giovedì 19 marzo 2009

Ingiurie e spergiuri

Mettere in ordine la propria stanza, durante l'unico buco della propria agenda, è commovente. Strappi via documenti, articoli; riponi volumi, nascondi cimeli; riprendi dei libri che possono tornare ad essere importanti; scalzi via lettere scritte e non spedite.

Ritorni tra i corridoi delle metropolitane; nelle prenotazioni scadute; nel traballante cesso dei treni di cui conservi, in un album rettangolare, tutti i biglietti gelosamente conservati; riscoprendo con sorpresa quanto quei posti in seconda classe fossero diretti tutti alla medesima meta, pur avendo terminato la loro corsa traversa in stazioni diverse.
I maldestri saluti.

Nella stanza dei bottoni, le narcotiche pareti si vestono di avvisi vecchi almeno di un paio d'anni. I grigi volti che si stagliano sui quotidiani della mattina mi guardano e mi stringono le mani, elargendo gratuitamente rispetti e promesse senza tener conto del tasso di rischio.
Cerco una postazione dove avere la certezza di poter scrivere.

Io ho un problema. Uno vero. Non le sterili vulgate da autobus.

Dovrei forse riportare che ho i capelli più lunghi, la frequenza cardiaca, la ricomposizione delle unghia sugli alluci, e lo stato di consistenza della suola delle mie scarpe.

Non riesco a non scrivere, e a questo eterno conflitto ho ridotto il massimo della mia autodialettica. Che poi, come si fa a resistere alla tentazione di riportare fedelmente alla luce i guasti indotti dall'infelice intersezione tra me e il mondo?

Come fare a non ruggire davanti alla tastiera consumata dal farmi dar retta, quando a sorriderti è un lumicino miope, nell'ora in cui il resto del mondo sta bevendo, scopando, dormendo, scrivendo tesi, lavorando in una cockeria, guardando un film porno, o attendendo Gabriele La Porta  perchè il suicidio non gli pare una risoluzione dei problemi altrettanto cruenta.

Tutto questo non va letto, va fatto proprio come il tampone di emocicatrol quando esce il sangue dal naso. Lo sto esprimendo come il monologo di Marco Antonio nel Giulio Cesare di Shakespeare.

Piove e le spazzole del tergicristallo della mia macchina sono rotte. Il mio compare ha terminato la sua birra, ed io racconto arbitrariamente il plot dei miei ultimi giorni. Mi guarda sconcertato ma neanche molto sorpreso. Lo hobbit che ci  porge i piattini del dolce si porta via la ciotolina con l'organico residuo degli stuzzichini. Le olive rese insipide dal mio stoico raffreddore. La tipica ciambellina fritta, ripiena di crema pasticciera, guarnita di amarene e zucchero a velo si deposita goffamente in fondo allo stomaco, per aggiungere un grave alle tumultuose riserve di veleno.

- Ma queste tue cazzate, per ragioni economiche, non puoi provare a farle qui nei dintorni?

Piove mentre ripongo nell'apposito cassonetto il mio fu pacchetto da 20; mi faccio qualche rapido calcolo, tanto per non smarrire l'imprinting, e comprendo che allo stato attuale devo smettere di fumare.

- Vedi, io credo, nonostante tutto, di voler bene alle persone.

- ...

- Quando qualcuno mi chiede "come stai?", oppure "come è andata?", io faccio di tutto per non dare risposte scontate tipo "bene" o "male", e quando decido di rispondere, mi adopero per fornire un concetto esaustivo, senza tuttavia rivelare dettagli sull'oggetto della richiesta.

- ...

- Un atto di generosa buona volontà che non tutti colgono.

- ...

- Perché voi vi ostinate invece a voler rovinare tutto? Perchè, in seguito alla mia risposta, non vi appagate, ed evitate di proseguire con la vostra spregiudicata curiosità, inanellando quella raffica di petulanti scarabocchi del pensiero quali "...perché?", "...come mai?", "...e che è successo?" che mi fanno arrabbiare?
Perché poi non so proprio che diavolo rispondere?

- ...


Rientro a casa stanco. Raramente mi era capitato di attendere con ansia il sabato per stanchezza. Quando si è complici di una vita inattesa e inopportuna la si recita con noncuranza, e il cruccio maggiore diviene la modalità con cui concludere le ore notturne.
Dove andare a bere, come tediarsi tra le bandiere tricolore; se fare una chiamata X e farsi sollazzare le palle da qualche ignara.

Mi vien voglia di andare a letto presto. Prendere in considerazione l'idea che esiste persino il riposo tra le opzioni in fondo a quella consueta statale che giornalmente percorro come fossi Bruno Cortona.
La stanchezza aumenta alla consapevolezza di avere ancora qualcosa da fare e da leggere. Delle missive da scrivere, dati da guardare, elenchi da trasmettere chiamate da appuntare. Un messaggio mi informa che ci sarà un tavolo romano a cui mi dovrò sedere, un altro mi ringrazia per la tempestività. Qualcuno si scusa. Qualcuno si scoccia. Qualcuna vorrebbe ridestare la mia attenzione approvando persino la grazia con cui espello i torbidi muchi dalle mie vulcaniche narici.

Qualcuno, scellerato bastardo, mi vuole informare e riesce nell'impensabile miracolo di rovinarmi parecchie giornate.

E mi torna la voglia di scrivere qualche racconto, ma in verità ho poche idee e parecchie scadenze. Maledico il mio cervello con vigorosa indisponenza., perché mi porta a conclusioni bizzarre a cui stento a credere per l'attendibilità della mia ipotesi galileana.

Vivere e analizzare è una eterna scoperta tra gusti deliziosi e cacate pazzesche.
Appuro, ad esempio, che non piace ritrovarmi nei panni sconci degli altrui discorsi, soprattutto quando non pare accessibile l'adito scranno a cui tendo spontaneamente, ma non razionalmente.

Intanto fa di nuovo un freddo della miseria. E crucciarmi delle malefatte climatiche mi riesce ancora a preoccupare, mentre si nebulizza il resto della favoletta.

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