Il gioco della vita gira intorno ogni volta. Ma approda sempre lì. In quelle parole così chiare e nitide che ballano talmente apertamente davanti alle mie labbra, e alle spalle della paura che al prossimo giro la sella di quella giostra possa essere vuota.
Ci sono parole che trasudano lentamente e ostinatamente fuori le fessure del muro, assumono acronimi e si mascherano dietro volti e sorrisi che lungi dal riempire un quiete silenzio di attesa e di ascolto, narrano molti più segreti che invano si impone di ingoiare nella sempre riafforante memoria catartica di una vertigine senza tremori, finalmente.
Come punti diametralmente opposti nel cielo, che si rincorrono nel cerchio rapido della notte senza prendersi mai per mano e guardandosi senza capire perché, e per cosa.
Una sfera di vetro che sembra voler racchiudere e condensare questo equilibrio danzante di gesti e sviste, che accerchiano come polveri quell'unico faro appeso alla parete del muro. Sotto una tegola che da sola sbarra gli occhi.
Non ce la faccio. A non perdere. A restare in piedi. A respirare di un'aria più grande ed espansa di tutto questo che riaffiora ad ogni giocoso sussulto. Per quanto possa apparire assurdo... Io vorrei...
E non è la ragione a infilazare i talloni sguscianti alla morsa di una prudenza che non mi è mai appartenuta, che è solo un morso di fango che appesantisce un terreno sul quale non è umano strisciare ma etereo correre senza fuggire, ma per inseguire. Vigila ancora la paura di essere veri. Di essere sempre e ancora una volta sbagliati a piegarsi per raccogliere questa timida parvenza di miele che non si traduce in null'altro che nell'ardore immenso, filtrato timidamente in piccoli gesti che trattengono a stento una furia incontenibile di vita. Solo infinitesimi sussurri, spesso troppo deboli e leggeri per disegnare su una pagina nivea quanto spazio da colmare sia ancora aperto nel cielo.
E questa dolce fregatura dell'anima non accende un diritto a scrivere e costruire una storia senza capitoli, senza epiloghi, smarrendone financo l'indice, rifugendo numeri di pagine e dimenticando l'origine, diperdendo il concepimento ed il prologo della propria esistenza in quell'istante di durata incerta e meravigliosa che giustifica ogni cosa che muove o si lascia afferrare. Involontari soggiorni e le vuote stanze quotidiane.
Non è una triste rinuncia a quello che non sono. Ma un infimo sospetto che tutto quel che quivi giace non è reale; che non v'è una meritevole ragione per meritare tutta questa luce, un simil bagliore generato dalla umile coscienza di poter soltanto immaginare e rendere omaggio a questa beatitudine rara... Io non vorrei...
Quando tutto quel che circonda questo piccolo scrigno è un deragliamento continuo nel marcio. Perché dovrebbe risparmiare anche me? Non prestate ascolto ai deflussi razionali di un folle, il suo è un dizionario troppo zeppo di scorie passate smaltite senza finalmente sparire.
Non si comprende, non mi comprendi, io non mi comprendo e non mi lascio comprendere. In questo girare intorno senza fine. Dove è più che feroce il rodente rimpianto di abdicare forzatamente al furente ed impetuoso ridondare di pensieri sempre immobili, che non potrei spendere senza lasciarmi travolgere.
C'è un bianco tra i vocaboli tersi, c'è uno spazio che non è inventariato tra le conquiste dell'indecisione e della timidezza, o del non aver nulla da dire. Uno spazio che è fin troppo trasparente e loquace, di quel che si eclissa con una nuvola che protende un'ombra lieve su quel magnifico viso del sole.
E' forse la mia unica vera tristezza, non avere le parole giuste, oppure averle e non riuscire a offrirle, derubando la mia vita che è fuori con un timore ed uno stupore che è dentro, che scava e scava, e scava.
Ed è qualcosa che è mio pur veleggiando altrove, è mio pur con altri volti, è mio pur non albergando forse nel mio orizzonte.
E' un canto che non parla di me. Ma non sa smettere, e non sa tacere, non è capace di non cercare.
Non ci riesco a fermare queste mani. Questa voce può addormentarsi ancora... ma se vuoi...
Ci sono parole che trasudano lentamente e ostinatamente fuori le fessure del muro, assumono acronimi e si mascherano dietro volti e sorrisi che lungi dal riempire un quiete silenzio di attesa e di ascolto, narrano molti più segreti che invano si impone di ingoiare nella sempre riafforante memoria catartica di una vertigine senza tremori, finalmente.
Come punti diametralmente opposti nel cielo, che si rincorrono nel cerchio rapido della notte senza prendersi mai per mano e guardandosi senza capire perché, e per cosa.
Una sfera di vetro che sembra voler racchiudere e condensare questo equilibrio danzante di gesti e sviste, che accerchiano come polveri quell'unico faro appeso alla parete del muro. Sotto una tegola che da sola sbarra gli occhi.
Non ce la faccio. A non perdere. A restare in piedi. A respirare di un'aria più grande ed espansa di tutto questo che riaffiora ad ogni giocoso sussulto. Per quanto possa apparire assurdo... Io vorrei...
E non è la ragione a infilazare i talloni sguscianti alla morsa di una prudenza che non mi è mai appartenuta, che è solo un morso di fango che appesantisce un terreno sul quale non è umano strisciare ma etereo correre senza fuggire, ma per inseguire. Vigila ancora la paura di essere veri. Di essere sempre e ancora una volta sbagliati a piegarsi per raccogliere questa timida parvenza di miele che non si traduce in null'altro che nell'ardore immenso, filtrato timidamente in piccoli gesti che trattengono a stento una furia incontenibile di vita. Solo infinitesimi sussurri, spesso troppo deboli e leggeri per disegnare su una pagina nivea quanto spazio da colmare sia ancora aperto nel cielo.
E questa dolce fregatura dell'anima non accende un diritto a scrivere e costruire una storia senza capitoli, senza epiloghi, smarrendone financo l'indice, rifugendo numeri di pagine e dimenticando l'origine, diperdendo il concepimento ed il prologo della propria esistenza in quell'istante di durata incerta e meravigliosa che giustifica ogni cosa che muove o si lascia afferrare. Involontari soggiorni e le vuote stanze quotidiane.
Non è una triste rinuncia a quello che non sono. Ma un infimo sospetto che tutto quel che quivi giace non è reale; che non v'è una meritevole ragione per meritare tutta questa luce, un simil bagliore generato dalla umile coscienza di poter soltanto immaginare e rendere omaggio a questa beatitudine rara... Io non vorrei...
Quando tutto quel che circonda questo piccolo scrigno è un deragliamento continuo nel marcio. Perché dovrebbe risparmiare anche me? Non prestate ascolto ai deflussi razionali di un folle, il suo è un dizionario troppo zeppo di scorie passate smaltite senza finalmente sparire.
Non si comprende, non mi comprendi, io non mi comprendo e non mi lascio comprendere. In questo girare intorno senza fine. Dove è più che feroce il rodente rimpianto di abdicare forzatamente al furente ed impetuoso ridondare di pensieri sempre immobili, che non potrei spendere senza lasciarmi travolgere.
C'è un bianco tra i vocaboli tersi, c'è uno spazio che non è inventariato tra le conquiste dell'indecisione e della timidezza, o del non aver nulla da dire. Uno spazio che è fin troppo trasparente e loquace, di quel che si eclissa con una nuvola che protende un'ombra lieve su quel magnifico viso del sole.
E' forse la mia unica vera tristezza, non avere le parole giuste, oppure averle e non riuscire a offrirle, derubando la mia vita che è fuori con un timore ed uno stupore che è dentro, che scava e scava, e scava.
Ed è qualcosa che è mio pur veleggiando altrove, è mio pur con altri volti, è mio pur non albergando forse nel mio orizzonte.
E' un canto che non parla di me. Ma non sa smettere, e non sa tacere, non è capace di non cercare.
Non ci riesco a fermare queste mani. Questa voce può addormentarsi ancora... ma se vuoi...
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