venerdì 14 settembre 2007

La ricerca, l'attesa, un fiume che scorre


"Così tutti amavano Siddharta. A tutti egli dava gioia, tutti ne traevano piacere. Ma egli, Siddharta, non era gioia di se stesso. Siddharta aveva cominciato ad alimentare in sé la scontentezza. Aveva cominciato a sentire che l'amore di suo padre e di sua madre ed anche l'amore del suo amico, Govinda, non avrebbero fatto per sempre la sua eterna felicità."
Siddharta e Govinda abbandonarono la loro casa per ricercare nel mondo la propria piena consapevolezza di sé. Trascorsero anni insieme ai Samana, un popoli asceta dedito alla meditazione, alla contemplazione, all'elemosina. Vivevano attraverso la totale rinuncia della propria esteriorità, coltivando lo spirito, annichilendo la propria fisicità. Ma non era per quella via che Siddharta riuscirà a placare la sua inquietudine, la ricerca della completezza, la via che conduce al Nirvana. Quella rinuncia non era una strada che svelava il mistero dell'Io, piuttosto era una fuga. Abbandonarono i Samana, per conoscere il Buddha. Il savio che viveva nei boschi, che illuminava le menti durante il cammino. Forse seguendo quella dottrina avrebbero trovato la strada che stavano cercando. Ma Siddharta capiva, camminava e capiva, che non cercava maestri, dottrine, sapienze, cercava se stesso.
"In verità, nessuna cosa al mondo ha tanto occupato i miei pensieri, come questo mio Io, questo enigma ch'io vivo, d'essere uno, distinto e separato da tutti gli altri, d'esser Siddharta! E nessuna cosa al mondo so tanto poco quanto su di me, Siddharta!"
Govinda restò presso il Buddha, Siddharta capì che doveva andare oltre. Giunse in città, da povero mendicante. Incontra Kamala, una donna, una meretrice pronta ad insegnare l'amore a Siddharta. Egli si lasciò afferrare, rapire, si immerse del tutto in quella esistenza passionale e travolgente. Imparò l'amore ed imparò i guadagni, la ricchezza, la compromissione del mondo, scivolando nelle sue debolezze, nelle nefandezze. Dopo anni presso Kamala, Siddharta capì di aver toccato il fondo e che non era quello il senso della sua ricerca dell'essere. Abbandonò la donna e cercò la redenzione e l'espiazione del suo peccato. Si avviò verso il fiume dove tentò di ripagare al suo male togliendosi la vita. Ma ecco un altro incontro. Vesudeva, il barcaiolo che viveva lungo il fiume, che accolse Siddharta nella sua casa, e insegnò a questi a traghettare la barca lungo il fiume. Vesideva era taciturno, il suo ruolo era di restare lì, accompagnare i viandanti tra le sponde. Il suo unico maestro era stato il fiume.
"Lui sa tutto, il fiume, tutto si può imparare da lui [...] il fiume si trova dovunque in ogni istante, alle sorgenti e alla foce, alla cascata, al traghetto, alle rapide, al mare, in montagna, dovunque  in  ogni istante, e che per lui il tempo non esiste, non vi è che il presente, neanche l'ombra del passato, neanche l'ombra dell'avvenire.
Siddharta prestò l'orecchio all'ascolto dell'acqua e sentì ridere.
"Nulla fu, nulla sarà: tutto è, tutto ha realtà e presenza [...] E tutto insieme, tutte le voci, tutte le mete, tutti i desideri, tutti i dolori, tutta la gioia, tutto il bene e il male, tutto insieme era il mondo. Tutto insieme era il fiume del divenire, era la musica della vita. In gran canto delle mille voci consisteva di un'unica parola, e questa parola era Om: la perfezione.
Un viandante tornò al fiume. Dopo che Vesudeva era andato via, la barca rimase a Siddharta che traghettava i viaggiatori. Vecchio e stanco il viandante non riconobbe nel barcaiolo il suo amico d'infanzia. Il viandante era Govinda che era rimasto presso il Buddha. Quando Siddharta si rivelò all'amico d'un tempo, questi chiese se egli avesse mai raggiunto la sua pace, se avesse mai terminato la sua ricerca, e quali insegnamenti avesse seguito. Rispose Siddharta, abitante del fiume: "Cercare significa: aver uno scopo. Trovare significa: essere liberi, restare aperti, non avere scopo."
Siddharta ebbe molti maestri, una bella donna, un uomo d'affari, dei giocatori d'azzardo, un barcaiolo, un figlio sofferente del padre. La scienza può comunicarsi, insegnarsi, non la vita. E in ogni cosa non c'è solo il bene, ed in altre non c'è solo il male, ma un continuo mescolarsi di entrambi. E raggiungere uno scopo, pensare di arrivare alla méta di un giorno migliore per vivere e capire chi sei, è solo un'illusione. Il fiume non è una foce che busserà alle porte del mare. Il fiume è tutto, con il suo argine e la sua profondità, ed anche la sua leggerezza. Il fiume non aspetta un tempo, il fiume non conosce il tempo. La sua perfezione è nel canto dentro di sé. La nostra vita, il nostro tutto, il nostro vivere in qualsiasi cosa su cui far riposare il nostro sguardo, in qualsiasi cosa un sogno sceglie di posare la propria gioia, questo noi siamo, dentro di noi, in un presente senza fine.


I brani in corsivo sono tratti da H. Hesse, Siddharta, ed. Adelphi.


3 commenti:

  1. Siddharta l'ho letto ovviamente e per certi aspetti mi è piaciuto moltissimo.

    "Nessuna dottrina porterà mai all'illuminazione" questa è stata per me la frase più significativa

    saluti..

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  2. Passa da me se ti va: si parla spesso di Hesse.. del visionario, catartico, abissale Hesse...

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