Essere letti è un problema. Benché sia sciocco pensarlo quando si scrive un blog con la barbara intenzione di essere letti.
Il muro è quella sigaretta strafottente che condensa il proprio immancabile ego dopo aver consumato il corpo di un'altra persona. Una cicca calpestata di cui non ti importa più nulla già un secondo dopo la boccata apicale.
Altro è invece rendersi conto da un po' di tempo di avercelo moscio nei confronti del resto del mondo perché una stretta alla gola ha monopolizzato tutte le possibili attenzioni (o attrazioni) attive e passive, fattive e fattibili.
Chiudo e apro, chiudo e apro, chiudo e apro, chiudo e apro. Chiudo. Apro. Mi fermo. Torno indietro.
Una tendina semi-trasparente della doccia dietro la quale si insaponano, e poi risciacquano usando del bagno-schiuma al profumo d'arancio, delle fittizie ombre misconosciute; e poi sperare che tutto si palesi chiaramente solo dopo un po' di tempo, a parziale risoluzione di un'enigma che a ricordarlo è solamente il creatore. Come per dire: "ricordi quella volta che ti dissi quella cosa? Volevo intendere questo..., stavo pensando a quello quando..., ho fatto quell'altro perché..., e così via...".
Si spera che le parole siano state rimosse ma non tutte, che sia rimasta la loro impronta ma non ricalcata più di così.
Un equilibrio che non esiste tra la voglia di urlare e quella di non essere ascoltati.
Reggi. Pesa un po', anche per me che ho le braccia rigide e non abbasso mai lo sguardo.
Quando ci si rivela, qualcosa cambia. Inevitabilmente. Non è vero che lo specchio risponde sempre con lo stesso volto.
Tutto quello che ho da dire è che ho entrambi gli alluci rotti.
Li vedo spuntare mentre galleggio, come piccoli faraglioni prospetticamente collocati molto lontani. E ho le mani molli e lessate. Le buche che da tempo immemore ho scavato intorno alle unghie sono ancora più evidenti nei lembi di pelle non pervenuti. "Ma perché diamine le guardano le mani? Dannazione...".
L'acqua è ancora timida nella sua primigenia e virginal titubante accoglienza. È più diffidente, nella febbre gelida di quando piano s'appresta a tàngere l'intima sacca maschile, anatomicamente denominata scroto, allorché ci si appropinqua a penetrar le onde parche che rinviano l'orizzonte. Un gioco di contatti e carezze meticolosamente e reciprocamente incerte, sondaggi preliminari prima della completa, inebriata immersione e del vigoroso, incosciente, contemplarsi vivo lungo ogni sentiero della propria pelle.
Assomiglia a quell'ultimo tocco oltre il quale non è consentito ad altro consolatorio abbraccio di poter imitare e portar via quell'esclusivo pegno che ti alberga nel cuore.
Percepirlo nel sentirsi solleticare da una vertigine che si raccoglie in fondo all'ultima cellula dei piedi.
- Una cosa che ho notato è che ti sei firmato non col tuo nome in alcune cose che mi hai scritto. È una cosa un po' squallida.
- Ora capisci perché quell'unica parola apparentemente banale e scontata... Un nome di plastica in fondo alla quarta pagina, non ha senso... Non mi ricordo con che parola mi definisci tu.
- Te l'ho detto, anti-convenzionale.
- Ah... (avevo capito anti-concezionale....)
Se solo mi potessi voltare e correre per tutto il tempo.
Il muro è quella sigaretta strafottente che condensa il proprio immancabile ego dopo aver consumato il corpo di un'altra persona. Una cicca calpestata di cui non ti importa più nulla già un secondo dopo la boccata apicale.
Altro è invece rendersi conto da un po' di tempo di avercelo moscio nei confronti del resto del mondo perché una stretta alla gola ha monopolizzato tutte le possibili attenzioni (o attrazioni) attive e passive, fattive e fattibili.
Chiudo e apro, chiudo e apro, chiudo e apro, chiudo e apro. Chiudo. Apro. Mi fermo. Torno indietro.
Una tendina semi-trasparente della doccia dietro la quale si insaponano, e poi risciacquano usando del bagno-schiuma al profumo d'arancio, delle fittizie ombre misconosciute; e poi sperare che tutto si palesi chiaramente solo dopo un po' di tempo, a parziale risoluzione di un'enigma che a ricordarlo è solamente il creatore. Come per dire: "ricordi quella volta che ti dissi quella cosa? Volevo intendere questo..., stavo pensando a quello quando..., ho fatto quell'altro perché..., e così via...".
Si spera che le parole siano state rimosse ma non tutte, che sia rimasta la loro impronta ma non ricalcata più di così.
Un equilibrio che non esiste tra la voglia di urlare e quella di non essere ascoltati.
Reggi. Pesa un po', anche per me che ho le braccia rigide e non abbasso mai lo sguardo.
Quando ci si rivela, qualcosa cambia. Inevitabilmente. Non è vero che lo specchio risponde sempre con lo stesso volto.
Tutto quello che ho da dire è che ho entrambi gli alluci rotti.
Li vedo spuntare mentre galleggio, come piccoli faraglioni prospetticamente collocati molto lontani. E ho le mani molli e lessate. Le buche che da tempo immemore ho scavato intorno alle unghie sono ancora più evidenti nei lembi di pelle non pervenuti. "Ma perché diamine le guardano le mani? Dannazione...".
L'acqua è ancora timida nella sua primigenia e virginal titubante accoglienza. È più diffidente, nella febbre gelida di quando piano s'appresta a tàngere l'intima sacca maschile, anatomicamente denominata scroto, allorché ci si appropinqua a penetrar le onde parche che rinviano l'orizzonte. Un gioco di contatti e carezze meticolosamente e reciprocamente incerte, sondaggi preliminari prima della completa, inebriata immersione e del vigoroso, incosciente, contemplarsi vivo lungo ogni sentiero della propria pelle.
Assomiglia a quell'ultimo tocco oltre il quale non è consentito ad altro consolatorio abbraccio di poter imitare e portar via quell'esclusivo pegno che ti alberga nel cuore.
Percepirlo nel sentirsi solleticare da una vertigine che si raccoglie in fondo all'ultima cellula dei piedi.
- Una cosa che ho notato è che ti sei firmato non col tuo nome in alcune cose che mi hai scritto. È una cosa un po' squallida.
- Ora capisci perché quell'unica parola apparentemente banale e scontata... Un nome di plastica in fondo alla quarta pagina, non ha senso... Non mi ricordo con che parola mi definisci tu.
- Te l'ho detto, anti-convenzionale.
- Ah... (avevo capito anti-concezionale....)
Se solo mi potessi voltare e correre per tutto il tempo.
But I can't help the feeling
I could blow through the ceiling
And it wears me out
Essere letti è un problema.
E non esserlo anche.
I could blow through the ceiling
And it wears me out
Essere letti è un problema.
E non esserlo anche.
ma firmarsi non col proprio nome, è un po' come non assumersi la responsabilità totale di quello che si scrive. don't you think so?
RispondiEliminaessì che siamo uni nessuni e centimili... ma una tantum tutti dovrebbero scegliere qual è la parte che vogliono recitare. e soprattutto su quale scena, no?
E se la completa responsabilità e la paternità e la sincerità e la chiarezza e la "persona" di colui che scrive provenissero invece dai sentimenti che si incarnano in quelle eventuali parole?
RispondiEliminaIl nome è anche lo scazzo di un momento. Scazzo altrui, ponderato by babbo and mammà quale si evince dall'anagrafe, oppure uno scazzo squisitamente autonomo (veramente autonomo), improvviso, durante un patetico momentary lapse of reason, allorché non capisci pù nulla per via di inaspettate reazioni dell'Es...
Ma la sostanza è l'esperienza, e la propria storia. Quello è il marchio di garanzia...
Forse, pur curandomi poco del ruolo, sarò effettivamente più qualcuno di altri che si industriano a lustrarsi il pupo; ma tutto quello che sono e sarò davvero emergerà, a prescindere dai nobili intenti, da quello che dico, nei miei gesti e in quello che guardo e racconto.
Trasparente.
Per quel che si può. Ovviamente, ma adorée ;-)