Non mi era mai capitato di salutare le persone con le lacrime agli occhi, e con le parole abortite in fragili bisbigli.
Eppure ci sono rarissimi momenti in cui riesco persino ad assegnare un valore ai "grazie" che mi vengono detti senza sentire un vago odore di sterco e un retrogusto di presa per il culo. E ieri è successo, forse per l'unica volta nella mia vita. A provare una specie di dispiacere paragonabile all'asportazione immotivata di un polmone senza anestesia, e di sentirmi improvvisamente talmente solo come se a sparire fossi stato io stesso.
Non riuscirei mai ad immaginare la mia vita senza di me. Per questo sono un disadattato, in un mondo dove la maggior parte delle persone vive senza rendersi conto di esserci.
Eppure ci sono rarissimi momenti in cui riesco persino ad assegnare un valore ai "grazie" che mi vengono detti senza sentire un vago odore di sterco e un retrogusto di presa per il culo. E ieri è successo, forse per l'unica volta nella mia vita. A provare una specie di dispiacere paragonabile all'asportazione immotivata di un polmone senza anestesia, e di sentirmi improvvisamente talmente solo come se a sparire fossi stato io stesso.
Non riuscirei mai ad immaginare la mia vita senza di me. Per questo sono un disadattato, in un mondo dove la maggior parte delle persone vive senza rendersi conto di esserci.
Perché uccidere tutta questa gente che è già morta? Le parole dell'Erostrato mi riecheggiano spesso, non posso farci niente.
Da oggi si doveva ricominciare: sveglia presto, studio, chitarra nella apposita custodia, la pelle abbronzata che viene via a brandelli dalle spalle, rassegna stampa internazionale ridotta a timide occhiate per non perdere troppo tempo, resoconto rapido delle occasioni mancate per futili motivi, la sfortuna di un weekend alternativo saltato improvvisamente, le riunioni del Partito Democratico in agenda, che tornano a ridimensionare i tentativi di fuga asociale di stampo rousseauniano.
Gli ultimi giorni sono andati così, a perdere tempo nel programmare serate e rimpatriate vane durante la mattina, e a disattendere i programmi fatti, dopo il tramonto. Con le donzelle a crogiolarsi al sole con il maledetto oggetto tecnologico ficcato nelle orecchie che dava fiato a spasimanti di vario genere, ed io e il mio compare di ebbro-filosofiche conversazioni a sfidare onde e bandiere rosse balneari come i fratelli Paladini.
Ci guardiamo intorno alla ricerca di una Isabella Ferrari da salvare, ma non c'è. E di sicuro ci saremmo accapigliati su chi tra i due avrebbe interpretato il famigerato ruolo, lasciando che l'ipotetica sventurata affogasse durante la nostra colluttazione.
Gironzolando poi con una vecchia Panda Young toccando i 120 Km/h, ma avendo come l'impressione di oltrepassare la velocità di fuga.
E come sottofondo ai titoli di coda, un violoncello suonato a guisa di Jimy Hendrix.
Per chi non lo sapesse ancora, l'astro luminosissimo che si vede durante la notte attraversare il cielo a sud, è Giove.
Guardatelo, e pensatemi.
Anche Tu, scema che non rispondi alle mie telefonate, guardalo e pensami.
Miope.
Questa estate finisce con un rimpianto enorme.
Un'attesa che è terminata contro un muro, come un sorpasso della mia vita interiore su quella possibile che si è spento oltre il guardrail, quando vivi ogni cosa a velocità assurde e prestando poca attenzione alla propria completa incolumità.
Se fossi un bugiardo direi che questo rimpianto assomiglia ad un paio di stivali che ho lasciato perdere in un negozio milanese.
Se fossi sincero, direi che invece gli stivali donano molto al mio rimpianto estivo. Con le mani in tasca e la gonna.
Capa di cazzo, se non mi piace la gonna.
Era quella parte di me sconfusionata e infinitamente libera. Quella che ti piomba dentro casa per una telefonata e ti trascina via con sè, ridendo a crepapelle su ogni cosa che sembra svolazzargli sotto il naso.
Scopri tante cose ribaltate, e convinzioni cristallizzate che crollano liberando una luce autentica.
Domani, intanto, sempre a bordo della immaginaria Lancia Aurelia B24, potrò avere un quadro un po' più nitido sulle curve cieche di questa mia vita; un domani che rincorro dal 13 novembre 1982, il giorno in cui ho smesso di stare oziosamente tranquillo.
I miei anni ed i miei periodi non seguono il ritmo dei calendari. Scorrono stagioni a seconda dei mutamenti esistenziali e agli scatti che sento fare all'età. Come un nuovo cerchio nel tronco di un albero che mi pare di sentirmi affusolare nelle ossa.
Oggi, pertanto, è un tipico ultimo giorno. Perché lo so già che in ogni caso non sarà niente uguale a prima.
Le cose più memorabili della mia vita sono sempre capitate il giorno 18.
Il giorno 18 ottobre 1998, ad esempio, ho scritto la prima pagina di cui non mi sono vergognato in vita mia.
Alcune cartoline tra i miei ultimi "diciotti":
- una voce che mi dice "pronti" per la prima volta al telefono;
- io che scatto felinamente dalla panchina, e mi nascondo celermente dietro un'edicola alla vista della persona che attendevo, e mi chiedevo tremante: "ma che cazzo ci son venuto a fare fin qua? Sono completamente pazzo...", la prima volta che qualcuno è riuscito a destabilizzarmi così prepotentemente;
- gli occhiali da sole persistenti per essere riconosciuto (col cazzo che hanno funzionato...), ed io che mi sentivo ciecato;
- arrivai io, ed il temporale lasciò posto ad un tempo splendido: non c'è dubbio, dovevo nascere in una mangiatoia;
- i balbettii inopinati, gli "ehm", gli "ahhh", gli "hiiii", gli "hhhhh" perché non sapevo che cazzo dire, e mi affidavo ad inverecondi vocalizzi;
- sentirmi un idiota per il solo fatto di aver duvuto dipendere dalla capacità altrui di comunicare coi camerieri, non conoscendo io la lingua;
- che belle labbra, santo cielo... che ci avrei combinato...
- le foto che mi hai cancellato, bastarda.
Fottuto completamente nel trattenere una risata fragorosa nel constatarmi più lento nel mangiare, di sentire che non si mette il sale sulle patatine fritte per non ingrassare.
Fottuto completamente la mattina al supermarket tra i funghi, le banane, e gli yogurt, mentre guardavo quelle manine tra i banconi dell'ortofrutta e volevo ridere in tutte le lingue del mondo.
Fottuto completamente ogni sera.
Fottuto completamente quando intimai di lasciarmi il braccio adoperato come stampella, essendo che le scale erano terminate.
Fottuto completamente quando mi chiedesti: "ma c'è qualcosa che non sai?". Ed io che molto poco intellettualmente ti guardavo le cosce, quei particolari visibili.
Fottuto completamente ora, che sto ancora qui.
Per questa ragione non mi merito la mangiatoia: umano, troppo umano.
Mollusco di merda. Inevitabilmente costretto a fare il cattivo.
Ecco. 92 giorni.
Da oggi si doveva ricominciare: sveglia presto, studio, chitarra nella apposita custodia, la pelle abbronzata che viene via a brandelli dalle spalle, rassegna stampa internazionale ridotta a timide occhiate per non perdere troppo tempo, resoconto rapido delle occasioni mancate per futili motivi, la sfortuna di un weekend alternativo saltato improvvisamente, le riunioni del Partito Democratico in agenda, che tornano a ridimensionare i tentativi di fuga asociale di stampo rousseauniano.
Gli ultimi giorni sono andati così, a perdere tempo nel programmare serate e rimpatriate vane durante la mattina, e a disattendere i programmi fatti, dopo il tramonto. Con le donzelle a crogiolarsi al sole con il maledetto oggetto tecnologico ficcato nelle orecchie che dava fiato a spasimanti di vario genere, ed io e il mio compare di ebbro-filosofiche conversazioni a sfidare onde e bandiere rosse balneari come i fratelli Paladini.
Ci guardiamo intorno alla ricerca di una Isabella Ferrari da salvare, ma non c'è. E di sicuro ci saremmo accapigliati su chi tra i due avrebbe interpretato il famigerato ruolo, lasciando che l'ipotetica sventurata affogasse durante la nostra colluttazione.
Gironzolando poi con una vecchia Panda Young toccando i 120 Km/h, ma avendo come l'impressione di oltrepassare la velocità di fuga.
E come sottofondo ai titoli di coda, un violoncello suonato a guisa di Jimy Hendrix.
Per chi non lo sapesse ancora, l'astro luminosissimo che si vede durante la notte attraversare il cielo a sud, è Giove.
Guardatelo, e pensatemi.
Anche Tu, scema che non rispondi alle mie telefonate, guardalo e pensami.
Miope.
Questa estate finisce con un rimpianto enorme.
Un'attesa che è terminata contro un muro, come un sorpasso della mia vita interiore su quella possibile che si è spento oltre il guardrail, quando vivi ogni cosa a velocità assurde e prestando poca attenzione alla propria completa incolumità.
Se fossi un bugiardo direi che questo rimpianto assomiglia ad un paio di stivali che ho lasciato perdere in un negozio milanese.
Se fossi sincero, direi che invece gli stivali donano molto al mio rimpianto estivo. Con le mani in tasca e la gonna.
Capa di cazzo, se non mi piace la gonna.
Era quella parte di me sconfusionata e infinitamente libera. Quella che ti piomba dentro casa per una telefonata e ti trascina via con sè, ridendo a crepapelle su ogni cosa che sembra svolazzargli sotto il naso.
Scopri tante cose ribaltate, e convinzioni cristallizzate che crollano liberando una luce autentica.
Domani, intanto, sempre a bordo della immaginaria Lancia Aurelia B24, potrò avere un quadro un po' più nitido sulle curve cieche di questa mia vita; un domani che rincorro dal 13 novembre 1982, il giorno in cui ho smesso di stare oziosamente tranquillo.
I miei anni ed i miei periodi non seguono il ritmo dei calendari. Scorrono stagioni a seconda dei mutamenti esistenziali e agli scatti che sento fare all'età. Come un nuovo cerchio nel tronco di un albero che mi pare di sentirmi affusolare nelle ossa.
Oggi, pertanto, è un tipico ultimo giorno. Perché lo so già che in ogni caso non sarà niente uguale a prima.
Le cose più memorabili della mia vita sono sempre capitate il giorno 18.
Il giorno 18 ottobre 1998, ad esempio, ho scritto la prima pagina di cui non mi sono vergognato in vita mia.
Alcune cartoline tra i miei ultimi "diciotti":
- una voce che mi dice "pronti" per la prima volta al telefono;
- io che scatto felinamente dalla panchina, e mi nascondo celermente dietro un'edicola alla vista della persona che attendevo, e mi chiedevo tremante: "ma che cazzo ci son venuto a fare fin qua? Sono completamente pazzo...", la prima volta che qualcuno è riuscito a destabilizzarmi così prepotentemente;
- gli occhiali da sole persistenti per essere riconosciuto (col cazzo che hanno funzionato...), ed io che mi sentivo ciecato;
- arrivai io, ed il temporale lasciò posto ad un tempo splendido: non c'è dubbio, dovevo nascere in una mangiatoia;
- i balbettii inopinati, gli "ehm", gli "ahhh", gli "hiiii", gli "hhhhh" perché non sapevo che cazzo dire, e mi affidavo ad inverecondi vocalizzi;
- sentirmi un idiota per il solo fatto di aver duvuto dipendere dalla capacità altrui di comunicare coi camerieri, non conoscendo io la lingua;
- che belle labbra, santo cielo... che ci avrei combinato...
- le foto che mi hai cancellato, bastarda.
Fottuto completamente nel trattenere una risata fragorosa nel constatarmi più lento nel mangiare, di sentire che non si mette il sale sulle patatine fritte per non ingrassare.
Fottuto completamente la mattina al supermarket tra i funghi, le banane, e gli yogurt, mentre guardavo quelle manine tra i banconi dell'ortofrutta e volevo ridere in tutte le lingue del mondo.
Fottuto completamente ogni sera.
Fottuto completamente quando intimai di lasciarmi il braccio adoperato come stampella, essendo che le scale erano terminate.
Fottuto completamente quando mi chiedesti: "ma c'è qualcosa che non sai?". Ed io che molto poco intellettualmente ti guardavo le cosce, quei particolari visibili.
Fottuto completamente ora, che sto ancora qui.
Per questa ragione non mi merito la mangiatoia: umano, troppo umano.
Mollusco di merda. Inevitabilmente costretto a fare il cattivo.
Ecco. 92 giorni.
3
La tua assenza ha molte vittime
Io che non so più aspettare
Crollano chiese infallibili
Sulle spalle degli eroi
Notte che già scioglie i vincoli
Scopro al vento il mio dolore
Colmo il vuoto con i simboli
Mentre fuggi via da me
Crollano chiese infallibili
Sulle spalle degli eroi
Notte che già scioglie i vincoli
Scopro al vento il mio dolore
Colmo il vuoto con i simboli
Mentre fuggi via da me
Le distanze possono andare a fanculo. Ma sentirsi profanare come un coglione è una sgradevole, dolcissima, inevitabilmente splendida, sensazione.
Io non forzo un cazzo, ma neanche mi sottraggo.
Io dove sarò
Tu dove sarai
- Da Amalfi a qui in due ore e mezza?!
- Eh sì, me so' fermato dieci minuti per cambiare le candele!
(le distanze diventano piccole piccole)
Tu dove sarai
- Da Amalfi a qui in due ore e mezza?!
- Eh sì, me so' fermato dieci minuti per cambiare le candele!
(le distanze diventano piccole piccole)
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