giovedì 11 settembre 2008

Contrasti e memorie

Trascorrere mezza serata di fronte ad un personaggio.
L'altra mezza serata al telefono con la persona in carne ed ossa.
Che vento, che bel rumore.

C'è qualcosa che non funziona correttamente.

Sette anni fa, mi svegliai presto. Una mattina come tante perché mi sentivo piuttosto triste. Ed avevo ben ragione di esserlo, perché quel giorno sarebbe cambiato il mondo (sciocchezze, il mondo era già cambiato, le solite definizioni da politica da bar). Il mio mondo sarebbe cambiato.
Quella mattina mi iscrivevo all'università, mi immatricolavo, dopo mesi di lotta furibonda, scioperi, manifestazioni, occupazione del cesso, volantinaggio presso il parentado, dichiarazione di prigionia politica, tentativi di convincere la famiglia che io fossi un buono a nulla. E come tale meglio se destinato a non fare un cazzo, se non ad arrovellarmi  in cervellotiche macchinazioni nichiliste.
Magari tentare la botta di culo e sperare di prestare una simile, e pressoché inutile, mansione  lungo il tragitto di sviluppo dell'umanità ricavandone un tozzo di pane, un bicchiere d'acqua, un letto, un cesso, un libro, e una caterva di sogni da non realizzare.

Piccola parentesi: stanotte ho fatto un sogno di merda, mi sono svegliato odioso e col mal di testa. Nonostante tutto, pulcherrima, mi scoppia il tuo viso nel cervello, come una bottiglia di birra dimenticata nel congelatore.  Non che io ti possa dimenticare, intendiamoci. Chissà a che età si potrebbe accostare una similitudine del genere... chiusa parentesi.

E se penso che un mio amico parrucchiere riesce a fatturare oltre tremila euro al mese, sono sicuro di aver fatto una grande cazzata quella mattina.

La cultura non vi renderà mai persone migliori, fidatevi.
Perché in questa realtà imbevuta nel relativismo come un maxi assorbente, aiutatemi a capire, di grazia, che cosa vuol dire essere persone migliori?
Avere una elevata considerazione di se stessi? No, è impossibile, l'egoismo non basta.
Io ricorro a Darwin, sempre. Ogni essere vivente è una monade appartenente ad un corpus più generale: la specie. Più egli contribuisce alla procreazione della specie, più egli ottempera all'unica cosa per la quale esiste.
Sarà un caso che l'orgasmo è la punta massima di piacere sperimentabile? La competitività sociale e il successo economico sono espedienti inconsci che l'uomo persegue per garantirsi quanti più orgasmi possibili.
Pertanto, sprecare neuroni per scrivere codeste attuali stronzate, e poter citare il pensiero e le gesta di uomini grandiosi, a che cazzo serve?
Serve a complicarsi la vita punto e basta. Non garantisce più orgasmi di quanti se ne assicuri un deficiente qualunque, di quelli che non sanno leggere né scrivere, né parlare, né pensare.
 
Succede che diventi adulato da tutti, grande oratore e bella presenza. Atteggiamento schivo e reticente. Magari ci si diletta pure a scrivere cazzatelle sparse nei ritagli di tempo, uno dei pochi contatti di umanità che ci si consente senza timore di contaminarsi.
Il successo è dei coglioni. Quelli che la fanno facile perché oltre non possono andare, e non ingenerano sciocche responsabilità nei pensieri altrui.

Tanto valeva beccarsi i soldi, almeno.

Quella mattina era coerente col mio intrinseco, quasi calvinista, destino di condanna.
La tecnologia sarà pure ininfluente nel condizionare la felicità umana, ma se mi fosse venuta incontro quel giorno, come le analoghe mattine di settembre dei restanti quattro anni, a farmi evitare una fila di cinquecento persone allo sportello della segreteria, forse, non avrei sollevato la mia anima dal costante richiamo del suicidio, ma presumibilmente un sorrisetto di pacata soddisfazione me l'avrebbe indotto.

Soprattutto quando giunge il sospirato turno e ti appresti ad affrontare la megera armata di timbro e spillatrice, che ti scruta in maniera torva per scandagliare i lineamenti che il caldo torrido scioglieva sulla mia faccia, che progressivamente assomigliava sempre meno all'ineluttabile e impassibile individuo che riempiva la fototessera allegata alla triste domanda.

Ti accorgi di aver dimenticato quella cazzo di marca da bollo da ventimilalire, e devi ripartire dal via, per aver pescato la carta errata dal mazzetto non degli "imprevisti", ma del "com'era prevedibile stronzo".
Per concludere, la macchina tamponata, perché il danno doveva essere perfetto.

Apro una parentesi: pulcherrima, io muoio dalla voglia di vederti, eh, cazzo... chiudo parentesi.

Torno a casa distrutto e convinto di aver fatto la scelta peggiore della mia vita. Dopo un po' mi fidanzai con la persona sbagliata, e questa scelta finì al secondo posto nella bad parade. Poi iniziai il dottorato e questa scelta scivolò al terzo posto. E lì permane, per fortuna. 

Mi concedo al letto. Canticchiando parasimpaticamente
svegliatemi quando finisce settembre. E invece no. Ad un certo punto si ascoltano delle urla licantropiche che lo stato di sospensione para-vitale lentamente mi fa riconoscere come generate dalle corde vocali paterne.
Comincio ad armarmi il palato di invereconde bestemmie, nonostante non avessi inteso l'oggetto del delirio genitoriale.
Percorrendo il corridoio come fosse stato il miglio verde, cominciavo a distinguere tra quei tonfi latrati delle parole sputacchiate in un italiano medio e senza pretese: "la guerra, la guerra!!!.

E con le stalattiti agli occhi, mi sedetti sul divano davanti la televisione nel momento in cui crollava la prima torre. Ricordo che cambiai espressione sul mio viso, e riuscii a muovere una minima falangetta soltanto il giorno dopo. Si muoveva soltanto l'indice della mano destra, di tanto in tanto, per saltare da un canale all'altro tra i vari programmi televisivi.

Non mi abbandonerò mai, qui dentro, in considerazioni storico-politiche. Perché non me ne è mai importato nulla, in verità, se gli aerei fossero stati dirottati dagli scagnozzi di Al-Qaeda, o se gli americani stessi c'entrassero qualcosa. Questi discorsi hanno accompagnato sempre e soltanto discussioni disgustose esternate indecorosamente tra le sputacchie e i sedimenti di una bevuta da baretto intossicato.
Perché nel tritacarne ci stiamo dentro un po' tutti, in un modo o nell'altro.

Volevo entrare nella mente di chi si gettava dai grattacieli per non finire carbonizzato, provare il tetro sfizio di volare, sapendo che da lì a poco di lui sarebbe rimasto un fotogramma impersonale da magazine gossipparo socio-politico. Volevo entrare nei pensieri palpabili degli inconsapevoli che all'improvviso si son trovati a dover fare i conti con la morte imminente che ne avrebbe azzerato le vite, e che loro sentivano avvicinarsi lesta e insaziabile.
A coloro che non hanno fatto in tempo a chiedere scusa per i conti lasciati in sospeso. A coloro che mandavano un sms alla persona che amavano, incondizionatamente, sapendo che non l'avrebbero più rivista, sperando di sopravvivere in un ricordo non loro.
A tutte quelle parole che non si sono potute raccontare, alla vita che non si è potuto condividere, alle occasioni buttate nel cesso di un aereo che cadeva per i capricci di qualche coglione.
Coglioni di quelli che non hanno cultura, e hanno avuto il loro successo di metastasi universali.

Volevo entrare nella mente di una persona che muore. Per capire cosa vuol dire rinunciare per sempre ai propri desideri, alla propria speranza, ai ricordi, ai sentimenti, alla vanità delle proprie sofferenze e delle proprie rinunce.
Alle stronzate che quotidianamente sperperiamo, e alla felicità che sciaguratamente rinneghiamo per motivazioni ridicole e miserabili.
Perché al di là di ogni percorso, quell'attimo consapevole prima della fine, è probabilmente l'unico attimo in cui si è davvero persone migliori. Quando si ha la lucidità di confrontarsi col nulla più cruento, quello che cancellerà senza pentirsi ogni traccia dell'infinito che abbiamo conservato dentro.

Quel giorno la morte, quella mite e silenziosa, si trasformò in un circo con cui infestare il mondo di barbarie e paura. Un palcoscenico con cui si è voluto ammazzare anche la coscienza dei sopravvissuti.

Ed io mi vergogno, profondamente.
E non rinuncerò mai ad espandere la mia vita. Pur nella spasmodica attesa del mio attimo di persona migliore.

Simone de Beauvoir, quando morì Sartre disse: "
Sa mort nous sépare. Ma mort ne nous réunira pas. C'est ainsi; il est déjà beau que nos vies aient pu si longtemps s'accorder".

Chiusa un'altra parentesi, che ho aperto senza volerlo, confidando nell'intelligenza altrui.

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