mercoledì 1 aprile 2009

Le luci della città

L'ultima volta che ho indossato il pigiama alle 20.30 ora illegale, avevo 8 anni. Avevo trascorso il pomeriggio a giocare a nascondino in un territorio vasto quanto un intero comparto di Piano Regolatore; l'area di verde pubblico con pineta era un rifugio sicuro per non essere scovato, ed il gioco lo prendevo talmente sul serio da rotolarmi sull'erba madida e nel fango, pur di scamparmela.
Peccato che anziché rotolarmi con gli anfibi e la mimetica, ero vestito come si conviene ad un ragazzino che raccontava ai suoi di recarsi devotamente alla parrocchia.
Non avevo ancora ben chiaro, nell'età dell'incoscienza, il trade off tra la vittoria a nascondino e le percosse paterne che mi attendevano precise, senza errabondi imprevisti, nel guadagnare l'uscio di casa con gli abiti lerci come una balla di fieno trainata da buoi con la diarrea.

Era il novembre palloso, ed io solevo così menare il giorno.
Fanculo ai flashback.

Compresi la necessità di asportare l'austerità e l'impegno al di fuori dai ludici meccanismi vitali, quando, quella sera, sacrificai in nome di quella gogliardica competizione tra scalmanati, un paio di bellissimi stivaletti di pelle di camoscio, chiari, con appena due di giorni di vita.
Fui sollevato di forza dagli avambracci pelosi di mio padre, trasportato nei pressi della vasca da bagno, denudato, e utilizzato come cavia per sperimentare il principio di Archimede, sviluppando l'attitudine all'apnea.
Ma quello era niente se paragonato al rito dell'asciugatura dei capelli.
Con il beccuccio dell'asciugacapelli che veniva fatto strisciare come  una rovente  aspirapolvere  ai raggi UVA sul mio cuoio capelluto, per garantire un'arsura tale da carbonizzare il cuscino nottetempo.
Avevo la classica riga a lato, propria di ogni bravo ragazzo taciturno.
Per questo Raffaele Fitto mi sta ampiamente sui maroni. Mica perché fa inviare gli ispettori di Angelino Alfano (che assomiglia al pupazzetto del castoro mentadent che mi fu regalato dal dentista quella prima volta che osarono profanarmi la bocca) nel tribunale presso il quale procede l'inchiesta sulle sue tangenti.

Giocavo con la forbice e mi ritoccavo la curvatura delle unghia delle dita dei piedi.
Quelli sì che erano bei tempi. Ed ogni cazzata è buona per ricordarli.
Meglio cogliere un piccolo insignificante gesto di una normale giornata e utilizzarlo come ponte verso un ricordo lieto e sorridente, che associarvi gli stucchevoli rimandi che ingiungono quando le briglie sono sciolte.

Devo ammettere che, da quando ho lasciato la ricerca, i caffè del pomeriggio hanno un sapore più piacevole, perchè alleggeriti dal fardello del senso di colpa.
Ancora meglio se penso a quel piccolo plico che giace sulla mensola della libreria; contiene un passaporto e due biglietti. Perché purtroppo è previsto il ritorno.
Mi ha divertito leggere un dispaccio inviatomi da un caro amico che si sta adoperando a trovarmi un giaciglio là dove andrò. Ha attivato i suoi benigni canali religiosi, e nella mail che ha inviato ai suoi confratelli, egli ha scritto: "non è un credente, ma è un bravo ragazzo".
Mi dispiace davvero di offrire questa tediosa immagine di me.

Altro lato comico è la incalzante insofferenza del genitore che si impegna a contrassegnare ogni ora con una sciocca domanda circa la sorte che mi attende dall'altra parte dell'oceano.
Ho comprato un'armonica diatonica, e credo di non abbisognare di altro.

Potrei, ad esempio, vagabondare. Come il tramp!
E nella mia erranza, imbattermi ad un angolino della metropoli con una persona di quelle che non ti accorgi che esistono. Perché le persone giacciono in questa specie di guscio che le ignora. Invisibile.

Quell'angolino mi pare d'averlo già visto in un pomeriggio della primavera dello scorso anno. Stavo da solo in un posto dove non capivo un accidenti di quello che la gente diceva con quella R moscia.
Vabbe' che di muretti bianchi nel mondo ce ne sono un bordello. Ma questa persona?
Potrei darle un nome francese, ma comincio ad averne le palle rigonfie al punto da farmi indurire le cisti di 'sti nomi.

Toh, ma è cieca! Provo a toccarla, a sfiorarla, ma lei non riconosce la direzione delle mie mani. Ne sente il calore, forse, altrimenti oltre ad essere cieca è pure 'na cretina. Vende dei fiori, ma più che altro, mendica.
Mi viene in mente di invitarla ad un concerto. Almeno sente qualosa, visto che sugli occhi non facciamo affidamento.
La recidività danza senza sospetto tra il peccato e la virtù.
Disegno il giudizio universale che mi garba, a seconda del piacere che accarezzo; che mi potrebbe fluire ovunque al pensiero di una notte trascorsa con le mie dita intrecciate alla sua mano. Che quella mano è il ponte tra la sua cecità, il suo silenzio, e questo rumore cacacazzo che fa la polveriera della mia coscienza.

La invito, sì. Sono un po' impacciato per la verità.
Perché
non dormo, io ho gli occhi aperti... Guardo fuori e guardo intorno. Com'è gonfia la strada di polvere e vento nel viale del ritorno...

Lei non c'ha un quattrino. Ha un mazzo di garofani chiari e margherite profumate. Non ha nemmeno il tempo per venire al concerto, c'ha da fare. Così dice. Del resto, gli impegni sono impegni.

Probabilmente deve dormire tutto il giorno. Ed è giusto, vivere stanca, lo diceva persino Pavese: arriva un giorno in cui si accumula talmente tanta fatica... ed è preferibile riposarsi tutto il giorno.
Non insisterò, volterò l'angolo dopo averla sfiorata, e me ne andrò.

Io poi combino le mie autonome cazzate quotidiane. Tipo andarmi ad ubriacare qua e là quando capita, e a fare i conti simpaticamente con la volubilità.
Però sarà la sfiga, ma io in questa cieca venditrice di fiori mi ci imbatto.
Che poi io lo faccio un po' capitare di passare per quell'angolino. Magari mi invento qualche verosimile ragione che mi conduce, guarda caso, a dover passar di là.

La venditrice di fiori è cieca. Le chiedo di accompagnarla a casa, e lei si mette sottobraccio. Vorrei abbracciarla, ma forse oso troppo. Si sgancia.

Vabbuò è cieca, c'aggia fa? Confonde le persone perché nate a pochi chilometri di distanza, ma forse confonde pure se stessa e le consone reazioni. Boh.
Però vale la pena farsi riempire di pugni, anche solo per celebrare un temporaneo fanculo alle cui spalle aggrapparsi.
La scena del pugile è bellissima.

Come finisce? Io creperò di caldo.
Al tramp finisce così:





6 commenti:

  1. Che bello questo blog...con Guernica sotto le parole.

    Inoltre solo per aver inserito Chaplin mi fai venire le lacrime.

    Sai che era un uomo di una tristezza incredibile?

    Poi noto che nel tuo memorial c'è la foto di Camus,che da solo meriterebbe una visita quotidiana.

    u.u...verrò qui ogni giorno.

    ...è un pò come andare a mettere un fiore in cimitero(con tutto il rispetto,dato che adoro i cimiteri,specie quando sono inondati di luce).

    RispondiElimina
  2. Be', l'accostamento tra il mio blog e il cimitero mi riempie di orgoglio.


    Sempre più mi convinco che avrei fatto meglio ad approfondire l'argomento Zora la Vampira...

    RispondiElimina
  3. Zora...

    Allora... vediamo...

    Il fumetto o il film?

    Prova con Valentina.

    Lei non era male.

    Ma che bel blogghino che hai tu...

    Beato te...

    RispondiElimina
  4. Tu non hai neppure idea dei casini che mi ha creato 'sto blog...

    RispondiElimina
  5. E perchè?

    In Italia puoi avere casini per tre motivi:

    1)Sei comunista.

    2)Non condividi il dogma dell'infallibilità pontificia.

    3)Parli liberamente di sesso.

    Tu ce le hai tutte e tre?

    o sei un ragazzo sfortunato?

    (C'è anche la quarta opzione:dici quello che pensi...)

    RispondiElimina
  6. Tutto quello che hai detto, dalla prima all'ultima parola.

    RispondiElimina