giovedì 28 agosto 2008

Eurocity 89

Sognavo la tazza di un cesso.


Aspettavo di incontrarne una plastica parvenza, fetida o meno, alle spalle della cascante parete. 


Viaggia con un ritardo di 4 minuti.


Slinguate senza contegno tra una bionda ed un pelato che ha 30 anni di più.


Scendono dalla prima carrozza decine e decine di valigie per sole cinque persone.


Al posto finestrino c'è un tizio con una piccola 24ore ed una collana metallica con ivi appeso un grave d'ottone, modello "gran san bernardo", esperto in salvataggi di dispersi innevati.


Accanto a me, e di fronte a lui, è una bionda che sonnecchia a bocca aperta. Emette strani vapori come una ciminiera di volgare propensione all'acidità, stomacale e sociale. Ha un piccolo neo sulla sopracciglia destra. Piccolissimo ma altrettanto fastidiosissimo. Ha una mezza tetta che travalica l'orlo della canotta, ma nessuno si azzarderebbe a svegliarla dal suo camionistico sonno per un dettaglio così insignificante.


Qui dentro sono stato capace di scrivere delle stronzate monumentali, soprattutto quando avevo il vizio di interagire coi lettori nei commenti.


Ma la prossima volta, andrà tutto meglio, vedrete. Non si sbaglia anche la seconda volta.


4 minuti di ritardo, aspettando la locomotrice con la seconda volta. E poi perdi tutte le coincidenze.


Continua a sognare, la tazza del cesso.

sabato 23 agosto 2008

Quattro stracci di un amor di penna, e di pena

- Io la amo la tua penna...

 - ... ( è una maniera come un'altra per amare te stessa)

La logica normale delle cose, quella dei comportamenti razionali, prevede che, è sì possibile trascinare qualunque cosa fin dove si vuole malcelandola sotto le mentite spoglie di ipocrite relazioni, poi però questo percorso giunge all'appuntamento col proprio anatomico esame.
La verità è come una puttana a cui ti rivolgi per colmare un vuoto, e davanti alla quale ti sciogli in lacrime. Ti coccola subito dopo averti fatto del male, semplicemente estranea di fronte alla nostro masticare e rigurgitare di inganni e fallimenti.
Impassibile, non pretende nemmeno il fio, per quell'ascolto. Ed ha ragione.

Il gioco delle parti, che walzer di oscillazioni misteriose eppure così adamantine.

Voler bene certe volte pare essere una gara di resistenza per il proprio orgoglio. Ma senza rinuncie e senza abbandoni, dovrebbe essere un abbraccio ad armi pari, ed io stesso non ci riesco molto spesso.

Ho tagliato i miei capelli con un rasoio ricavato dalla barba di diavolo.
Ho visto che la mia pelle bruciava, ed io scomparivo senza più ascoltarti.

Mille volte ho tentato di chiudere questo blog, ingannando me stesso, perché ero ben conscio che non lo avrei mai fatto. Questo perché ho sempre scritto, e perché essere letto mi gonfia di narcisismo puro.

Non ha davvero senso, per me, esistere unicamente attraverso quelle parole. Quante cose restano sottese alle cavolate che scrivo... quante cose si annidano nelle righe scure che separano, come una scacchiera, una parola da un'altra, una frase dall'altra. Un pensiero dall'altro.

Quante voci mi restano decapitate in bocca come tradimento caino del mio stesso fervore... quante cose ho lasciato che si potessero unicamente immaginare, seppellendole in aule sotterranee, seminando sentieri per raggiungerle. Quante cose poi ho ritrovato intatte negli stessi nascondigli, perché incomprese, perché rifiutate, perché, forse, un tantino audaci o spaventose?

Quante cose che non sai di me...

La voce, una penna, un pensiero di cui forse non si riesce a fare a meno, qualcosa per cui ringraziare.
Per me, invece, sono solo gabbie. Incomprensibili gabbie che anziché avvicinarmi mi sembrano allontanarmi, perché mi limitano ed i miei pensieri collassano. Qualunque persona è un'esplosione che va alimentata, e mai soffocata.

Niente forza, niente pressioni. Attendersi qualcosa nel corso della vita è un oltraggio, nonché un inutile spreco di risorse. Provare a capire la strada dove ci muoviamo è talvolta un'illusione, ma spesso, anche un esercizio interessante.
Imprimere la propria volontà vuol dire non restare come vittime, ed essere sempre attori, consapevoli che il proprio plot lo si scrive a sei mani, insieme con i cazzi in culo e con le botte di culo.

Il demiurgo è intento in altre manifatture.

Le panchine sono comode, anche senza cartoni. La ruggine si attacca ai pantaloni, ma anche noi disseminiamo un po' del nostro humus in ogni cosa su cui poggiamo le terga. Ogni incontro è una contaminazione ed una conquista.

Quelli che vedono solo dei furti e delle minacce, sono le persone destinate ad una radicata tristezza.

Io sono felice. Anche dopo una fregatura di dimensioni colossali. Perché dura lo spazio di una bestemmia. E le strade sono tante.

Il gioco non finisce, ma io resisto... Io. Resisto... diceva il Di Spelta in preda alla follia nell'opera eduardiana.

Se devo essere solo una voce, per chiunque, tanto vale essere nulla.

E con questa bella canzone che ieri mi è stata ridestata, vi saluto per un po'.






E guardo fuori dalla finestra e vedo quel muro solito che tu sai.
Sigaretta o penna nella mia destra, simboli frivoli che non hai amato mai;
quello che ho addosso non ti è mai piaciuto, racconto e dico e ti sembro muto,
fumare e scrivere ti suona strano, meglio le mani di un artigiano
e cancellarmi è tutto quel che fai;

ma io sono fiero del mio sognare, di questo eterno mio incespicare

e rido in faccia a quello che cerchi e che mai avrai!

Non sai che ci vuole scienza, ci vuol costanza, ad invecchiare senza maturità,
ma maturo o meno io ne ho abbastanza della complessa tua semplicità.

Ma poi chi ha detto che tu abbia ragione, coi tuoi "also sprach" di maturazione
o è un' illusione pronta per l'uso da eterna vittima di un sopruso, abuso d' un mondo chiuso e fatalità;

ognuno vada dove vuole andare, ognuno invecchi come gli pare,

ma non raccontare a me che cos'è la libertà!

La libertà delle tue pozioni, di yoga, di erbe, psiche e di omeopatia,
di manuali contro le frustrazioni, le inibizioni che provavi qua a casa mia,
la noia data da uno non pratico, che non ha il polso di un matematico,
che coi motori non ci sa fare e che non sa neanche guidare,
un tipo perso dietro le nuvole e la poesia,
ma ora scommetto che vorrai provare quel che con me non volevi fare:

fare l' amore, tirare tardi o la fantasia!


La fantasia può portare male se non si conosce bene come domarla,
ma costa poco, val quel che vale, e nessuno ti può più impedire di adoperarla;

io, se Dio vuole, non son tuo padre, non ho nemmeno le palle quadre,
tu hai la fantasia delle idee contorte, vai con la mente e le gambe corte,
poi avrai sempre il momento giusto per sistemarla:
le vie del mondo ti sono aperte, tanto hai le spalle sempre coperte
ed avrai sempre le scuse buone per rifiutarla!

Per rifiutare sei stata un genio, sprecando il tempo a rifiutare me,
ma non c'è un alibi, non c'è un rimedio, se guardo bene no, non c'è un perchè;
nata di marzo, nata balzana, casta che sogna d' esser puttana,
quando sei dentro vuoi esser fuori cercando sempre i passati amori
ed hai annullato tutti fuori che te,
ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato ieri,
persa a cercar per sempre quello che non c'è,
io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato ieri
persa a cercar per sempre quello che non c'è,
io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato ieri
persa a cercar per sempre quello che non c'è...

(cavolo come calza 'sta canzone, ogni tanto te la fai venire una grande idea...)

mercoledì 20 agosto 2008

Smisurata preghiera durante una stagione all'inferno


Coltivando tranquilla l'orribile varietà


delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine




Mi raccontavano che sarà come una proiezione rapida e costante di immagini, come litografie, un lampo che condensa tutto, rivelando quale enorme boiata sia stata il trascorrere del tempo.
Parametro bugiardo per prendere i centimetri delle calvizie (per chi ce l'ha) e misurare goniometricamente le lombosciatalgie, e i cedimenti progressivi della prostata.

Scopri di non essere servito a niente. E ti vien da ridere.
Che se non hai una prole che ti rimpiazzi, e a cui devi fare economicamente e previdenzialmente spazio, sei insignificante alla stessa stregua di un mandorlo bonsai.
E che ci vedrai, dunque, mentre fai per l'ultima volta la respirazione ritmata 3-12-6, come da medico consulto?
Cose così, a cazzo, come mi tornano in mente, senza ordine e tempo:

Il pallone multicolore comprato nel mitico negozio di giocattoli a due piani in via di Palma a Taranto. Quando mi portavano a fare compere contro la mia volontà; e nell'aria dove tutti sentivano puzza di diossina, io sentivo profumo di focaccine fritte e cherosene.

L'arco, le frecce, e gli alberi su cui mi arrampicavo credendo di aggrapparmi alla corteccia, e spesso trovandomi con una lucertola da muro tra le mani.

Un vecchio fucile della Grande Guerra del mio bisnonno soldato fascista. Era pesante e lo andavo a prendere in cantina per tenerlo imbracciato. Era fresco laggiù, e si sentiva un buon odore di benzina.

Un albero di ciliegie pallide e amarognole che riempiva i calzoncini di una resina profumata non smacchiabile, anche qui, su cui mi arrampicavo per nascondermi quando veniva qualcuno a trovare mio nonno materno che stava morendo.

Mio zio che veniva a prendermi da scuola con la sua mercedes bianca, in inverno. Sul sedile posteriore c'era una busta con del pesce da arrostire alla brace; dopo pranzo una dormita colossale davanti al camino, in campagna, e la sensazione di essere voluto bene davvero da quel fuoco.

Il pastore tedesco che mi stava staccando il polso sinistro il giorno della sconfitta ai rigori dell'Italia contro la Francia, nel mondiale del 1998.

Quelle volte che invece non veniva nessuno a prendermi da scuola, ed anziché andare a casa mi mettevo a gironzolare per le strade del mio paese, non riuscendo mai a credere che a qualcuno potesse mai fregare un cazzo di me, tanto meno che potesse preoccuparsi.

E quella volta che litigai con mio zio che si convertì al ForzaItaliotismo, mentre io lentamente trasmigravo verso il sindacalismo rivoluzionario. Mio zio naviga nell'oro, io sono un morto di fame.

Mio padre che mi portava a vedere le sue partite quando giocava a tennis.

Mio padre che smise di giocare a tennis. Mi portava ugualmente al campetto, si sedeva ad una panchina, e piangeva.

Mio padre che mi accompagnò la prima volta a giocare a pallone in un campo sportivo vero, e rimase a vedere la partita. Da ex giocatore, cominciò a darci dei consigli: più passaggi e meno dribbling. Forse non gli ho mai voluto bene come quella volta.

Mio padre che si sentì male quando, la seconda volta che mi accompagnò ad una partita di calcio, si accorse che camminavo anziché correre, e che mi tenevo il polso perchè in quel contrasto mi ero fratturato il radio.
Quella volta mi ero ripromesso che sarei riuscito a segnare. Invece finii per farmi l'estate col gesso al braccio.

Mio padre che cominciò ad odiarmi quando ero intenzionato a prendere filosofia all'università.

Quella volta che mia cugina mi si presentò nuda davanti, e mi parlò delle sue prime mestruazioni quando io non sapevo ancora che cavolo fossero, e pensavo stesse citando il maestrale di Carducci. Mi innamorai di mia cugina, ed ero gelosissimo.

La prima volta che io ed E. abbiamo dormito insieme. Faceva freddo. Ricordo che era bello starle addosso. E non smettere mai di accarezzarla e... per tutta la notte.

Quando E. stava male ed io per starle vicino persi La Meglio Gioventù su rai 1.

Il mio amico di università che portava due anni di ritardo, che andò a finire fuori corso, e che aiutavo. Che adesso guadagna il triplo di quello che guadagno io, ed ha il posto fisso.


La mia amica
di università innamorata follemente di me, che mi chiamava a casa per comunicarmi che ero stato l'unico del corso a superare le prove di Macroeconomia a punteggio pieno, e che nei corridoi della facoltà stava già montando la leggenda.
Era fidanzata, ed io, onesto imbecille, me la lasciai scappare. La aiutavo a preparare l'esame di Economia Internazionale, ed il sistema linfatico mi ribolliva come la minestra della maga Circe.
Una delle ragazze più finemente porche che abbia mai incontrato.

Quando vinsi il concorso per il dottorato. Ero felice, ma inconsapevole. Altrimenti non sarei stato felice.

Le giacche, le cravatte, le scarpe nere, lucide, comode e belle. Le conferenze. Gli interventi attesi, il proprio nome sui manifesti. La gente che ti riconosce per strada, e la contestuale voglia di non uscire più di casa per questa ragione.

Scolpire l'argilla. Disegnare il viso di S. in chiaro-scuro. Fermarsi a contemplarlo. Provare a chiamarla per dirle solo: eh, sei bellissima. Ma lei non risponde. Esci, e vai a mangiare una pizza senza mozzarella, con la bresaola. La vodafone lì non riceve bene, il pizzaiolo conosce la composizione chimica di tutti gli ingredienti, e sa distinguere tutte le etnie Rom. Mi offre la grappa alla fine.
E non pensi ad altro che non sia lei.
Intanto ricevi uno squillo in un barlume di rete funzionante...

Ant. che in secondo liceo mi sedette accanto e mi disse: "Sei il migliore di tutti, mi piaci. Ma da me non avrai niente." Questa frase la volli da subito come epigrafe esistenziale, e me la scrissi sul taccuino. Da allora scrivo tutto su quel taccuino nero.

M., una delle poche per cui ho davvero sofferto, che in quarto liceo mi rifiutò perchè ero brutto, nerissimo di capelli, e portavo gli occhiali. Mentre lei lo voleva biondo, bello e con gli occhi azzurri. E poi, dopo qualche anno, la ritrovo in giro con un mio amico, una specie di hobbit mal riuscito, tozzo e cicciottello, né chiaro, né scuro; e non mi soffermo a dare opinioni sul Q.I. sennò sembro più presuntuoso di quello che già sono. Così impara, la fessa.

Di M. mi resta una foto che ci siam fatti a Recanati sotto l'inscrizione dell'Ermo Colle. E quel suo sorriso innocente, delicato, e profondamente intenso come un mestolo di brodo vegetale.

Sempre caro mi fu quel volume dell'Inferno dantesco di Famiglia Cristiana che mio nonno mi fece scoprire a sette anni. E quella frase che mi restò per sempre impressa nel cervello: "d'animo alto, e disdegnoso molto."

Le scollature e le gonne di mia zia. Cristo.

La speranza di recitare ne La Grande Magia di De Filippo e interpretare Calogero Di Spelta.

Le poesie di Guittone d'Arezzo e Guido Cavalcanti che leggevo di nascosto di notte, per non farmi sorprendere da mio padre, il quale sospettava che io consultassi giornaletti porno. E sarebbe stato più contento in questo caso, e non sapendomi intento a imparare a memoria la produzione stilnovistica ed il Petrarca.

I pomeriggi a lavorare a nero nella libreria del mio amico. Licenziato per manifesta inettitudine nel confezionare i volumi con la carta da regalo.

I Gemelli Veneziani, Zio Vanija, Possesso, L'uomo dal fiore in bocca, Enrico IV. Gli spettacoli teatrali più belli a cui ho assistito.

La mia prof di filosofia del liceo, che non era un granché, ma che mi sarei trombato fino a prosciugarmi l'anima perché mi definiva: "eclettico, e purista della lingua".

La mia prof di inglese del liceo, che non era un granché, ma che mi sarei trombato fino a prosciugarmi l'anima perché aveva scorto in me tratti di Samuel Coleridge, e perché citava spesso frasi di dark side of the moon.

La mia prof di lettere del liceo, che non era un granché, ma che non mi sarei mai trombato nemmeno se fosse stata stupenda, perché ad un compito in classe mi mise 8 e 1/2 nonostante sosteneva che fossi uscito fuori traccia. Per coerenza pretesi il 2, e lei mi guardava stranita.

La mia prof di matematica del liceo. Che mi sarei trombato, e che mi tromberei ancora e sempre, solo perché è indiscutibilmente bona. Perché una sera durante una festa liceale venne a trovarmi mentre me ne stavo in disparte, in controluce, e abbracciandomi mi prestava attenzione quando le mostravo le stelle e le costellazioni, citando mitologie e leggende aramaiche.
E vi garantisco che è dura fare questi discorsi in condizioni di eccitazione libidinosa tambureggiante.

Colei che dopo 10 anni mi rivela di essere stata innamorata segretamente di me. La cosa mi stupisce, ma non me ne frega niente. Me lo dice poco prima che io le chieda, placidamente, di scopare, a prescindere dai ricordi e dai rimorsi, solo per sublimare il presente. Non è contraria. Ma poco prima di procedere scoppia in lacrime.

Mi sento una cipolla.

La mia spalla bagnata dal pianto di V. che era stato mollato dalla ragazza, seduti su una panchina verde davanti ad una caserma ed una chiesa, ed io che consolandolo soffrivo le torture cinesi perchè dovevo andare a pisciare e mi stava scoppiando la vescica. E fortunatamente non ero nemmeno afflitto dalla proverbiale diarrea.

La prima volta che salii su un palcoscenico dinanzi ad una platea e, interpretando un martire, pretesi dagli altri attori che mi si torturasse davvero per rendere la cosa credibile e le mie urla veritiere. Mi ispirai a William Wallace, e alcune signore spettatrici piansero nel vedermi pestato e preso a calci nello stomaco, e trascinato sul palco tirato per i capelli.

La Vita è Bella, e la scena finale del carro armato. Forse è il mio film preferito, perché l'ho visto solo una volta in vita mia, e non ho mai avuto il coraggio per rivederlo.

Quando imparai a suonare la chitarra, lo volli solo per Wish You Were Here.

La prima volta che vidi E. Poi quando la fermai, la prima volta che la baciai, la prima volta che camminammo presi per mano, le dita intrecciate strette nella tasca del mio lungo cappotto di pelle marrone in stile Matrix, per via del freddo gelido. La prima volta in vita mia che dissi "ti amo". Tutto in una sera. Il giorno che iniziai e smisi di amarla. E poi ci sono rimasto comunque insieme diversi anni. E tutte le promesse che non ho mantenuto, di cui non mi importa nulla.

Quella volta che per litigare con E. nei corridoi della mia facoltà lasciai incustodito un paio d'occhiali da sole stupendi. I migliori che avrei potuto mai avere. E me li fregarono.

Quelle sere scoglionanti in macchina dove lei stava assegnando i nomi alla futura prole, mentre io ascoltavo Syd Barrett, strafatto di appallamento esistenziale. Quando lei mi chiedeva un parere, io, che non avevo ascoltato un cazzo, rispondevo: "eh...lo vedi quello là? Quello è Giove, ricordatelo..."

Ant. che non mi guardava più in faccia. E mi piombò a casa un pomeriggio mentre io spettinato stavo guardando un film con Andy Garcia e Samuel L. Jackson. Era bellissima, era sincera, era giusta. E non la ringrazierò mai abbastanza.

La prima volta che vidi il film Bianca, e ne restai turbato. Presi la mia carta di identità per controllare che non vi fosse scritto Michele Apicella al posto del mio nome e cognome. E non hai pietà tu di me...

Laura Morante, dopo S., è la donna più bella che esiste.

Il mio primo comizio, la mia prima campagna elettorale, le sonore sconfitte. Le sedie scagliate nei litigi tipicamente "sinistri" sulle antropologiche motivazioni della egemonia gramsciana
liquefatta nel tessuto interclassista della variopinta e composita realtà del mio paese. Scazzi di un'evanescenza atavica, in quella nicotinizzata sezione dei DS. Le feste de l'Unità con le casse di birra e la carne al fornello. E quei dibattiti in ottobre in una piazza deserta con gente che spiava dalle finestre, e un uditorio di tre vecchietti in via d'estinzione, orgogliosamente seduti su sedie di legno targate P.C.I.

Nei miei anni con E. volevo scopare con qualsiasi essere vivente femminile che mi comparisse innanzi. Dopo averle dato il benservito son precipitato nell'indifferenza. Misteri psico-testicolari.
Tornato single la mia prima frase fu: "E fu così che persi circa 60 voti di preferenza...".

Le ruspe che buttavano giù la tenuta di campagna di mio nonno materno, e una mega villa che sorgeva mattone dopo mattone. E l'odio che saliva, sbuffo dopo sbuffo. E i luoghi della mia vita, quelli sudati, zappati, e rastrellati con mio nonno, venivano demoliti. Le reliquie pietrose venivano riposte in cassettine di legno come macerie. Lasciate ai muratori che vi avrebbero ricavato delle pietre levigate per erigere muretti a secco ornamentali in chissà quali altrui proprietà.

La sera in cui una persona rimase gettata a terra a piangere per me. E per la prima volta non scesi dalla macchina per consolarla, ma feci inversione andando via senza pietà. Ascoltando The Final Cut al massimo volume.

La sera in cui, dopo una canna, ero gettato terra con alcuni tizi sognando di stare a Woodstock sotto il palazzo del municipio.

Una sera recente in cui un compagno di Rifondazione, sorridente, mi si avvicina chiedendomi gentilmente di spegnere il sigaro perché dava fastidio alle signore lì vicino. Mi riporta le seguenti frasi delle suddette, a me rivolte:
"Maaaadoooo', avete capito chi è quel ragazzo che sta fumando il sigaro? Il figlio di..... MAAAADOOOOOOO'!!! E fuma il sigaro... maaaadooooooooo'.... era tanto un bravo ragazzo! E pure suo padre, era tanto una brava persona".
Impeachment, per un cazzo di sigaro. Se avessi stuprato la moglie del sindaco di destra, sarei diventato un eroe della resistenza.


Salutare uno zio sapendo che forse non lo rivedrai mai più. Rassegnarti a questo. Piangere ad una sua telefonata il giorno della laurea. E poi rincontrarlo, e trascorrere giorni interi a camminare lungo corso Buenos Aires a parlare della planimetria urbanistica di Milano, e della sua evoluzione negli ultimi 50 anni. Strani miracoli apparentemente. Poi no, i miracoli li fa la nostra volontà, il resto è pigrizia pura.

La prima volta che ho preso il treno, e sono andato in Abruzzo. Ah...
non è che accadano a ciascuno cose secondo un destino, ma le cose accadute ciascuno le interpreta, se ne ha la forza, disponendole secondo un senso, vale a dire, un destino.

Tornare dai miei viaggi e chiamare una persona che viene ad attenderti alla stazione col rossore in volto. Camminare abbracciati, e sentirti addosso quel suo sorriso. Desiderarle le labbra carnose, tanto per cominciare. Averle in pochi baci, i più belli finora mai dati e ricevuti. Sfociati in rabbia anziché in una reciproca e completa immersione di quel momento.

Cesare Pavese. Il silenzio.

Quella voce che ti dice: "Giuse', il fatto è che tu sei abbastanza visibilmente intollerante a tutto ciò che ritieni stupido". La scoperta dell'acqua calda, che mi ha cambiato la vita.

Il battello sul Danubio, ed Ant. che, scoppia a piangere e mi dice: "Ti voglio bene" mi abbraccia e dice che avremmo rischiato di non stare più così tanto tempo insieme. Prendo il taccuino, rileggo la sua frase-epigrafe di tre anni prima e penso: "potevi pensarci prima...".
La abbraccio e ci facciamo una foto.

Quella notte lontana a Budapest ho dormito con Ant., Ross, ed A. nello stesso letto. Amici ok, platonici ok, ma mi svegliai con qualcosa che ricordava l'obelisco di Place de la Concorde.

Una notte trascorsa affacciato alla finestra a Tarvisio. Tutti in discoteca. Io a guardare le montagne.

Sentirmi assalito da un dubbio, da un presentimento, da un desiderio. Mandare al diavolo ogni cosa e scegliere la vita. Eccomi qua, questo è il risultato, et voilà, monsieur le mollusque.

Il 18 febbraio 2008. Poi il 18 maggio 2008, 19 maggio 2008, 20 maggio 2008, 21 maggio 2008. Ti adoro.
Il giorno più bello di quest'anno. 19 maggio, ore 20.00 circa, Ch
âtelet, Parigi. Tu eri te stessa, io ero
Humphrey Bogart.

Aver conosciuto, ma non ancora incontrato, Madame Revanche. Che se vogliamo risalire ben bene alla genesi, tutti i miei ultimi casini sono venuti grazie a lei. Rendiamo grazie a dio.

16 luglio 2008, l'ultima volta che ho fatto colazione con una tazza di latte e caffè.

Scoprire una bottiglia di Johhnie Walker in casa, e non trovare nessun complice disponibile a condividere l'evento della sua iniziazione al palato umano.

Ross. che torna a casa in senso sia letterale che metaforico, e mi cercava e mi reclamava. Ross che mi dice "grazie" ed io le credo. Che se ne va, ed io sto male.

Mio nonno omonimo che dopo la sua solita partita a carte, nella quale mio zio lo lasciava vincere, disse plasmando vocaboli nella bocca sdentata : "Ho 86 anni, il diabete mi ha mangiato mezzo piede e non posso camminare, non posso mangiare dolci e bere il caffè, mi prendono in giro facendomi vincere a briscola, il partito socialista non esiste più. Che cazzo ci sto ancora a fare?"
Mi sorrise.
Morì dopo tre giorni.


La gente che non mi piace. Le vetrine dei negozi che non mi piacciono. La Coca-Cola che non mi piace. Le sigarette Winston che non  mi piacciono.
Proprio l'altra sera ho visto una carina, amica della sorella di una mia amica.
Scarpe pessime, andiamo avanti...

Una ragazza di notte che mi racconta la sua vita. Assolve senza guardarmi negli occhi situazioni e ingiustizie subite, definendole accettabili. Allevia così un po' di rimorsi. Condanna tutti, per non ammettere di aver incontrato persone sbagliate. Le tendo la mano, ma lei scappa via. Ed io che c'entro col resto del mondo?
Anche se faccio schifo, voglio far schifo per me stesso, non per una categoria.

L'oculista che chiede di parlare in privato con mia madre, e sembra impallidito e sudato. Incespica nel già discutibile eloquio. "Signora, ho visto delle macchioline sospette negli occhi di suo figlio. Non vorrei dire sciocchezze, perché parliamo di cose molto serie, ma credo che sia urgente fare degli accertamenti."

Grazie per avermi rovinato la vita, dottore. Oppure per avermi fatto fare un salto di almeno quindici anni in avanti? Ehm, è la stessa cosa.

Giuse', promettimi che sarai un bravo ragazzo. Addio.

Fatemelo incontrare, un'ultima volta ancora. Non ero pronto allora. Non l'ho mai neanche sognato. Chissà che cosa penserebbe, chissà che cosa penserebbe...

Le serate in solitudine, tante. I film di Nanni Moretti, i libri di Jean-Paul Sartre, le dispense di econometria, e Echoes nello stereo. Mandare a cacare tutti, ed arpeggiare Ninna Nanna dei MCR.
Momenti in cui si sta bene, con la parallela coscienza di andare nella direzione completamente opposta alla felicità.
E che grande il mio tempo, che bella compagnia.

La previdenza, la pensione, i soldi da parte, la macchina, la casa, la mediocrità.
Non per me. Per me prima la vita, nei suoi risvolti più misteriosi e dolorosi.

S.
Lo sai che in qualunque parte del mondo sarò, ed in qualunque tempo, penserò sempre a te, no? Non ti rimpicciolire più di quanto incautamente abbia già fatto il mondo. Non serve che te lo ribadisca in continuazione.
Lo sai che per me non sarai mai sbagliata e che non ti seguirò mai lungo la strada delle paure e delle incertezze, se non per trascinarti via da essa?

Mi raccontavano che sarà come una proiezione rapida e costante di immagini. E vediamole dunque. Che non ho mica paura di guardare in faccia alla verità.
Sempre sorridendo, e senza intenti disfattisti legati ad alcunché, ma io al suicidio non nego di averci pensato un sacco di volte. Solo per ridere di gusto, un'ultima volta.

Lessi da una parte, non mi ricordo neanche dove, "si vivesse solo di inizi". E ci rimasi a pensare. E no cazzo, no! Che senso avrebbe dilatare le cose verso l'inevitabile disgusto? Ogni cosa si adorna e si completa nella sua fine. Il limite che gonfia il ripieno del sugo della nostra vita che altrimenti si espanderebbe in una pozza atra esposto all'arido evaporare. Scomparirebbe perdendo la sua unicità.
Una melodia, è una catena di note che muoiono. Ed essa stessa muore.

Ho firmato un co.co.co con la mia età, solo non c'è scritta la data. Nemmeno la mansione.
Allora prendo il telefono odiato in una sera d'agosto, perché non posso fare altrimenti, e senza maschere, lascio al mio fiato ciò che vorrei si potesse cogliere in silenzio. Captare nell'aria che parla per me. E sono in pace, e sono felice.
Sereno che se si rescindesse il contratto non avrei di che lagnarmi pateticamente.

E vi guarderò scorrere quel che sarà.

Come litografie decotte.
Come lacrime scialbe.
Come il dolore avulso.
Come incontri negati e sorpassati.
Come la rivolta di un apostata alla rassegnazione.

Mi condannerò, o mi assolverò? Più probabile sarà che mi farò una risata, passandomi il pollice sulle labbra, ordinando un whisky.






per chi viaggia in direzione ostinata e contraria



col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità, di verità




Octopus & Rhinòkeros

Post deficiente giornaliero. Quello serio, tra un dataset e l'altro, lo scrivo ora che lo penso.

È più irritante sentirsi un mollusco? Oppure percepire una mandria di rinoceronti intenzionati a riempire il vuoto anale col proprio keros?

Che qui a furia di prenderla puntualmente in culo allegoricamente ci si è talmente stancati, che sarebbe preferibile prenderla in culo nel vero senso della parola.
Qualcuno dirà: eh però consolati pensando che grazie a tutto questo è possibile scrivere senza restare mai a secco di argomenti e riflessioni. Poi fai ridere... pagliaccio.
Sapete com'è morto Kant a forza di argomenti e riflessioni? Ecco, io non sto messo così male, però mi sono ugualmente saturato le palle.

Che poi uno si chiede: ma cazzo, sono davvero così fortunato? Arriverà un giorno in cui di me si perderanno per sempre le tracce, lo so. Più che una minaccia, pare una barzelletta. E allora poi mi si noterà di più se resto e me ne sto in disparte, o se non ci sono per niente?
Ah, piangi? Piangi forte, piangi parecchio, così andiamo pari con quello mio dell'altro giorno... Piccola perché piangi, perché sono un grande artista?

- Allora parti? Lo fate fuori Roma questo film?
- Sì...
- Parti?
- ...sì...
- Silvia, perché non resti? Perché ci dobbiamo lasciare?
- Ma chi l'ha detto?
- Cosa, chi l'ha detto?
- Che ci dobbiamo lasciare?!
- Silvia resta, poi... leghiamo anche sessualmente...
- ...
- ...Ma quando i miei non mi mantengono più, che cazzo faccio io?







Il nostro non è un rapporto nuovo, non è un rapporto.


Intanto un avviso a tutti coloro che giungono in questo blog digitando: "cielo estivo sirio" su google.
Sirio non si vede in estate, ma a partire da ottobre. A tarda notte, anche.


martedì 19 agosto 2008

Bella Sbronza





Fumare sia sigarette che sigari è come mischiare vino e birra.
Soprattutto quando fumi i suddetti dopo aver mischiato vino e birra.

A stomaco vuoto, senza aver più fame.

Prendi un Magritte e goditelo pezzo per pezzo. Prima una sagoma, poi un sussurro, poi un ricordo, poi un saluto, poi una foto, poi un gesto, poi un'attesa, poi un lungo silenzio prima del botto.

Ah, dimenticavo, le metafore non si capiscono.

Arriverà mai, il maledetto conato? Perché la testa non è che mi gira così tanto...

- Che prendi Alcor?

- Un ACE rosso, con ghiaccio, che poi devo masticare i cubetti.

Ora sì che mi sto sentendo male, cavolo.
Come Mastroianni anni fa, sono un nuvola tra poco pioverà, e non c'è niente che mi sposta o vento che mi sposterà.

Che buffo, oggi ho scoperto che provo persino pietà per alcune situazioni. E pertanto non perseguo i miei cinici interessi. Se fossi meno attento a non lasciare morti e feriti mi divertirei molto di più.
Eh sì, sono anch'io vittima e schiavo di sciocchi retaggi.
Oppure sono gli altri? Perché se non ci fossero questi assurdi retaggi le cose sarebbero molto più leggere... ce la spasseremmo senza odiarci, cavolo.

Anche oggi non ho combinato un cazzo.

E non mi stanno comunicando niente, americani bastardi. Non vi illudete, con Obama non cambierà niente.

Rivoglio il mio Go-Kart, e rimpiango l'analfabetismo dilagante.

Non c'è dubbio, io della vita non ho capito un cazzo.


Cristo, oggi sta pure moscio.

lunedì 18 agosto 2008

Summer has come and passed. Happy New Year

Non mi era mai capitato di salutare le persone con le lacrime agli occhi, e con le parole abortite in fragili bisbigli.
Eppure ci sono rarissimi momenti in cui riesco persino ad assegnare un valore ai "grazie" che mi vengono detti senza sentire un vago odore di sterco e un retrogusto di presa per il culo. E ieri è successo, forse per l'unica volta nella mia vita. A provare una specie di dispiacere paragonabile all'asportazione immotivata di un polmone senza anestesia, e di sentirmi improvvisamente talmente solo come se a sparire fossi stato io stesso.
Non riuscirei mai ad immaginare la mia vita senza di me. Per questo sono un disadattato, in un mondo dove la maggior parte delle persone vive senza rendersi conto di esserci.


Perché uccidere tutta questa gente che è già morta? Le parole dell'Erostrato mi riecheggiano spesso, non posso farci niente.

Da oggi si doveva ricominciare: sveglia presto, studio, chitarra nella apposita custodia, la pelle abbronzata che viene via a brandelli dalle spalle, rassegna stampa internazionale ridotta a timide occhiate per non perdere troppo tempo, resoconto rapido delle occasioni mancate per futili motivi, la sfortuna di un weekend alternativo saltato improvvisamente, le riunioni del Partito Democratico in agenda, che tornano a ridimensionare i tentativi di fuga asociale di stampo rousseauniano.

Gli ultimi giorni sono andati così, a perdere tempo nel programmare serate e rimpatriate vane durante la mattina, e a disattendere i programmi fatti, dopo il tramonto. Con le donzelle a crogiolarsi al sole con il maledetto oggetto tecnologico ficcato nelle orecchie che dava fiato a spasimanti di vario genere, ed io e il mio compare di ebbro-filosofiche conversazioni a sfidare onde e bandiere rosse balneari come i fratelli Paladini.
Ci guardiamo intorno alla ricerca di una Isabella Ferrari da salvare, ma non c'è. E di sicuro ci saremmo accapigliati su chi tra i due avrebbe interpretato il famigerato ruolo, lasciando che l'
ipotetica sventurata affogasse durante la nostra colluttazione.
Gironzolando poi con una vecchia Panda Young toccando i 120 Km/h, ma avendo come l'impressione di oltrepassare la velocità di fuga.
E come sottofondo ai titoli di coda, un violoncello suonato a guisa di Jimy Hendrix.
Per chi non lo sapesse ancora, l'astro luminosissimo che si vede durante la notte attraversare il cielo a sud, è Giove.
Guardatelo, e pensatemi.
Anche Tu, scema che non rispondi alle mie telefonate, guardalo e pensami.
Miope.

Questa estate finisce con un rimpianto enorme.
Un'attesa che è terminata contro un muro, come un sorpasso della mia vita interiore su quella possibile che si è spento oltre il guardrail, quando vivi ogni cosa a velocità assurde e prestando poca attenzione alla propria completa incolumità.
Se fossi un bugiardo direi che questo rimpianto assomiglia ad un paio di stivali che ho lasciato perdere in un negozio milanese.
Se fossi sincero, direi che invece gli stivali donano molto al mio rimpianto estivo. Con le mani in tasca e la gonna.
Capa di cazzo, se non mi piace la gonna.

Era quella parte di me sconfusionata e infinitamente libera. Quella che ti piomba dentro casa per una telefonata e ti trascina via con sè, ridendo a crepapelle su ogni cosa che sembra svolazzargli sotto il naso.
Scopri tante cose ribaltate, e convinzioni cristallizzate che crollano liberando una luce autentica.
Domani, intanto, sempre a bordo della immaginaria Lancia Aurelia B24, potrò avere un quadro un po' più nitido sulle curve cieche di questa mia vita; un domani che rincorro dal 13 novembre 1982, il giorno in cui ho smesso di stare oziosamente tranquillo.
I miei anni ed i miei periodi non seguono il ritmo dei calendari. Scorrono stagioni a seconda dei mutamenti esistenziali e agli scatti che sento fare all'età. Come un nuovo cerchio nel tronco di un albero che mi pare di sentirmi affusolare nelle ossa.
Oggi, pertanto, è un tipico ultimo giorno. Perché lo so già che in ogni caso non sarà niente uguale a prima.
Le cose più memorabili della mia vita sono sempre capitate il giorno 18.
Il giorno 18 ottobre 1998, ad esempio, ho scritto la prima pagina di cui non mi sono vergognato in vita mia.

Alcune cartoline tra i miei ultimi "diciotti":
- una voce che mi dice "pronti" per la prima volta al telefono;
- io che scatto felinamente dalla panchina, e mi nascondo celermente dietro un'edicola alla vista della persona che attendevo, e mi chiedevo tremante: "ma che cazzo ci son venuto a fare fin qua? Sono completamente pazzo...", la prima volta che qualcuno è riuscito a destabilizzarmi così prepotentemente;
- gli occhiali da sole persistenti per essere riconosciuto (col cazzo che hanno funzionato...), ed io che mi sentivo ciecato;
- arrivai io, ed il temporale lasciò posto ad un tempo splendido: non c'è dubbio, dovevo nascere in una mangiatoia;
- i balbettii inopinati, gli "ehm", gli "ahhh", gli "hiiii", gli "hhhhh" perché non sapevo che cazzo dire, e mi affidavo ad inverecondi vocalizzi;
- sentirmi un idiota per il solo fatto di aver duvuto dipendere dalla capacità altrui di comunicare coi camerieri, non conoscendo io la lingua;
- che belle labbra, santo cielo... che ci avrei combinato...
- le foto che mi hai cancellato, bastarda.

Fottuto completamente nel trattenere una risata fragorosa nel constatarmi più lento nel mangiare, di sentire che non si mette il sale sulle patatine fritte per non ingrassare.
Fottuto completamente la mattina al supermarket tra i funghi, le banane, e gli yogurt, mentre guardavo quelle manine tra i banconi dell'ortofrutta e volevo ridere in tutte le lingue del mondo.
Fottuto completamente ogni sera.
Fottuto completamente quando intimai di lasciarmi il braccio adoperato come stampella, essendo che le scale erano terminate.
Fottuto completamente quando mi chiedesti: "ma c'è qualcosa che non sai?". Ed io che molto poco intellettualmente ti guardavo le cosce, quei particolari visibili.

Fottuto completamente ora, che sto ancora qui.
Per questa ragione non mi merito la mangiatoia: umano, troppo umano.

Mollusco di merda. Inevitabilmente costretto a fare il cattivo.
Ecco. 92 giorni.


3







La tua assenza ha molte vittime

Io che non so più aspettare
Crollano chiese infallibili
Sulle spalle degli eroi

Notte che già scioglie i vincoli
Scopro al vento il mio dolore
Colmo il vuoto con i simboli
Mentre fuggi via da me




Le distanze possono andare a fanculo. Ma sentirsi profanare come un coglione è una sgradevole, dolcissima, inevitabilmente splendida, sensazione.
Io non forzo un cazzo, ma neanche mi sottraggo.


Io dove sarò
Tu dove sarai



- Da Amalfi a qui in due ore e mezza?!

- Eh sì, me so' fermato dieci minuti per cambiare le candele!

(le distanze diventano piccole piccole)



domenica 17 agosto 2008

Scopiazzando tra i dubbi





Ieri sera un'eclissi di luna.
Oggi saluto un po' di persone.
Ho preso un biglietto di sola andata, e presto mi rimetto in viaggio.
Strani sguardi mi ignorano con la stessa intensità con cui accompagno alla porta la serenità, via dalla mia vita.

Vivere verticalmente le cose vuol dire che il tempo è esonerato dal figurare tra i parametri di qualsiasi giudizio di merito, o semplicemente di essere ammesso a sindacare sui risvolti di una speranza, pur non condivisa: è più importante immergersi più a fondo, senza curarsi di quanto tempo dura l'immersione. A volte basta solo sfiorarlo il fondale e portare via un pezzo di quel mondo che in superficie non vedrai mai.

C'è un gabbiano che vola basso e non si tuffa. Secondo me ha paura del mare... il mare è profondo. Il mare è reticente. Il mare è ad una breve ma invalicabile distanza.
Il gabbiano spesso le metafore non le capisce.

Cielo e mare hanno lo stesso colore.

Non ricordo più il timbro della voce di dio, o forse era solo un racconto su quel libro dalla copertina gialla, che mi veniva letto prima di addormentarmi?
Il confine tra la veglia e il sonno è un sonaglio dai molteplici inganni.

Quando si danno nomi alle cose, esse diventano più pesanti, e cominciano a comparire come pustole sulla pelle. Laviche croste che emergono in un'aiuola di gelsomini.

Parlo. Percepire la gente che pende dalle mie labbra mi adula, e mi annoia. Ogni volta che la gente è d'accordo con me provo la sensazione di avere torto.

Quanto più le mura altrui si ergono alte e possenti  a difesa di un tesoro bello ma non introvabile in altri mondi, tanto più non reggeranno gli equilibri smossi da una corrente che non si sconsola coi pilastri di sabbia.
Forse resistono e si afferrano l'un altro, ma saranno preda dei rimpianti.
Siamo speciali, ma non eterni, e non siamo custodi di alcun infinito per cui ci è dato immaginare folle di intrepidi avventurieri che ad esso agognano senza spegnersi.

Il gabbiano le metafore, spesso, non le coglie fino in fondo.

Spargere dubbi e destabilizzare è un divertimento a cui non so sottrarmi. Che mi sia perdonato, in una cornice dove non c'è spazio per alcuna altra forma di coivolgimento.

Ho un biglietto di sola andata, stavolta.
Dite a mia madre che non tornerò.

giovedì 14 agosto 2008

À bout de souffle (Lait et dérivés)

Mi avete rimproverato un giorno di essere troppo teso, di non saper lasciarmi andare con noncuranza.
Ci avete anche insegnato a viaggiare.
Dopo questi appunti di viaggio, che vi offro con cuore fedele, non potrete più rimproverarmi d'essere incapace di facile abbandono
.


(Jean Cocteau)


Negli ultimi dieci giorni ho scritto tre racconti.
Il primo narra di un tizio che incontra una ragazza in treno. Lui ha le dita delle mani perfette, ma non da sempre. Lei leggeva un quotidiano. Ne resta limitatamente ammaliato pur senza rivolgerle la parola; così le fa capitare un biglietto nella borsetta, tanto sa che non la rivedrà mai più. Qualche giorno dopo, invece, si incontrano casualmente, ed è lei a riconoscerlo. Gli riporge il biglietto a guisa di invito malizioso. Vanno a letto insieme e lui la uccide subito dopo, strangolandola nel sonno.


Il secondo è la storia di un giovine estremamente ansioso ed insicuro che passeggia per le vie di Bologna in solitaria. Si pone domande ridicole sulla vita e sul mondo, prova ad immaginare quale sorte l'avrebbe atteso se non avesse commesso alcuni errori. Sembra attendere sconsolato che qualcuno finalmente si accorga e si ricordi di lui. Gli squilla il telefono ed improvvisamente gli si illumina il volto al punto che smette di pensare. Cavolo, è una persona importante! Non risponde, e lo lascia squillare. Vuole esser certo che non si tratti di un errore. Il telefono riprende a squillare, è la stessa persona che lo cerca. Gli squilli sembrano più urlati e urgenti. Accidenti, sembra proprio che questa persona ci tenga davvero... meglio non sembrare eccessivamente lieti: non risponde anche stavolta. Respira un po' e si aggiusta i capelli, ha come l'impressione di essere visto e vuole sentirsi impeccabile. Trema ed ingoia rapidamente un mucoso grumo di agitazione. Prova a richiamare lui questa volta, e cominciava già a fantasticare, provando a sfornare una scusa nuova di zecca per non averle risposto prima.
Lei risponde immediatamente senza dargli il tempo di prender fiato e di sorridere, e di illudersi.

- Pronto...
- Ciao! Scusami ho fretta. Spresti dirmi se il biglietto del treno Milano-Bologna delle 13 lo posso utilizzare anche per il treno delle 11?

Tutto qui, l'inganno. Lui, un informato figlio di ferroviere e basta. Non una persona, non un pensiero a costei perennemente e nostalgicamente rivolto, ma solo un'uniforme da figlio di ferroviere cucita addosso come una pelle.

Il terzo è la storia di una donna indecisa, e di un maestro. Non so se sarà uno sfigato maestro di vita, o un maestro di scuola elementare, ovviamente precario.

Ricapitolando.
Sono state giornate furibonde senza atti d'amore.


Trascorro gli ultimi giorni di luglio in attesa della cavallina storna che portava colei che non ritorna.  Mai l'uomo è così attivo come quando non fa nulla, mai meno solo di quando è in compagnia di se stesso.

Nel frattempo provo a dedicarmi anima e corpo ad assecondare le lagnose bizze di un signorino alto un metro e trenta che si è maldestramente improvvisato mio capo. Mi commissiona il lavoro da svolgere tramite un sms autodistruttivo, come in Mission Impossible. Adducendo il fatto che, in caso di mia prematura scomparsa, egli negherà d'avermi mai conosciuto. Li mortacci sua. E proprio di una missione impossibile si tratta, dover ultimare una ricerca in tre giorni quando vi occorrerebbe almeno un paio di settimane.
I miei occhi, così già fortunati nella vita, si scioglievano nottetempo sulla cute della mia faccia, come la voglia di
Gorbačëv; fino alle 4.00 di mattina davanti al computer, anziché dormire, ma sempre nella costante e vana attesa della cavallina storna che portava colei che non ritorna.
Completo egregiamente il mio lavoro, anche se mi sento più cieco io del detentore del record mondiale di seghe giornaliere,
tempori serviendum est.

Divento estremamente vizioso in tema di tabacco. Non riesco a fumare altra roba che non sia firmata Marlboro, e comincio a nutrire un ribrezzo epistemologico nei confronti delle Camel e di coloro che le fumano.
L'autotassazione giornaliera comincia a bruciare il mio prodotto interno lordo personale, e i bronchioli.
La macchinetta self service delle sigarette diventa la compagnia più fedele dei miei giorni. Non l'amica bona, non l'amica bona della mia amica bona, non i compagni di partito, nemmeno colei che non ritorna con la cavallina storna. Ma una cazzo di macchinetta che mi avvelena giornalmente senza dirmi di no, a cui riesco persino a perdonare la cronica e scientifica mancanza dei 5 centesimi di resto.
Pensando che, fino a qualche tempo fa, la macchinetta distributrice di parchi prodotti che mi era più confidente era quella dei preservativi, mi cospargo il capo di una tristezza lancinante.
Ero ubriaco e avviluppato in fragranze alla grappa, e non potevo sapere:
- Ehi, baldi giovini, guardate che bel culo si può scorgere da questa soglia...
- Ehi, Alcor, vedi che quel culo di  cui elogi le fattezze hai già avuto modo di apprezzarlo da molto vicino per quasi cinque anni...
- Ah... non me ne ero accorto che fosse esso.
Perché la nostalgia più atroce è quella che cogli in ciò che ti mancherà da sempre, che non hai ancora mai avuto. Quello che è alle spalle non vale più di un tirnese borbonico.

Senza rimandare i piaceri e i doveri, prendo atto della necessità di una specie di risorgimento psico-fisico e mi affido alle sapienti mani di un medico. Ho frequenti giramenti di testa, vertigini e nausee di vario genere. La prima di queste mi sovviene vorace quando mi soffermo a meditare circa la mia famiglia.
La seconda, nella scala cacacazzi, mi sovviene quando penso che in Italia fa più opposizione un'editoriale di Famiglia Cristana che un butt d' sang* di Partito Democratico; infine la terza, beati gli ultimi perché nella mente dell'onnipotente saranno i primi, sono un merdoso monotematico e perciò mi taccio,
rumores fuge, ne incipias novus auctor haberi: nam nulli tacuisse nocet, nocet esse locutum.

Sono vittima di retaggi oscurantisti, e tengo ad ingenerosa distanza una rossa riccia che si ostina a mettermi le mani addosso. Ci troviamo per caso una sera in una cittadina molto bella. Ballano il tango in piazza. Io non so ballare, ma chi se ne frega. Propongo a costei di darci alle danze, e lei mi abbraccia senza farselo dire due volte. Si ravvede circa la nostra incapacità e si rifiuta, ma le mani di dosso non le toglie. E sono costretto a fare la persona scortese.
E mi deprime constatare che quanto più le scacci, costoro più ti inseguono. E vale anche il contrario. Porca puttana che sfiga.

Se è così, allora: "TU CHE MI STAI A FAR GIRAR LA TESTA COME GLI ANELLI DI SATURNO, PUSSA VIA, NON TI VOGLIO PIÙ SENTIRE!!!".

Ma ho il sospetto che sia troppo tardi, cacchio. Non sono credibile. Che bell'inganno sei anima mia, e che bello il mio tempo che bella compagnia.



Comincia intanto un novello New Deal anche per me. E comincia dalla colazione. Elimino il latte ed i derivati per circa due settimane e vediamo l'effetto che fa.
Ammiro Franklin Delano
Roosvelt e perdo, senza fare un cazzo di niente, oltre cinque Kg in manco due settimane.
Tempo di urlare al miracolo, di benedire gli enzimi duodenali rinfrancati, e la foga autolesionista galoppa come
Jolly Jumper. Questo a testimonianza del fatto che, sebbene a sette anni leggessi il bolognese Guido Guinizzelli, mia gentil donzella di pregio nomata, qualcosa che mi fosse pascolianamente coerente in tenerà età l'ho subita anch'io.
E dunque, mi ritrovo a mangiar zuppe di orzo, farro, legumi e verdure, carote, insalate di ortaggi e poco olio, basta con l'aceto, meglio il limone.
Se mi guardo con gli occhi di ieri mi piscio dalle risate. Se mi guardo con gli occhi di domani mi dico: "ma sei scemo? Mi deludi, ed io che pensavo che volessi accorciare questo involontario soggiorno..."
In compenso, così per farmi un po' del male, smetto di fumare improvvisamente sigarette e mi dedico con letizia al Toscano aromatizzato alla grappa.
Che, detto tra noi, fa schifo. Ma deve piacerti per forza dopo che spendi 8,00 euro per due pacchetti. E poi, non vogliamo considerare l'effetto collaterale sopraggiungente nella morbosa esigenza di strangolare il deficiente che te li ha consigliati?

Ed è tra queste tresche impudiche e masturbatorie che mi accinsi, l' 1 agosto alle 8.36, a prendere il treno per Milano. Milano, sempre là vado a finire. Avrei potuto sostenere l'esame del Toefl dietro casa mia. Ma io sono fanatico, e Giffen mi fa un baffo. Perché in attesa dell'euro forte che mi consentisse di risparmiare l'acquisto dell'esame in dollari, ho atteso troppo per la prenotazione. Per restare, come prevedibile, col culo a terra. E dover poi risalire lungo la patria sbilenca sino a Mediolanum.
Ora, il Toefl non attesta un cazzo sulla conoscenza della lingua, ma è un ottimo indicatore per misurare quanto conta avere culo nella vita. Molto più che Match Point di Woody Allen.
E giacché ci siamo, possiamo dirlo che in quel film i personaggi sono tutti dei poveri idioti, pur essendo l'intreccio molto valido. Woody Allen ci gioca molto con questa abbietta piccolezza umana.

Torno da Milano e mi sento una persona felice. Lo sono sempre quando trascorro anche un minimo lasso di tempo in perfetta solitudine. E me ne vo in vacanza.

In questa vacanza scopro che: ci sono persone che durante l'inverno si esercitano a giocare a racchettoni, a rassodare il fisico, e a seguire delle winter school of beach volley. Perché non mi spiego altrimenti come cazzo fanno a sembrare così estremamente perfetti nel praticare 'ste partitelle.
Scopro di avere un talento atavico per il ping pong, che si aggiunge a quello già sperimentato per la bocciofilia ed il bowling, insomma, tutte discipline ad alto tenore motorio.
Sono talmente simpatico che l'amica
splendidiocchiverdi non capisce un tubo di quello che dico, ma ride per il semplice fatto che io le parlo senza sosta, e quando non ride si stupisce perché mi vede leggere l'Economist sulla spiaggia.
Devo evitare di andare a letto vestito solo con i boxer quando mi ritrovo a dormire in un Bed & Breakfast ubicato in un sottoscala denuclearizzato e deossigenizzato con tre donne intorno, perché la mattina mi destavo con evidenti ed imbarazzanti promontori. Sarà stata l'umidità...
Le zanzare mi rompono le palle per il ronzio e non per le punture, anche loro hann' à campa'... ma se fossero silenziose sarebbero meno irritanti.
Quando ballo la pizzica mi trasformo in un tank sovietico, Hulk a confronto è delicato come un frate certosino.
Quando balli la pizzica e pensi alla cavallina storna che portava colei che non ritorna, ti prende un'angoscia peggiore di quella che ti ammorba quando devi prelevare urgentemente ad un bancomat fuori servizio. Comprendi lì, quanto sia inappagante la vitae di come il tempo giusto per vivere le cose non sia una variabile esogena.

La mia misantropia raggiunge vette tibetane quando si comincia a criticare il mio stile di guida Ayrton Senna, non tenendo presente che io sono un pilota di F1 prestato ad una esistenza indecente.
L'amico volenteroso vuole apparire a tutti i costi pure efficiente, così si adopera di nascosto a preparare i miei sigari toscani con una lametta da unghia, per farmi un gradito omaggio. Risultato: sigari triturati come le spezie di Pietro Gutierrez, lametta da buttare, ed io furioso come Marcellus Wallace dopo la sadica esperienza anale con Zed.

- Who's Zed?

- Zed's dead, baby, Zed's dead...
 
Odio la gente che non pulisce il bagno, soprattutto le donne che disseminano i capelli in ogni dove.
 
Torno dalle vacanze, più scazzato di quando sono partito.
Ho perso la voglia di scrivere e la voglia di di tenere gli occhi aperti. Ho la necessità impellente di acquistare un'armonica cromatica.
Trascorro la notte delle Perseidi con due amici degni di questo nome a mangiucchiare, e a fare incetta di grappini e amari lucani, discettando di FDI, Doha round e politiche di riequilibrio in seno al WTO.
Divento un lettore del quotidiano
Haaretz.

Scopro che Pravda, quello che una volta fu il giornale organo di informazione del PCUS, oltre al cirillico ha una versione in inglese, portoghese ed italiano. Ma ovviamente la versione italiana è rimasta ferma da mesi e non viene aggiornata. Però mi sento ugualmente, sinceramente commosso.

Attendo. Mi rompo, ma attendo,  e chi se ne frega.

Mi decido ad andare una mattina al mare sulla west coast japigica direzione sud-ovest. Come un tempo, salutati i parenti onnipresenti, mi appallo, e decido di abnegarmi in una lunghissima traversata a piedi del lungomare alla ricerca di un'edicola che mi consenta di sfamare la mia brama da lettura.
La querelle
Putin-Saakashvili è una delle vicende più intriganti e pericolose degli ultimi anni. E sono curioso di leggere come i giornali italiani trattano queste storie, quanto siano così depistanti e ineducativi.

Durante questo tragitto mattutino penso che mi piacerebbe allungare i tempi di queste vacanze strane, ed in preda ad un barlume di gemmazione esistenziale, mi faccio venire qualche idea, ho un invito per Dublino, uno per la Calabria ed uno per Siena.
Ma ho una vicenda in sospeso, ed io sono purtroppo onesto, ragion per cui nella vita arriverò sempre secondo alle spalle di qualche figlio di puttana, meno accorto e meno sensibile.
A prescindere dall'esito, a me piace vederci nitidamente, almeno ho la possibilità di errare, perché se comincio ad elucubrare va a finire che ci indovino, e mi secca molto,
noli tu quaedam referenti credere semper: exigua est tribuenda fides, qui multa locuntur

Chiedo delicatamente lumi, con tutti i convenevoli contorni del caso di cui preferirei fare a meno,  a chi di dovere, per porre fine a tali vicende sospese nel limbo del "nonsochecazzofare " oppure "forselosomanontelovogliodire". Situazioni ambigue che generalmente non sono da annoverare tra le mie caratteristiche.
Ricevo dunque la cattiva notizia
quotidiana. La incamero con la stessa beatitudine di un succhiotto sull'orecchio da parte di Mike Tyson. È dolce. Sono indeciso se deprimermi per questa ragione, o perché un mio compare mi chiama comunicandomi di essere anche lui lì al mare, rendendo cosicchè inutili i chilometri fatti per leggere gli articoli di Vittorio Zucconi, che mi lasciano sempre un'espressione basita sul volto.
Dico al mio amico di attendere, e dopo aver letto il quotidiano, lo raggiungo e propongo una lunga passeggiata along the coast.

Durante i bellissimi anni di liceo, eravamo soliti passeggiare lungo quel litorale, parlando di relativismo etico, di incomunicabilità, di traumi post-adolescenziali conditi in salsa kierkegaardiana, di sogni alla meglio gioventù.
Ci ritroviamo nella medesima situazione, ad anni di distanza, coi capelli grigi. A parlare di stronzate. Disillusi e vecchi prima ancora di avere la certezza se saremo mai adulti. Circondati da adulti che non sono mai ancora nati. Non è un pensiero incoraggiante, perché esso amplifica quella breve e invalicabile distanza verso il mondo.
Il massimo della saggezza di cui siamo stati capaci è stato giungere alla conclusione che le donne quando cominciano a dire stronzate non vanno assecondate, ma pesantemente redarguite, se necessario, muniti con oggetti contundenti.
E poi, che Veltroni ci ha delusi tutti. Che la raccolta firme del PD è una cazzata deprimente, e che la profezia di Gaber si è avverata: non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me. Ed è quello che stiamo diventando tutti, piccoli caimani schifosi.

Divergevano, invece, le nostre opinioni sulla perfezione della morfologia femminile. Prendiamo a modello la mia migliore amica, che è un gran bel donnino, la quale mi legge e che pertanto saluto. Secondo me sta bene così, impercettibilmente più tonda, secondo lui invece dovrebbe dimagrire.
E non ci schiodavamo dalle nostre rispettive posizioni, quasi ci picchiavamo. E avrei voluto affogare prima lui e poi me, perché ci siamo ridotti in questo stato di decomposizione cerebrale avanzata.

Lui scenderà in piazza ad ottobre alla manifestazione del PD. Io non lo so.
Allo stato attuale pronostico un immane flop e vi sono segnali forti in tal senso, non ultima la campagna di boicottaggio interno al partito. Mi duole annunciarlo, ma Veltroni ormai è una lame-duck, a meno che non subentrino colpi di scena a cui la politica italiana ci ha abituato. Ma ne dubito.
Sarò paranoico, ma sono davvero stanco di vedere questo dispiegarsi della vita così superficiale, così disinteressato e acritico. Criticare coi paraocchi e per atto di fede, criticare, criticare con una volgarità di atti e infestata disillusione, che non ha nulla da invidiare alle sparate della Guzzanti.
La volgarità è la forma più spregevole di schiavitù verso un padrone ignoto e accomodante. La responsabilità, i sentimenti, sono un libertà che costa fatica. Nel mio caso, una perdita di tempo.
Orsù! Scendiamo in piazza! Protestiamo!
E le pecore, senza sapere perché, scendono...
cedant arma togae, concedat laurea laudi. Che tristezza.

La minoranza, guarda silente, e si dispiace.

Ieri sera mi sono sentito male. E ho pensato ad un verso di Lou Reed: you just keep me hanging on... e mi sono sentito davvero misero. Ché il mio primo pensiero la mattina non avrebbe mai dovuto essere un volto di una persona, ma il rimpianto per quei tazzoni di latte e cereali che non posso più mangiare.
Quello sì, che razionalmente sarebbe un pensiero per cui star male. Il guaio è che non fa male più niente. Voglio soffrire, voglio il dolore, e non mi viene un cazzo di niente.
Solo un fastidio sottocutaneo che non è abbastanza eloquente nella sua pratica irritante.

Bevo un bicchiere d'acqua la mattina, sperando che sia un sorso d'umanità. Provare un briciolo d'amore per qualcosa, e per la vita che mi è sprofondata nell'indifferenza.
Non mi abbattono neanche le risposte che non ricevo.
Ditemi come si fa ad imparare a decidere, pronti a sorridere a chi non ha voglia di noi.

Quell'ignavia che pare circondarmi e rifiutarmi. Le stronzate pseudo-consolatorie che mi tocca ascoltare e ingerire come un boccone acido e clandestino, che non paga dazio sulla lingua, e viene ingoiato per porre fine all'idea che esso persiste tra le cose fisiche e materiali.
Non danno pace, non hanno sguardi né pietà, tra le voci di rimorsi e pentimenti.

Stamattina ho fatto una piccola passeggiata con una persona che ho recentemente rispolverato dal passato. Parla e mi annovera in una triade di persone da cui non vorrebbe separarsi mai.
Mi è cara, ha segnato un periodo bellissimo della mia vita, quando ancora mi spuntava a stento la barba.
Sono felice per lei. Sono felice quando c'è lei, e quando ci sono ancora quei tre o quattro, non di più.
Un bene che è solo mio, che non mi importa di sapere se è reciproco. Di cui non mi frega un cazzo conoscere la dimensione. Perché dalla mia gabbia di parole vuote ma doppiate non c'è scampo.

Odio la gente quando dimostra di volermi bene. Perché vuol dire che non ha capito un cazzo di me.

Lo so, tutti coloro che scrivono sono un po' matti.  Il punto è rendere interessante questa follia (François Truffaut)





mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni

mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani

che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo




* butt d' sang: intercalare dialettale che denota sfinimento e rassegnazione


martedì 12 agosto 2008

Quelle cose difficili






"...Mi trovi sadico?
Sai, scommetto che adesso potrei friggerti un uovo in testa, se solo volessi. Sai bimba, mi piace pensare che tu sia abbastanza lucida persino ora da sapere che non c'è nulla di sadico nelle mie azioni.
Forse nei confronti di tutti quegli altri, quei buffoni, ma non con te.
No, bimba, in questo momento sono proprio io, all'apice del mio masochismo..."


Bill

Forse bisognerebbe chiedere manforte ad Italo Calvino, e ad uno dei suoi libri meno noti.
Comunque, evidentemente sì, qualcosa l'abbiamo sbagliata.
Io di certo sì.



lunedì 11 agosto 2008

What a beautiful life!

I was spinning round a dead dial
Just another lost number in a file
Dancing down a dark hole
Just searching for a world with some soul







Come sto? Malissimo, grazie.

Al netto delle stronzate che vado dicendo in giro, e delle cose che per fortuna non sto scrivendo.
Potrei fare un sunto delle faccende attuali, a partire proprio da questi silenzi calcificati intorno alla bocca e alla penna.
Ho uno squarcio sul labbro inferiore che il sole mi ha aperto in questi giorni trascorsi nella disincantata esposizione all'arsura.
Dovrei cominciare a dare un nome alle cose, e a cassarle dalla mia esistenza con la stessa metallurgica severità con cui ho pedissequamente rimosso ogni minima cosa che fosse percepita un tantino fetida dal mio olfatto.
Non ho mai tollerato le mediazioni e le menzogne.

Ho definitivamente certificato che i viaggi in treno all'andata sono un massacro per il mio deretano, persino quando ti ritrovi di fronte una italo-svizzera che riesce ad arrivarmi all'altezza naso; e che riesce a incuriosire la mia distratta attenzione quando si scioglie i capelli, quando la si sente parlare un italiano perfetto, ed un naturalissimo tedesco. Quando dalla sua borsa che si era inavvertitamente piegata sulle mie scarpe, ella tirava fuori una rivista scientifica anziché il solito sterco in cellulosa. Chiede scusa per aver sfiorato le mie ritraenti caviglie, e sorride.
Non rispondo, e procedo oltre nella mia lettura.

"Odio le ipocrisie. Tutto ha un motivo, non esistono pensieri e sensazioni oltre i quali non si annida un'attesa utilitaristica."

Penso questo mentre scrivo un haiku, tamburellando le dita davanti al finestrino del treno da cui s'emana l'aria condizionata. All'altezza di Ancona è il paesaggio che preferisco.

Ho il presentimento che la trasferta lombarda sia stata la mia Waterloo definitiva. Non appena mi sarà notificata la disfatta, la prima della mia vita professionale dacché questo soggiorno iniziò, potrò finalmente sperare di riuscire a ubriacarmi sul serio.
Che ignominiosa disdetta: massacrarmi costantemente il fegato senza approdare alla fatata condizione di spegnere le meningi per qualche minuto di completa incoscienza.
Inquinarmi le ghiandole che, senza licenza alcuna, dovrebbero filtrare la tossicità dei miei vizi, senza però godere di alcun beneficio a breve termine...

Quando mi giungerà la perniciosa missiva di rigetto, dunque, farò un giro intorno alla mia scrivania in cui maledirò la mia indolenza ridendo a crepapelle sulla mia assoluta efficienza nel riuscire a rovinarmi la vita e il futuro per delle minchiate.
Per ora mi contento di stare a brache calate controvento, in attesa che soffi l'empio turbine della vita, e, in posa alto-defecante, attendere che questo soffio punitore mi si ficchi in culo, come da copione.

Tre giorni di tregua sorridente. Baci, abbracci, tante risate. La tranquillità di aver tenuto le omittenti mani al loro posto nonostante la tentazione, anche questo come da copione. E quella sottilissima rottura di palle che serpeggiava comunque a ricordarmi, caro idiota, che non si sfugge.
Torno a casa appena in tempo per scoprire che un mio coetaneo, un tizio che veniva alle elementari con me, è morto stroncato da una leucemia fulminante.

Si dice che i genitori non gli avessero detto nulla che di lì a poco sarebbe sparito per sempre da ogni velleità esistenziale, fisica e metafisica. Gli hanno allungato l'illusione della vita, e gli hanno contestualmente confezionato un ingente pacco sorpresa.

Era uno di quelli con cui, da piccolissimi, si rischiava di litigare perché lo trovavi visceralmente antipatico, con quella cantilena tipica e sdegnosa, e la S moscia. Le lentiggini, e gli incisivi storti. Effettivamente sembrava effemminato.
Non lo vedi poi per anni ed anni.

Lo ritrovi dopo tanto tempo, la sera di un ridicoleggiante 8 marzo di un paio d'anni fa, in un negozio di fiori. Io cercavo il proprietario di una macchina parcheggiata davanti al mio passo carrabile. Lui comprava un mazzo di mimose con tulipani e margherite.
Una tizia da qualche parte attendeva prevedibilmente quel mazzo di fiori che lui riponeva con cautela, sorridente, sul sedile posteriore della sua Punto grigio topo. Dopo avermi salutato con un filo di voce, quella che trapela dopo che gli anni hanno seppellito persino la convinzione che ci si riesca a ricordare di essere stati bambini insieme.

Di lui ricordi solo le enormi tette della sorella che hanno fatto letteratura quando la ritrovavi nei caldi pomeriggi di maggio a lavare la scalinata di casa, e piegarsi per strizzare lo straccio nel secchio d'acqua sporca, mentre  tu correvi zoppicante dietro ad un pallone che scivolava via.
Istantantanee riprese tra i ragazzetti che hanno da poco superato la decina d'anni di soggiorno, e cominciano a subire il fatale richiamo dei primi pruriti di felliniana memoria.


Una generazione quasi completamente composta da soldati e operai disillusi in partenza, e poi da qualcuno che ha continuato a studiare sperando che servisse a qualcosa. O forse per l'inerzia di un destino che non ha mai consentito voce in capitolo. Forse per imitazione, forse per imposizione, forse perché doveva andare così.

Che le cose vanno tutte così, a cazzi loro. Nonostante le seghe, nonostante gli arcigni tentativi di trovare una terza via fra la naturalezza delle cose, e la necessità di assecondare la propria martellante curiosità di scoprire come si evolvono le vicende, tutte. La stessa curiosità che vorresti ci fosse anche in chi è coinvolta in tali strane storie che, a volte, mi scadono nel patetico quando mi scopro a fare cazzate.
Messaggio non tanto subliminale per chi sostiene, errando, che io "me la tiro". Pessima espressione che utilizzo solo perché mi sono francamente rotto il cazzo di taggare quello che penso e scrivo con il bollino dell'esclusività, cosa che non mi è mai appartenuta.

Voglio prendere un altro treno. Da solo, come sempre. Fare qualche imboscata, sapendo che non me ne pentirò. Che dopodomani potrà cadermi un sasso in testa e frantumare qualcosa di molto più importante della mia scatola cranica.
L'illusione di una vita, la vaga sensazione di una speranza di un futuro senza scassamenti di minchia prodotti in proprio, e la convinzione assoluta di non aver mai bluffato al tavolo da gioco con il destino. Aver fatto le puntate giuste, senza strategie imparate per fregare la vita e il dolore.
Ad armi pari, e con lealtà. Trasparente e vulnerabile come tutte le persone oneste che sono abituate a prenderla in culo perché dicono esattamente quello che pensano. Laddove è più produttivo recitare salmi di ruoli compromettenti, annesse promesse e verità inesistenti che prima o poi saranno demolite dall'esperienza.

Il genere umano non abbisogna di sicurezze, ma di impastrocchiarsi nei casini.
Ah sì, quel mio amico saggio, eccome se aveva ragione... servono tante mazzate...
Ci piace fare le vittime dopo tutto, è comodo, è gratuito stringerci nelle spalle e dire: è andata così.

"Andata così", un tronco inguinale di toro.

Rischiare non è un problema, non ti fotte, quando ne vale la pena. E quando senti i piedi incollati al terreno perché frenati non si sa da cosa, ecco è lì che senti già la sconfitta spalancare le fauci sotto i talloni che tremano.
Perché ogni brama, ogni inseguimento, ogni desiderio più o meno legittimo è sempre una voglia di sé che si compiace negli altri. L'uomo è fine e mezzo allo stesso tempo. Se pensi agli altri soltanto come un fine, non stai facendo altro che abdicare a te stesso.
Ed è la peggior cazzata.
Anche il martire più pio è stato un profondo egoista orgoglioso. La giusta azione per il fine errato. In una stridente tensione tra la propria volontà, e quella rinuncia totale che priva di ogni senso.
Il trionfo avverrebbe così attraverso la propria rinuncia. Ma anche la rinuncia è orgoglio, tanto vale rassegnarsi.
A volte sono arrivato a temere che, reconditamente, per me anche l'amore non è altro che una forma di
vanitosa sazietà  di me stesso.
Forse lo è, forse no. Forse non sarò mai in grado di capire veramente che diavolo significa voler bene. 

Intanto cala la sera sempre più presto e l'equinozio della discordia incalza. E tutti quegli impegni che sembravano sepolti sotto la bassa marea delle giornate confuse, in cui si recuperano i ritardi cagionati dall'ozio e dall'onanismo intellettuale che pervade le mie ore, stanno ritornando a irradiare lentamente i cazzi in culo che indugiano lì, dietro l'angolo dove soffia la corrente più fresca.

Quella che ti spacca in due, come una caduta da cavallo, nella disperata ricerca di circoscrivere la portata della Waterloo.

Corriamoci su, con la musica a palla. Non ho nemmeno bisogno di ascoltare le macchine per strada,  né i cani randagi.
Solo una Fender Stratocaster che sfonda le orecchie.



Je m'engage et puis je vois
,
Napoleone Bonaparte.



sabato 9 agosto 2008

Achtung Alcor

- Alcor, non devi farti male...

- Come dici, scusa?

- Non devi farti male...

- Ah... mi passeresti della garza, please?


Oh, the deeper I spin
Oh, the hunter will sin for your ivory skin
Took a drive in the dirty rain
To a place where the wind calls your name
Under the trees the river laughing at you and me
Hallelujah, heavens white rose
The doors you open
I just can't close



E giacché ci siamo, un salutone speciale ad uno splendido paio di verdi occhioni veneti:

Splendidi occhioni veneti: "Io non l'ho mai conosciuto uno come te..."

Alcor: "Nemmeno io."

Grazie per aver riso alle mie battute cretine, senza nemmeno capire granché del mio idioma autoctono, per una settimana circa.
Occorre una gran pazienza col genere umano.

Nĭhĭl

- Che prendi?

- Niente.

- Va bene. Non prendo niente nemmeno io.

- Allora dobbiamo alzarci, non possiamo occupare un posto senza prendere niente.

- Dove andiamo?

- Dove vuoi.

- Non ne ho idea.

- Bene. Possiamo sempre andare a scopare. Che ne pensi?

- No.

- Perché?

- Non mi va. Non mi convinci.

- Fessa. Potrebbe essere l'ultima occasione.

- Perchè? Parti?

- Ho un tumore. Non so se mi sveglierò domani.

- Ho capito.

- Che prendi?

- Niente.

- Nemmeno io. Andiamo via. Questo posto non ci appartiene senza prendere nulla.

- Dove vai?

- A morire, presumo.

- Quando credi che succederà?

- Non lo so. Tra un minuto, o tra qualche mese, forse qualche decennio. Che cosa cambia? Finirà, prima o poi.

- Me lo dai un ultimo bacio?

- No.

- Scriverai  qualcosa prima di andartene?

- No, sono stanco di scrivere.

- Ciao.

- Ciao.