venerdì 5 settembre 2008

Giove


Sbrigati Alcor, il popolo scalpita. Ha ansia di leggere. Un'ambulanza verrà a prenderti, una piccola puntura e potrai presenziare allo show.
Ok, solo un piccolo pizzicotto che trapasserà la cute. Non fa male, stai solo regredendo.

Eccomi finalmente a voi, effetti collaterali delle mie spongiformi secrezioni di stronzate.

Per ora, pertanto, rimando il suicidio e organizzo un gruppo di studio: le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani. Le masturbazioni cerebrali le lascio a chi è maturo al punto giusto, le mie canzoni voglio raccontarle a chi sa masturbarsi per il gusto.

Mi addormento mentre scrivo. Mi assale il rimorso delle ore perse, e la gelosia di pensieri che non oso condividere in aperta coscienza.

Sono le 15.00 o'clock di venerdì 5 settembre 2008. C'è un lucido vento di scirocco, che sbatte risalendo lo ionio dal versante più sporco.
Un sole centrifugato si scioglie scolando sul mio cortile e facendo zampillare fotoni posticci che oltrepassano la zanzariera della mia finestra.
L'umidità oltrepassa il 50%.
La mia urina è trasparente e pura come acqua sorgiva. Mentre piscio assomiglio ad un cherubino pisciante di una fontana del Bernini.
La partita a biliardo nel bar  è terminata prima del solito, e i concorrenti sono già accomodati altrove, chi ai tavoli misti da tressette e ramino, chi alle macchinette del videopoker.

Il pranzo sociale servito nel tinello prevedeva spaghetti in bianco con i tipici mitili del luogo (cozze), e succulenta bistecca ai ferri.
Nel mio solingo piatto eversivo, invece, una sdegnata faccia di madre svuotava biecamente mestoli di minestra di riso integrale con zucchine e carote. Accompagnava i mesti moti del suo polso con un'espressione di sdegno, rivolti al primogenito, vile prodotto del suo utero.
La vedova del secondo piano conduceva esperimenti nuovi sulla pressione materiale in onore di Evangelista Torricelli, passeggiando scalza e obesa, cagionando bradisismi e perturbando i calcinacci.

Il telefono non squilla, il disordine nella stanza lievita come una focaccina oberata da etilici fermenti di natura animale, vegetale e virale.
Gli amichetti lucignoli, irriducibili spiaggiofili, non si sono fatti sentire.
Il portafoglio è pieno di appunti, non vi sono più banconote, il taschino interno preserva un residuale capitale metallico per un ammontare pari a 4,50 euro, e dischetti in rame da 1 - 2 - 5 eurocent.
 
"Non stiamo facendo nulla, la destra si sta vendendo l'Italia, loro fanno quello che vogliono". Ma che cosa sono questi discorsi da autobus? Come siamo diventati prevedibili...
La luna è crescente. La costellazione del Toro a mezzanotte è già visibile ad est. Tra Cassiopea e Andromeda, preferisco Cassiopea, del resto, Il Laureato è uno dei miei film preferiti. Ok, questa è un po' complicata da intendere, ma chi se ne frega.
Obama è 10 punti avanti. La Roma è già 2 punti indietro.
La settimana più critica per le borse mondiali degli ultimi cinque anni, è questa. Gente non investite che butta male, e tra un po' si rialzano i tassi di interesse. Tenete i soldi al calduccio, farete del male al sistema ma parerete il vostro culetto. Homo homini lupus. Stagflazione, signori, è un dramma.
I punti delle mie cicatrici sono: 3 sulla fronte, 4 sul torace, 3 sulla schiena; 1 che mi trapassa l'anima da parte a parte.
I numeri odierni della mia pressione arteriosa sono: 60 la minima, 120 la massima, praticamente perfetto. Ma non mi sento mica tanto bene.
Vedo una macchiolina nuova sulla pupilla sinistra, sarà mica un retaggio? Non me ne importa. In fondo mi sento benissimo.

La mia agenda segnala tre partite di calcetto da disertare, il ritorno in ufficio, il metadone politico, la laurea di un mio amico nella città rossa che non vedo l'ora che giunga presto, per occulti motivi; la necessità di comprare un paio di stivali marlboro classic, una nuova fascia per la chitarra, un set di corde fender nuove, qualche MI cantino in più, un'armonica cromatica.
Voglio spaccare la faccia a qualcuno. Chi porge l'altra guancia? Lo specchio, forse, potrebbe suggerire il giusto.
Oh, nessuna coscienza è pulita davanti uno specchio...
Venite pure avanti poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza, avrete soldi e gloria ma non avete scorza.

Dal mio pc promana la voce di Morrissey.
Sono in perenne attesa che giunga il tramonto. Sono io, e respiro. E sono innamorato. Mi innamoravo di tutto, di una sola persona.

Mi riesce estremamente complicato venire a capo di un discorso coerente. Mi ritrovo improvvisamente a fare i conti col ciarpame della soffitta, qualora volessimo euristicamente utilizzare una visione
palazzinara della vita umana.
Conseguenza è che non riesco a scrivere, poco male se fosse solo un problema di scrittura. Sogno e agogno il giorno in cui riuscirò a disintossicarmi da questa inchiostro/pixel-mania, e potrò finalmente relegare alle ortiche questo blog, e tutte le piattaforme più o meno reali dove scialacquo inopinatamente il mio prodigo tempo.
Anziché zittire, lusso che mi nego.

Manca l'acqua per via dei lavori al palazzo, eppure ho l'impellente necessità di accomodarmi sul medesimo sito in porcellana bianca dove la leggenda narra che Freddie Mercury abbia concepito  Crazy little thing called love.
Pertanto mi vedo costretto ad emigrare frettolosamente in un alloggio parentale con integerrime infrastrutture idrauliche.
C'è chi emigra per star bene, chi per brain drain. C'è chi emigra per la guerra, chi per la fame, chi per lavoro, chi per amore, chi per sfizio, chi perché si è rotto semplicemente il cazzo di stare nello stesso posto; c'è chi ama la zia, chi  va a Porta Pia, chi è morto di sfiga o di gelosia.
Così in un pomeriggio di inizio settembre
emigrai, per scrivere cazzate seduto sul cesso.

Per mettere ordine. E intercettare queste mirabolanti buone prassi per cambiare registro. E imparare a parlare.

Regrediamo, orsù, evocando mementi mentre facevo scivolare  le ore in riva ad un lago. Mi è rimasta qualche equazione matematica, un paio di promesse, un paio di contatti skype, una sbronza con due francesi in piena notte e un visino dolce, un po' emiliano e un po' marchigiano, a cui mi son deciso di rivolgere la parola troppo tardi, nonostante fosse l'unico volto che rispondeva ai miei sorrisi quando incrociavo gente lungo le scale della residenza repubblichina.
Ma non mi importava, se non per testare la mia vanità.

Il curriculum vitae si gonfia. Il turgore dei miei coglioni si svilisce sconcertato.

Regrediamo, orsù, alla pagina che apro davanti ai miei occhi una domenica tardo pomeridiana. Il pomeriggio durante il quale ho maggiormente odiato il tempo in vita mia.
Ma la mente mi autorizza a credere che una storia mia, positiva o no, è qualcosa che sta dentro la realtà.
Dovevo fare compagnia ad una borsa, mentre guardavo, guardavo, guardavo come non mi sarei mai stancato di fare, anche se è durata solo per qualche minuto.
Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora, ed io non mi nascondo sotto la tua dimora.
Un po' sporca la gente intorno. Una monoporzione di sacher, ordinata nonostante il menu recava la pessima dicitura "saker", che da sola sarebbe valsa il gesto di alzarsi e andarsene.
Ma non potevo perdere tempo.
Talmente non potevo perdere tempo che mi stavo pisciando addosso.
Direte forse: ma, Alcor, tu urini sempiternamente? Provate a ingozzarvi di frutta e acqua in continuazione, e vediamo se non vi si diluisce pure la cazzimma, per chi ne è sano portatore.
Sono talmente diluito che mi sono scoperto geloso, e mi sono scoperto a consigliare alla gente di provare ad avere un po' di fiducia per il mondo.
Altro che mollusco, qui trascendiamo ampiamente nel regno dei protisti.

Ma la ragione è semplice. Io odio tutte le cristallizzazioni alla Durkheim, le istituzioni, i precetti. Il male che diventa una moda senza contenuti, il bene che lo incalza e lo imita come un pupo sordo e muto, la misantropia concava elevata a maschera di ossigeno per chi teme di contaminarsi. Essere diversi è un lento trascinarsi verso il nulla, forse, ma è un continuo peregrinare tra gli stati dell'anima. Spinti dal dubbio, e dalla voglia di non assomigliare a nulla, o quanto meno, a non sprofondare così irrimediabilmente dentro corazze di latta che arrugginiscono la moltitudine di possibilità.
Che cazzo ho detto? Non lo so. Il guaio è che non suona nemmeno tanto bene.
Lo cancello? No, non mi va, non mi rileggo io, non leggete voi. O fate il vostro comodo.

E poi sopraggiunge finalmente la voglia di mettere fine alla verginità delle mie pagine: e scrivo, finalmente sul primo imbelle foglio: "Non riesco a parlare, cazzo".
Guardalo lì che scrive. Questo il massimo della mia produzione negli ultimi 15 giorni.

Il resto, per quanto poco che sia, è mio.
Una puntata canonica di una vita normale. A tratti psicotica, a tratti illuminata. A tratti silenziosa e schiva come un saluto senza strascichi esterni, solo  con qualche carsico diluvio dell'anima, costipato laddove non dà fastidio, dove non nuoce, dove non urta.
Dove non corre il rischio di essere giudicato.

Della tratta ferroviaria adriatica odio il tragitto che si approssima verso casa. Appiana ogni sbalzo e rientranza litoranea come un noiosa linea retta che si svolge a guisa di lenzuolo. Troppa pianura, troppo banale. Troppo mal di testa per raccontarmi, e ibernare quello che ho portato via con me, anche stavolta.
La sensazione di non sapere dove diavolo sarei stato il giorno dopo tanto per cominciare. Le passeggiate solitarie all'alba in riva al lago. Quella cameriera maiala che mi forniva birre clandestine, le cene tra colleghi durante le quali prima intrattenevo la platea illustrando il processo che conduce alla produzione della mozzarella, e poi spiegavo loro quanto facesse bene alla salute non mangiarla.
Un sorriso salentino a tratti antipatico, a tratti maleodorantemente alto borghese, a tratti un po' "troia solo con chi dico io e non con voi miseri mortali", a tratti l'ho perdonata poi per quella sua espressione svampita e sciocca, allorquando mi ha servito riempendo il mio piatto di vitel tonné.

Guarda quello là, è Giove. Ma non gliene fregava un cazzo a nessuno. Piccola, unica, nota di tristezza e alienazione.
E poi ritrovarsi in una città dove gli autobus funzionano, c'è un'umidità pazzesca capace di nutrire zanzare-godzilla che anziché le semplici punturine ti infilzano il cuore trapassando lo sterno  in stile Pulp Fiction.
Attendevo il caschetto biondo che venisse a prelevarmi, e lo intravidi nei pressi di un braccio agitato in aria per catturare la mia sopente attenzione. Stivali scamosciati e cosce in evidenza, ma eri proprio tu? Possibile che eri tu colei che io avevo visto crescere? Dimenticavo, sei fatta grande, ed io sono vecchio, baby.

Devo ringraziarti io stavolta. Ma l'ho già fatto durante i miei silenzi, mentre dormivi e tremavi. O forse ero io a tremare, con il letto ikea che non reggeva il peso dei miei pensieri? Per l'esponenziale impennata della sideremia dovuta all'invasione di bresaola nel mio stomaco, per essere stata presente al primo Oban della mia vita, che tenerezza; per aver presenziato al suicidio inopportuno della mia bellissima e compianta scarpa destra, un attimo prima aver deciso di risalire le torricelle, o come cazzo si chiamano.
Grazie per avermi preso le buste dello shopping, che la mia sbadataggine stava regalando ad un futuro avventore che avrebbe posato le sue terga laddove qualche minuto prima, insistevano le mie.
A raccontar di cantici.

- Giuse', ma tu l'hai letta tutta la Bibbia?

- Sì.

- ...

- ... Troppe letture, amica mia, troppe riflessioni, troppe meditazioni...

- ... e pochi Aperol Spritz...


Grazie per essere stata la cavia dei miei massaggi al collo, in quella sera  colma di attese. Per avermi dato l'opportunità di ridere a denti stretti di un deficiente piagnucolante nei momenti topici dell'esistenza; per aver sospirato forse anche più di me mentre ti parlavo dei miei desideri per quell'indomani che sembrava non volere arrivare, quando dovevo salutarti senza sapere dove diavolo sarei andato.
Grazie, per aver condiviso con me il disgusto per un sessantenne che derideva la moglie inetta mettendo le sue luride mani addosso ad una prostituente ventenne compiaciuta di insozzarsi.
Grazie di esserci stata tu, sennò lo trucidavo spietatamente.

Grazie per l'attesa di un taxi più bella e straziante che avrei mai potuto vivere. Grazie perché non so mai di poter meritare tali iperboli della coscienza, di fronte ai quali mi sono sempre sentito insignificante. Laddove comprendo che il dolore, per quanto aguzzo come uno spiedo rovente conficcato nella carne giovane, è un viatico sincero verso una persona migliore.
Un tragitto che mi è negato, per l'indifferenza con cui mi sono nutrito da sempre, per l'assuefazione  cronica all'idea di insostenibilità dell'essere che mi rende inaccessibile qualunque lacrima, un trauma, una scomparsa, un'asportazione di vita per la quale sarebbe giusto versare la propria salvifica disperazione.

Rinunciare alla propria felicità è il tradimento peggiore. Nulla lo giustifica, nemmeno l'amore immenso per le persone a cui teniamo, per le quali saremmo disposte a lasciare perduta ogni traccia di noi, delle nostre speranze. Accontentarsi non aiuterà mai chici circonda a scontare, con la propria serenità, il nostro sacrificio di quella pace alla quale ogni essere tende.
Se non siamo felici noi, non lo saranno mai nemmeno coloro che amiamo. Percio, mia cara, nonostante la cazzimma, sii felice e sorridi un po' di più, cazzo.

Parlare in generale, e per gli altri è semplice. Lo ammetto. Parlare per se stessi, è un'altra storia.

Ossequiante ai miei bisogni, mi aggiro per un po' nel parentale alloggio, meta del fisiologico pellegrinaggio
C'è un calendario con immagini neorealiste. Uno dei miei film preferiti è Il Sorpasso. Secondo le categorie kantiane del mio pensiero, e so che citando Kant faccio felice un amico, Gassman è il più grande in assoluto.
I giudizi universali non esistono, e pur tacitamente ragioniamo sempre ralativisticamente. Per fortuna.

Torno a casa. L'acqua è tornata. E mi incazzo.
Non volevo scrivere, ed avrei fatto meglio. Non seguo  l'ordine delle date e del tempo, però posso affermare con risolutezza che il giorno 4 settembre 2008, sono stato una persona felice.

Il giorno 5 settembre 2008 invece non tanto. Un uomo sa di dover morire, ma non se ne cura, vive e fa i cazzi suoi finché non suona la campana di Hemingway. Muore quando perde l'illusione di essere eterno.
Nessun uomo è perfetto, deo gratias, ragion per cui è inutile crucciarsi nel fare l'autopsia ai propri comportamenti e pensieri. Ma scoprirsi incoerente e vedersi fare stronzate è abbastanza urticante.
Così si scopre di essere stati, semplicemente, e abbastanza normalmente, un imbecille.
Non come tanti altri, sia ben chiaro.
Ma ai tuoi stessi, irreprensibili occhi, che non fanno sconti di pena.

Questo succede oggi. O era ieri? Non ha alcuna importanza.






Good times for a change
See, the luck I've had
Can make a good man
Turn bad

So please please please
Let me, let me, let me
Let me get what I want
This time

Haven't had a dream in a long time
See, the life I've had
Can make a good man bad

So for once in my life
Let me get what I want
Lord knows, it would be the first time
Lord knows, it would be the first time

5 commenti:

  1. ma i cherubini piscianti non si chiamavano putti?

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  2. gli angioletti nudi, sì mademoiselle.

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  3. ah, quindi quelli vestiti sono cherubini piscianti.

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  4. Non mi pare di ricordare statuine col grembiulino sinceramente.

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  5. è che ancora non c'era la Gelmini

    ;-)

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