzo, o sulla mia semplice prolungata assenza dai loro patetici schermi di scenate paranoiche, sarei stato davvero libero. Libero anche di lasciar fuggire via l'anima spegnendo definitivamente il corpo, libero di farlo tenendo lontani da tutto questo coloro che mostrano l'ardire e la pretesa di volermi bene, di cercarmi, di sottrarmi a questo senso di libertà e silenzio, come il vuoto sconfinato ove splendono le stelle.
Ora, però mi fermo, perché sono un po' stanchino.

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