“Stasera c’è spettacolo”, vociferano i clienti chiacchieroni dell’albergo Metropòle, si riferiscono alle soffocate scenate di gelosia del burbero Calogero Di Spelta verso l’avvenente moglie? Oppure all’imminente ingresso del prestigiatore illusionista Otto Marvuglia… L’orgoglio di Calogero è una barriera insormontabile che lo estranea dai suoi sentimenti, non più parole dolci verso la moglie, né più alcuna ostentazione di sentimento, neanche la gelosia è in grado di squarciare il muro dell’incomunicabilità. Tutto deve essere covato dentro, per non darle nemmeno questa soddisfazione. Chiusa, sotto chiave, Marta Di Spelta sogna una fuga da quella prigionia e da quella frustrazione. Il suo spasimante Mariano D’Albino, pur di possederla ingaggia un povero illusionista per allestire uno spettacolo sulla spiaggia dell’albergo Metropòle, un gioco di illusioni e sparizioni che avrebbe consentito ai due amanti, un quarto d’ora di solitudine e passione. La spiaggia è la ribalta del palcoscenico, il mare è la platea del teatro. Comincia lo spettacolo… inizia la magia. Attraverso il terzo occhio del professor Otto Marvuglia, l’occhio senza finestre, l’occhio del pensiero, attraverso il quale è possibile andare oltre la semplice realtà delle cose… Marta viene invitata ad entrare in un falso sarcofago egiziano. Per poi uscire da una porta nascosta sul retro di questo, rivolta verso il motoscafo di Mariano D’Albino, laddove i due adulteri consumeranno il loro ardore. “E… uno, e… due… e… tre!” Il sarcofago è vuoto, la signora Marta Di Spelta è sparita. Doveva durare un quarto d’ora, i due amanti sono fuggiti via con il motoscafo a Venezia… Il gioco si sa quando inizia, ma non si sa quando finisce!
Calogero inizia a reclamare la riapparizione della moglie al vecchio illusionista… Inizia un gioco difficile, un esperimento metafisico del prestigiatore che avvolgerà completamente la mente del povero Calogero…
Entrato nella scena dello spettacolo, Marvuglia chiede a Calogero se egli fosse mai stato geloso della moglie, se le avesse mai fatto delle scenate, se avesse mai dubitato della fedeltà di questa. Perché il vero responsabile della sparizione della donna è stato proprio lui, Calogero, con il silenzio che aveva posto tra loro. Sua moglie è in questa scatola, dice il mago al malcapitato porgendogli uno scrigno di metallo, e ce l’ha messa lei dentro, “… se voi aprite la scatola con fede, rivedrete vostra moglie, al contrario, se l’aprite senza fede, non la vedrete mai più. Aprite, se credete. Ma insomma: avete fede o non avete fede?” (atto I). Inizia lo struggimento del “che fare?” di Calogero. Il dubbio è sempre stato in lui...
Il mago fa credere al marito abbandonato che tutto sia un gioco, laddove tutto quello che vede o lo circonda è un’illusione, immagini di una memoria atavica che Marvuglia stesso gli sta trasmettendo con un esperimento da prestigiatore, che lo stesso scorrere del tempo è fittizio, che tutto è rimasto fermo lì, sulla spiaggia dell’albergo. Tutto quello che succede, è frutto dell’immaginazione, personaggi che entrano nella scena, che vivono la propria esistenza in altri giochi ed in altre illusioni.. La vita è un intreccio di magie ed illusioni collegate, manipolate dal prestigiatore principale… Tutto rientra nel gioco, anche la morte di una povera ragazza del seguito del professor Marvuglia, nella casa del mago squattrinato in cui si svolge il secondo atto di questa favola di Eduardo. Sono passati quattro giorni dalla sparizione di Marta e Calogero non riesce a darsi pace, non apre la scatola perché se l’apre saprà di non aver avuto mai fiducia… la moglie lì non c’è, e lui lo sa benissimo. Però si illude pur di non confessarsi la verità. Del resto tutti si prestano al gioco, tutti i personaggi contribuiscono a mantenere in piedi quella pantomima. Sembrano passati quattro giorni, ma sarà come fossero trascorsi pochi attimi. Del resto lo scorrere del tempo non è altro che una falsa convenzione tra gli uomini, il Sole, la luna, il giorno, la notte, si muovono lontani ed indipendenti, in un moto sempre uguale che gira intorno a se stesso. Il tempo è in noi, nella nostra percezione, nella nostra illusione. Loro sono ancora lì, i quattro giorni non esistono, al di là della ribalta, non c’è il muro della casa Marvuglia, c’è il mare…
Inizia il terzo atto, e sono passati quattro anni. Calogero è immerso in quell’illusione. Dice che è tutta una magia, che il tempo non passa, che la fame, la sete, i bisogni fisiologici, sono tutte illusioni… non mangia, non beve, non va in bagno… lui resiste… combatte contro la sua coscienza e la sua illusione. Deve intervenire ancora una volta Otto Marvuglia, lui non deve combattere, deve abbandonarsi, non deve trattenere l’istinto, deve dare libero sfogo alla sua interiorità ed ai suoi sentimenti, instaurare un’empatia con le illusioni che gli si parano davanti… così comincia a cantare, saltellare, ad insultare i parenti che sono venuti a reclamare il patrimonio della famiglia che il pazzo Calogero non è in grado di gestire… Vengono per gettargli in faccia la verità: “… Tua moglie è scappata con un amante, e tu sei restato qua a fare il fesso per quattro anni… e già prima ti tradiva” (atto III) e Calogero risponde: “… voi dite che mia moglie è scappata quattro anni fa con un amante, e che prima ancora già mi tradiva? E perché non me ne avvertiste subito? Perché anche voi vi prestaste al gioco! …”. Nel frattempo però Marta è tornata. Ed il professor Otto pregusta la possibilità di porre fine a quella sceneggiata… Calogero, nella sua apparente follia ha però intrapreso un viaggio interiore che lo ha condotto a riscoprire i sentimenti d’amore per la moglie, e dopo aver rievocato momenti felici del passato coniugale in un suo delirio, urlerà al mondo di amare la moglie con tutto se stesso… Oramai è pronto, ha fede per aprire la scatola. “E… uno! E… due…” – “… Tre”, urla Marvuglia mentre riappare Marta con lo stesso abito di quella sera sulla spiaggia dell’albergo Metropòle. Ma la scatola Calogero non l’aveva ancora aperta. Gli riappare la moglie, leggermente invecchiata, impaurita, imbarazzata, che non riesce a calarsi nell’illusione e piange a dirotto confessando il suo tradimento… Calogero comprende che ha i capelli bianchi, che addosso porta i segni dei quattro anni, e che la presunta fine del gioco non lo ha riportato a quell’attimo iniziale. Il gioco lo iniziò lui, creandosi l’illusione rappresentata dalla scatola. Il prestigiatore Marvuglia, non c’entra più nulla. Calogero vuole continuare il gioco… “Io non conosco questa donna… io sono il giocoliere, tu non esisti…” - “Chiusa! Chiusa! Non guardarci dentro. Tienila con te ben chiusa, e cammina. Il terzo occhio ti accompagna… e forse troverai il tesoro ai piedi dell’arcobaleno, se la porterai con te ben chiusa, sempre!” (atto III). Caccia via tutti e resta solo con la sua scatola, la sua illusione.
Scritta nel 1948, questa favola in tre atti di Eduardo, è la mia preferita. È tra le opere meno conosciute, e tra quelle che hanno riscosso meno successo. Ad essa è collegata un ricordo, quando la nostra piccola compagnia scolastica doveva mettere su un’opera del novecento… dapprima scegliemmo questa, ed io, che dovevo interpretare Calogero, fremevo… poi le difficoltà tecniche ci fecero optare per Le Voci di Dentro, sempre di Eduardo, di cui parlerò un’altra volta… Ho amato una versione di Strehler, di cui conservo gelosamente una VHS che ho consumato…l’ultima parola va al suo geniale creatore: “Questo ho voluto dire, che la vita è un gioco, e questo gioco ha bisogno di essere sorretto dall’illusione, la quale a sua volta deve essere alimentata dalla fede. Ed ho voluto dire che ogni destino è legato al filo di altri destini in un gioco eterno: un gran gioco nel quale non ci è dato di scorgere se non dei particolari irrilevanti”
(Eduardo De Filippo, tratto da Il Dramma, n. 105, 15 marzo 1950).
Nell'immagine: Eduardo De Filippo. Le battute in corsivo sono tratte da: Eduardo De Filippo, La grande magia, in La Cantata dei giorni dispari, vol. I, Einaudi.