mercoledì 23 settembre 2009

Jet lag

La terapia non prevede apparenti effetti collaterali. Come un intervento di ipnosi regressiva, bisogna soltanto ricongiungere qualche cavo disgiunto, e conformarsi a cronoprogrammate mosse ampiamente sperimentate.

Battere un po' i tappeti sul balcone e cantare all'aere per dare l'impressione che la casa non sia davvero infestata dai fantasmi: cosicchè essa riacquisisca un po' di valore.
Recuperare una sana e mediterranea familiarità con volti e luoghi di cui sembrava tacitamente raggiunta un'opportuna estinzione.

Per riavvilupare il gomitolo alla genesi bastava ritrovare la valvola di congiunzione temporale. Medesimo buio nel ricostruito scenario peccaminoso, medesima stanchezza come quella antecedente all'adrenalica vigilia. Medesima comparsa adibita all'estinzione dei pensieri superflui dal compassato architrave mentale.
Medesima sensazione di schifoso vilipendio una volta esauriti i fasti dell'orgasmo.

Piccoli assestamenti che lentamente ricollocano le spregevoli caselle del domino. Le prugne comprate dalle bancarelle degli strilloni in neolingua che si appollaiano nel mercatino dei giorni dispari, anziché dal farmer ebreo aperto h24 dalla domenica al venerdì. Sono state raccolte dai pruni a foglie decidue che popolano la murgia, anzichè essere importate dalla Nuova Zelanda.

Le prugne. Quei frutti miracolosi completamente assenti dalla dieta di dio, quando questi  si adoperò per cacare un po' di vita su questo agro di terra sul quale nacqui. Così avara e stitica fu l'espulsione divina in questo immeritevole cesso di paese.

Tuttavia oggi non è più necessario contingentare le dosi massicce di italico caffè per evitare di restarne a secco prima che il container abbia attraccato ai piers del New Jersey.
L'abbondanza ha ridotto la perversione della dipendenza, al punto da poter escludere la caffeina dalle cause dei miei scompensi.

Inconfondibili come lagne in loop, si ripropongono le figure cerulee di questo villaggio. Qualche cartello vendesi sulle solite auto, un paio di piazzali rivoltati per lasciare spazio a parchi che non vedranno la luce prima di eventuali prossimi contatti alieni.
Alberi potati a cubetti, e un urban style trogloditico in salsa pop shit art, come testimonia l'abbigliamento inverecondo dell'assessore incaricato di abbruttire questo negativo fotografico dell'eden.

Un elettrocardiogramma esistenziale piatto, da rendere assolutamente imperdibile una seduta della commissione consiliare che vede tra i punti all'ordine del giorno la possibilità di dotare i vigili urbani di armamenti da polizia giudiziaria.
Un auspicio, forse, all'insorgenza di imprevedibilità sociale laddove persino il crimine ha pensato bene di star lontano per non arrugginirsi.

Sono ingeneroso, è vero. Anche le pecore, in fondo, hanno un senso nella catena alimentare. Non è giusto che io scarichi la mia frustrazione intestina su questo vespasiano di agglomerato umano.
Almeno qui posso bere ed ubriacarmi per strada come se fosse una terra di nessuno su cui pisciare come un cane, senza che qualche agente mi sbatta dentro per una notte.

Le arterie di SoHO restano scavate come un arpione che ti aggancia la vita in un ombelicale cordone di riconciliazione all'umanità. Tra i vagabondi e gli sbandati, la chitarra in spalla, su uno di quegli sgabelli dove qualche decennio addietro un italiano qualunque avrebbe potuto ascoltare Bob Dylan senza barba strimpellare in un qualunque giovedì notte.
Oppure raccogliere soltanto ieri le confidenze di amici stracciati dal rullo compressore di un sistema che non ti soccorre se stai crollando.
Cosicché il poliziotto è costretto a sostenere un colloquio per farsi ingaggiare in una compagnia di sicurezza privata, e allo stesso tempo chiama al suo amico avvocato dell'entartainment, finanziariamente decaduto, e che a 56 anni è costretto a reinventarsi una professione perché il proprio cliente è fallito insieme al tonfo della Lehman Brothers.

Vite precipitate che non sentono la puzza della rassegnazione. Gente che nonostante tutto non considera alcun orizzonte se non quello al quale tende fiero il proprio sguardo.

E mentre su quel bancone posavi tra i bicchieri vuoti il tuo biglietto da 20 dollari, egli ti ringraziava per aver alleggerito il carico finanziario dei suoi vizi.
Tu devi tornare - ascolto commosso dal suo italiano lento. Mentre mi salutava in fondo ad un locale canadese di Thomson St., lasciandomi in compagnia di due apprezzabili signore colombiane, una giornalista ed una barista entrambe di Staten Island.

Va via, il mio più caro amico, e devo scaraventare la mia bocca su un altro Johnnie Walker, per anestetizzare il peccato di smarrirlo per sempre.

Staten Island era lontana, scollegata, e fottutamente attraente come le lusinghe delle mie ospiti.
In totale contraddizione con l'auto che l'indomani mattina mi avrebbe ricondotto all'aeroporto.


Qualche bacio dopo l'ultimo drink, e poi la consapevolezza di muovermi, per la prima volta in quelle strade, senza l'ausilio di una mappa.
Come un sonnambulo in casa propria, silenziosamente avvolto dai fumi della subway in perenne rifacimento, o familiarmente sciolto nei rivoli ereditieri delle piogge di un'estate cianotica che prematura si tingeva di rosso.

1 commento:

  1. a parte l'inizio un po' caotico (probabilmente fatto a posta), è molto coinvolgente, e non solo per le tue solite immagini brillanti...


    ben tornato, ma spero tu riparta presto!

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