martedì 6 maggio 2008

Piacevolmente







La mancanza di autostima non è, per quanto mi riguarda, un farfugliato e scomposto zoppicare delle mie convinzioni. Io so quello che voglio, al di là del bene e del male, e non mi serve altro per adesso. Non è come un ginocchio gonfio che sprigiona un assordante dolore al termine di una "cavalcata" sul nudo asfalto che mi si incolla alle scarpe bianche da corsa come pece bollente.



Sto rimandando una decisione importantissima. Inconsciamente so che è una paura che sto trascinando per arrivare al punto in cui l'inevitabile deciderà al mio posto. Pusillanime. So che mi spaventa solo quello che non posso scrutare fisso negli occhi. So che non posso permettermi neanche una leggera sbandata ai lati di questa funambolica rincorsa. So che ci starò molto male in ogni caso. Ma io non sono una figurina, cazzo. E non tratto gli altri come se lo fossero.

Svegliarsi e ritrovarsi sguardi interrogativi addosso che fingono di rivolgersi altrove. Ma te ne accorgi con estrema facilità di come spiino, come provino ad interpretare, a costruire. A rivestirti di un'anima a cui ho candidamente abdicato, e non da ora.
Detesto solo che mi si voglia provare a guardare come una canonica monade di questo puzzle confuso che è il mondo. Io sono un autarchico. Malato fortemente, ma autarchico. E questa malattia non è un'identità da voler a tutti i costi affermare. Non è come una piuma in aria che si posa vacillante alle estremità di un corridore incosciente, non come un legnetto nel mare che incide lungo la rotta ordinaria di una corrente. Non come un morto che tenta disperatamente di rimestarsi nel mondo dei vivi, magari imprimendosi sulla pellicola di un tempo nostalgico facendosi fotografare in tutte le macchinette per fototessere nelle stazioni di Parigi. No. Magari scopri che era solo un tecnico pelato, con gli scarponi e una annoiata faccia imbronciata, e che, di rimando, tutto è molto meno complicato ed emozionante.

Mi avanzo, più che bastarmi.
Devo costruirmi una gabbia entro cui lavorare, spogliato del mio umano troppo umano; impormi degli orari, degli obblighi freddi e severi. Quell'ordine esistenziale e materiale che ho orgogliosamente rifiutato per tutta la vita.

Sono sempre più convinto, ogni giorno che passa, di due cose: che l'incomunicabilità è la peggiore delle tragedie umane; e che la sera devo andare a letto presto. Anche se la sera la attendo, per farmi bagnare le ruvide dita di un'occasione per sentirmi bene e felice. Senza dover chiedere ed inseguire nulla, e nessuno. Senza sapere perché e per quale motivo. Non c'è sempre uno scopo di rapina alla vita altrui: I can't explain, you would not understand. Si può star bene senza volere nulla dagli altri, né da se stessi. Farsi incantare da una luce che si staglia in un buio baluginante, per cui vale la pena restar ciechi. I caught a fleeting glimpse out of the corner of my eye, I turned to look but it was gone. I cannot put my finger on it now...
Vivere di qualche sensazione che non fa promesse né di speranze, né di rendite future.

Ok, solo un piccola puntura e passa tutto...

Il gioco della felicità vera e distinta... non ci sono abituato. E non so se questo vuol dire essere capace di darvi un valore più grande. La felicità deve essere perfetta.

Esistere sembra ogni minuto che passa una mera perdita di tempo, costante.

Che buffo, proprio mentre scrivo mi arriva una mail dalla Germania, da una ridente cittadina sperduta sul Mare del Nord, che attendevo con ansia. Ovviamente, non sono buone notizie. Tranquilli signori, non scomodatevi a rassicurarmi che questo non è un giudizio sulla qualità del mio lavoro, non sforzatevi a trovare le parole giuste per definire la mia vita un tantino differente da un gioco di culo come la scritta sottostante alla pellicola gommosa sotto i tappi della birra: "...You may want to put in again for 2009...". Non occorrete voi per darmi il vostro giudizio. Mi basta il mio, che ancora non è stato decretato dalla Corte. Attendo due tizi che una mattina vengano a bussare alla mia porta, non servirebbe che mi mostrino alcun tesserino qualificante. Saprei già la loro funzione, le ragioni di quella fugace comparsa tra i miei attimi ed i miei perché.
Questo non cambia nulla. Niente cambia veramente, in fondo.

C'è solo che mi viene da ridere in maniera assordante, ridondante. Rabbiosa.

Ma anche la rabbia necessita di una speranza per essere credibile, giusto? Ci sarà un motivo se anche le bastonate mi scivolano addosso come involontarie flaccide carezze. Come quando ti siedi accanto ad una persona e ti senti sfiorato per sbaglio, e magari vorresti appena appena saltarle addosso.

E si diventa lentamente impassibili al dolore e alla pena, seraficamente e comodamente insensibili su una poltrona sopravvissuta ad una camera distrutta. C'è chi sostiene che qualcosa ancora mi stia scorrendo nelle vene, che dell'aria trasuda ancora dai miei polmoni. Ma sta scomparendo. Io mi sto spegnendo, è questa la verità. E non sto facendo nulla per evitarlo. Forse non lo voglio nemmeno. E quando questa forma sarà simile ad un abietta e abiurata scatola antropomorfica e anomica, smetterò di darmi importanza, e di non curarmi più di quella che gli altri profonderanno in essa.

Mi resta un plico recapitatemi qualche giorno fa. Ha un indirizzo ed il nome di una città: Glasgow. Questo sì atteso con tutta la voglia di vivere che potrei raccattare tra gli avanzi e l'immondizia della mia esistenza. Un'offerta che non potrei rifiutare. E che sto perdendo... anche questa, lasciandomela scappare nell'immobilità che governa ogni cosa, nella giostra illuminata e folle di questa mia drogata presenza. Che io non ho chiesto.

No, io non mi sono mai pianto addosso niente. E non lo farò mai.
Ho pianto soltanto una volta nella mia vita, e quella volta include i ricordi che mi riaffiorano anche nel presente e riaffioreranno nel futuro nel ripercorrere quelle vecchie storie di quando non sapevo leggere e parlare, ma soltanto ascoltare e ricordare. C'è la strofa di una canzone che ho pescato dal cesto delle definizioni appropriate in questo periodo: Non vergognarsi della propria malinconia è un compito penoso anzi uno strazio. L'amore trasparente non so cosa sia, mi sei apparsa in sogno e non mi hai detto niente
E non l'ho pescata soltanto io, noto. Vuol dire che me ne frego di questa mia natura che possa allontanarmi da tutto e tutti, non me ne vergogno minimamente. Fa male il non riuscire davvero comunicare. Il non sapersi fondere senza sospetti in una frase che assomiglia ad una panchina con cuscini morbidi rivolti a al limitar del mare che bagna i piedi con intervalli a scadenze regolari e leggere. Un senso di reale smarrimento in un paso adelante dell'acqua che scivola tra le estremità deliziate, pronte a farsi accarezzare... senza alcun, dannato, ingiusto sospetto che faccia rinnegare la purezza di quel tocco fluido, fiducioso, trasparente.
Trasparente come un vetro acuminato piantato nel terreno. Guardala! Dico a te! Hey You?! Yes, you!
Out there beyond the wall, can you feel me? Sembra quasi una scheggia di un diamante pazzo, il sole lo può attraversare, ma il timore di una menzogna, no. E così, il titanic che ti pare sprofondare nel buco più nero e più lacerante del posteriore guadagna qualche metro in più sulla speranza. Ahia, che male! Sarà anche il gioco della vita, ma che dolore... E c'è chi vince, "c'è chi perde", c'è chi non sa neppure di stare a giocare. Quest'ultimo rischio, per fortuna, mi è stato risparmiato. Sempre che si tratti di un rischio, perché comincio  nutrire qualche dubbio anche su questo.



Non c’è dolore, ma ti stai allontanando
Come una nave distante che fuma oltre l’orizzonte.
Arrivi solo ad ondate.
Le tue labbra si muovono ma non riesco a sentire
cosa stai dicendo.

mi sei apparsa in sogno e non hai fatto un passo

Il sogno si spegne,

ed io sono diventato piacevolmente insensibile.



- Can you show me where it hurts, Alcor? Relax... Ok, just a little pinprick. There'll be no more: Aaaaaaaaah! But you may feel a little sick. Can you stand up, Alcor?

-
...But it was NOT only fantasy. Though the wall was too high... as you can see. But, are You listening to me?

- Uhm... I do believe it's a working good.
Let's go! That'll keep you going through the show...



- ...Hey You! Would you help me to carry the stone? Would You touch me?



- Come on, Alcor, it's time to go.


- ... Hey You! ...Open your heart... I'm coming home...







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