giovedì 15 maggio 2008

Short run Alcor...






Ho poche occasioni per andare in giro la mattina a spasso tra i vicoli e i viali del piccolo cantuccio di mondo nel quale vivo. L'umidità appena appena appesa tra i balconi l'uno di fronte all'altro alla distanza di un balzo, come i panni bagnati appena  stesi e pronti a battezzare i passanti blateranti nella loro lingua cosparsa di piccoli soffietti che premono le guance e fanno mordere la lingua.
In giro a salutare le strade che mi capitava di percorrere a piedi per varie volte al giorno, orbitando concentricamente intorno agli stessi volti, agli stessi muri, alla stessa candida noia che da qui non migrerà mai; che passa di volti in volti come una identica maschera alla ricerca di una faccia e di un tono di voce che reciti lo stesso salmo con cadenze appena appena differenti, ma con la stessa cantilena che racchiude l'anima di un popolo che non riesce, e non so se riuscirà mai, a guardare oltre l'istante che separa l'oggi dal più tardi...
Devo fare la valigia, devo sistemare pagine, articoli, libri, giornali, e non ho concluso ancora niente... per stringere ancora forte tra le mie mani l'attimo prima di  questo piccolo balzo. O forse la consueta delega in bianco alla fuorviante e convulsa ansia degli ultimi minuti prima di accarezzare la madre troppo poco abituata a gesti di dolcezza da parte mia. Deve capitare un treno in coda alle ultime ore di una giornata come questa, pronto a spedirmi chissà dove, per indurmi rendere plateale qualcosa che è talmente immanente da essere così indecentemente celato sotto le spoglie scontate di un dato certo che non necessita approfondimenti, verifiche empiriche periodiche, revisioni scadenzate... multe o contravvenzioni per la manifesta omissione d'amore.

Stamattina, insieme ad un vecchio amico per queste strade larghe ma ingombranti, tra questi alberi la cui chioma è stata abbruttita dalla aberrante fantasia malata di un amministratore che scambia i lecci in paffuti barboncini, tanto da infiocchettarne e tosarne la fronda a guisa di batuffoletti imbellettati, da mostra canina per l'appunto. Fossi quell'albero, penso spesso, maledirei l'infamia ricevuta imprecando contro una sorte sempreverde.

Un amico, e poi un altro e poi altri due, cioè tre caffè e un gelato al caffè in meno di un paio d'ore. Ma oggi va bene, oggi non è giustificata qualunque restrizione. Oggi che probabilmente potrebbe spegnersi per un po' la lucetta verde sotto l'icona di una "A" scritta in Gaze,  tra le fiamme e davanti ad una stella a me molto cara.

L'istantaneità precede ogni sogno, incastona ogni desiderio, ogni momento è l'occasione per rivoluzionare tutto completamente... e l'uomo non è fatto per l'eternità, ma per la bellezza. E la bellezza impone una barra in fondo alla strada. Ciao F., anche se non ti conoscevo, anche se ho imparato il tuo nome dal manifesto funebre che annuncia la tua tragica scomparsa a 35 anni... in quell'istante che per te ha così sentenziato.

Non parlo quasi mai, e non mi piace, di quel che mi muore e vive e respira intorno, ma oggi in questo gonfiarsi di maggio intenso, mi sei capitato in mente tra le frementi corse e gli adempimenti fortunosi. Che la vita è ingiusta, ma non c'è dato di essere vili e supinamente in attesa degli eventi.
Non abbiamo le ossa di vetro... non ancora.
Possono essere le prove generali di un saluto molto più pregnante, più netto di questa solinga espatriata che tra poche ore si consumerà, ma che mi sta già vivendo dentro. Con le incertezze della vigilia, con le fregature monetarie sempre all'erta e mai distratte verso obiettivi più possidenti di me.
Il vento dell'ovest, del nord-ovest, che penetra questa aria immota come il vergine mare di fine inverno. E l'atto della voluttuosa decisione si compie e si conclude nel suo stesso emergere dal torpore, il cui senso si concentra in un abbandono così latente ai reconditi pensieri di lieta beltà, da non lasciar sfuggire alcuna incertezza, nemmeno l'ombra di una memoria che si trascina via. Un timido attimo di perfezione, di lingue intrecciate tra vita e destino.

Appunto alcune utili informazioni e l'elenco di coloro che mi hanno chiesto un saluto. Un piccolo taccuino nero che da anni mi porto in tasca senza mai utilizzarlo, è datato 2006, ma non appartiene ad alcun periodo lungo o inesplorato di qualsiasi età.
No, non riesco a smetterla di pensare e ripensare, e rimestare in continuazione limpasto di questi mesi di eterna rivolta contro una paralisi da nano da giardino, di questo vorace mordere la vita in tutte le sue luciccanti e anche tragiche sfumature, e gli attimi di disagio dinanzi ad una bellezza rinnegata da cappe opprimenti così inestricabilmente indotte tra i pertugi di ogni gioia possibile e meritata. Così come a sentirsi fanciulli mai svezzati alla rassegnazione di doversi accontentare a raccogliere le briciole di una volontà straniera.

Non mi muovo ancora, eppure le ore diventano sempre piccole piccole ad ogni improvvida dimenticanza che mi si ripresenta addosso alle cose già trascurate e programmate... aspettami, scrivo.

Alla fine, il prof. R preferì restare ancora un po' con lo sguardo perso nel nulla. In equilibrio tra attenzione e abbandono alla fiducia verso un rischio a cui era vocato. Avrebbe trascinato a lungo quel planare tra paranoie e minuscole apprensioni e qualche assalente impeto alla rincorsa.
Avrebbe raccolto le sue cose in un sacco, ogni oggetto e ogni pensiero su cui si sarebbero posati mente ed occhi, e avrebbe chiuso tutto con un nodo stretto che non trapelasse echi, richiami, e avrebbe incastrato le fragilità nei suoi desideri mai paghi che le avrebbero protette dagli scossoni della delusione, quella sì, saziata già fino in fondo.

E non avrebbe lasciato nulla indietro... le monocromatiche serate parche di diversivi ed imprevisi, le strade ascutte e deserte a mezza sera, gli odori di candeggina gettata per strada, gli uccelli che infestano la piazza di guano, i ritardi degli autobus la mattina, il non poter conciliare lavoro, studio, e impegno civile senza farsi scoppiare le arterie...  le buche date a coloro che propinano un futuro professionalmente dorato così stracciatamente in vendita a prezzi sottocosto come il presunto dumping sul tessile cinese.

I discorsi inanellati al telefono che non ha pace... le imprecazioni di chi non sa dare risposte perché non ha spremuto un secondo della sua attenzione ad ascoltare la domanda... la puttana che si affaccia mezza nuda al balcone della sua casa di fronte al municipio dall'alto delle sue rughe, dei cinquantanni, e della sua bruttezza scientificamente acclarata... i vaffanculi più o meno seri... le prese in giro goliardiche ai danni degli gnomi e degli elfi, e dei piccoli psittaccosauri* che popolano i nostri sorrisi di pietà e derisione tra un bicchiere di vino e la solita pizza nel locale sempre uguale... mamma che urla con quella voce stridula e insopportabile che il silenzio è una conquista dell'umanità... il mio capo che mi consegna un lavoro da fare e si sente ogni volta una scusa diversa... l'integrale di Riemann... i calls for papers che non mi riguardano... non ancora, speriamo... quella carina che non apre bocca, e per fortuna che non lo fa... i dubbi che oscurano verità perniciose... l'amica che mi considera saggio e addirittura sostiene che  potrebbe imparare tante cose da me... le maschere nude in edizione Mammut economica con la copertina rossa che si scolla ad ogni voltar di pagina... le fotocopie accatastate che pare di ospitare la foresta amazzonica in una stanza... mentre ascolto il cielo in una stanza... una panchina sotto gli alberi in attesa che arrivi il dolore e la botta che non arriva mai... il pensare sempre ed instancabilmente a... nessuno che ha presenziato i giorni a me addietro... dare grintosamente del coglione ad un potente barone afferente alla classe dirigente del tuo micromondo, perché costui t'ha cacciato dalla sezione del tuo partito con testuali parole: "Vattene in Scozia, pezzo di merda"... solo perché la dignità individuale mi impone di ritenere più gaudioso leccare una fica piuttosto che il culo di un servo rancoroso posto su un trono di paglia... le merendine di maggio... il brodo di pollo... quella cremina fredda e gelatinosa che mia madre mi spalmava sul petto prima di andare a letto di inverno ai primi sintomi di raffreddore... le corse tra la fragranza del letame ed i cani morti per strada... le voci nell'ombra che chiedono di me... un vigliacco... Madame che mi scrive che sono bello e pazzo, e mi dispiace per il primo attributo... una rosa scurissima e piena coltivata sotto la trave dell'altalena di quando ero bambino... il primo viaggio in treno per andare a trovare il mio fratello mancato in Abruzzo... gli occhi che mi bruciano di sera tarda e inoltrata, a fare i conti con un dannato super-io che mi impone di parcellizzare l'esternazione di quello che talvolta sento in nome di non so che cazzo mi prende e mi rende felice... chi non mi aspetterà mai... Milano, città che adoro... il ponte intasato la mattina... l'acquavite che ho bevuto a pasqua a casa di mio zio... la mia ex prof di matematica del liceo... il teatro in cima ai miei rimpianti... un'unica vera promessa da mantenere lungo la strada... le voci, le mani... le parole belle e quelle inutili... il tiramisù, ed una bottiglia di vino che vorrei portare in viaggio con me... un angelo bianco seduto vicino alla finestra... a quella finestra... ed una notte di maggio... E...


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