sabato 27 novembre 2010

Saturday Night fever


Si tratta del terzo sabato sera consecutivo che trascorro a lavorare. Non che me ne sia fottuto mai una mazza della collocazione delle mie esigenze in una convenzionale casella del calendario.

Anzi, una volta mi è capitato di leggere un proclama emanato da una delle menti più sottili che mi sia mai capitato di incontrare, che proponeva una petizione a favore dell'abolizione del culto del sabato sera.



Io il sabato non mi faccio la barba e non cambio cappotto. Ma continuo a chiedermi se non fosse più sano tentare di guadagnarmi un ruolo standardizzato stile ragioniere anni '50, con gli orari predeterminati ed un salario che non riserva sorprese di nessun verso vettoriale.



Le toppe ai gomiti, il fordismo da ufficio, i mocassini, i furti d'ombrello e il pandoro aziendale.



La cervicale.



Ozio programmato con cui acconciare le tesi idonee ad essere confezione ad arte e consegnate nelle improvvide menti che bussano alla ricerca di comprensione e pietà.



La normalità è una santa e dignitosa conquista all'interno della quale preservare un'integrale unicità. Per questa ragione mi sta bene anche trottorellare senza tregua e senza trincee.

Senza sosta, come una particella di sodio nella vescica di un vecchio incontinente.



2 commenti:

  1. la migliore metafora che mi sia mai capitata di eggere da un mese a questa parte.
    Il culto del sabato sera è la liberazione dell'uomo moderno; si sveglia di lunedì pensando al sabato sera.... io, mi associo, preferisco l'essere nomade d'impegni pre-organizzati...  se fosse sabato sra tutte le sere la gente smetterebbe d'essere tanto apprensiva.

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  2. Anche io la penso così, solo che si finisce con il non staccare mai... la sera, il sabato, la domenica. Ora pretendo i miei tempi, sacri, in cui non voglio lavorare.
    Sono un filo fuori tema, ma con questo non intendo che aspetto il sabato, anzi, la settimana mi vola, finisce che ho ancora una marea di cose da fare. Ma stacco tutto e se ne riparla lunedì.

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