sabato 29 marzo 2008

Wille zur Macht







Vedo un bambino affacciarsi da una veranda che si riversa su un cortile stretto intorno da palazzi e mura. Ha conosciuto soltato una manciata di estati. Non presta ascolto alle voci che segnano i percorsi abulici di braccia di madri che trascinano leste i germogli del loro ventre e della loro covata, dentro gli umidi vestiboli introdotti da enormi portoni di faggio scolpito e eroso dal tarlo secolare.
Levigate chianche salivano intorno ad un pilastro scosceso tra i tenerelli pianti di omini bonsai e le sdegnose affidatarie di queste mattine, acide nei loro vaporei ricci rossastri.
Vedo un bambino che tutto questo non lo conobbe. Ignaro dell'esistenza dei propri simili, controllava che alcuna mosca invadesse quel cortile stretto e suo. In cima a quel predominio il vento di libeccio sballottava fragili giunchi e malleabili tronchi dalla rigogliosa verdura, che l'anziano di fronte potava e sfoltiva con devozione e rispetto. Ogni singolo sassolino era ivi riposto nel frastagliato suolo dallo sguardo del suo giovenco guardiano.
Non cura la vista di altri fanciulli, tranne che di quella sua cugina con cui litigava solerte e sovente desiderava gli sguardi.
Costui non cura gli artefatti e ludici doni così sontuosamente offertogli dal vasto parentado, soprattutto più d'ogni altra cosa rigetta l'essere afferrato dalle grassoccie braccia delle zie.
Ha un paio di forbici con cui ritaglia su fogli di carta bianca le forme forgiate dalla sua fantasia, e col tempo gli adulti hanno smesso anche di sperare di alletarlo con i consueti giochi.
Le sue giornate si spendono a guardare quel cortile dalla finestra.
Un pomeriggio sente vociare dalla rampa che accede al cortile. Sono dei bambini. Per lui sono degli intrusi.
- Va a giocare con quei bambini - lo esorta la madre. Uno sguardo spia dalla sua frangia nera dei lunghi capelli sulla fronte, gonfiandosi di paura. Prende il martello nascosto nella vecchia cassa degli utensili.
E' fuori dalla porta ed è nel cortile violato.
Sono in tre e lo stanno prendendo in giro. Uno di questi è basso e parla sputacchiando, ha la cerniera dei pantaloni aperta davanti e ha appena finito di pisciare dietro ad un pilastro del cortile. Un altro ride e strilla agli altri due.
Sono sporchi, lui profuma del suo nulla e della sua inviolabilità.
Non li aveva mai visti. Lui è fermo in basso nel cortile col suo martello, loro sono sulla rampa e dall'alto della salita, ridono. Per una attimo li ha detestati.
- Vattene - dice a quello che sbava ed ancora non aveva imparato a pronunciare la S. Lui ride e gesticola. Si piega dalle risate.
Vedo un bambino correre e risalire la rampa. Vedo un bambino scagliare contro costoro il suo pe
sante martello dall'impugnatura di legno. Più pesante del suo braccio.
Il martello cade a pochi passi da uno di questi, silenzioso, timido, spaventato. Questo raccoglie il martello e scappa. Un ladro. Un ladro farabutto.
Torna a casa e piange, uno sconosciuto bastardo spaventato gli ha rubato il suo martello. La madre gli molla il solito schiaffo recepito nell'indifferenza assoluta.
Sento suonare il campanello dopo un'ora che lui era tornato al suo nulla.
E' il figlio di un'amica di sua madre che abita proprio in cima alla rampa che immette nel cortile. Porta un martello, lo restituisce alla signora che gli apre la porta di casa. Lei lo fa entrare e chiama suo figlio intento a scarabocchiare pagine e a insudiciarsi le mani.
Questi vede di nuovo il suo martello, e sorride. Il nuovo bambino si accorge di tutti quei giocattoli sparsi e nemmeno pensati da chi stava giocando a brandire quel martello tanto caro.
Chiede sfacciatamente di poter giocare con quei mostricciattoli. Il martello smette per un attimo di vibrare nell'aria all'insaputa della madre disattenta.
- Puoi giocarci - dice. E l'altro bambino ride contento, mentre lui lo guarda curioso divertirsi con oggetti che sembrano del tutto inutili. Meglio il suo martello, e le sue giovanili elucubrazioni.

Alcor ebbe il suo primo amico. Il migliore. Sono già passati 22 anni, cazzo.

Attraversavo una pianura sinuosa tra stagni adibiti a cimiteri abusivi di enormi copertoni per i trattori dei lamentosi contadini. Un pensiero ronza tra il fastidio della sua pulsante carezza, ed il dirompente bearsi di quella lieta ombra che rendeva madido di sorriso l'erto incedere.
Mi separava dal cielo e mi sguarniva dell'aria. Appare lontano e meraviglioso nella sua completa anonimia e miscredenza. Ché non vi sono angeliche connessioni, e l'ombra di una farfalla non la si calpesta sentendosi immuni da colpe.
Rinasco affannoso e lento... si muore un po' per poter vivere. Piena e nuova discrepanza. Lontana voluttà. Mi frusto il cervello alle calcagna di queste fughe in fameliche tentazioni di dolci propositi. E, porco Giuda, se non mi si sconfiffera l'anima e qualcos'altro. E, porca miseria, se non mi ricapita di calpestare un cane in coma sul ciglio della strada per farmi annacquare i fiacchi riflessi dal bel celeste cielo che mi trapassa gli occhi chiusi a escogitare la speranza ed io so soltanto cosa e come, e quel suo sorriso.
Affido l'onere della mia disattenta sopravvivenza al buon senso degli automobilisti che mi scansano nella loro fremente corsa, che par bruci loro il vestibolo anale per come sfrecciano.
Mentr'io mi affranco dal mortal ponderare le ragioni d'un vile e material sussistere, e mi dondolo incurante nel disfacente ordire le fosche trame del mio sonno inquieto.
Ché le parole dei giorni concavi son mattoni e corpi scarni di sentimento, scheletri di promesse infrante. Ma non pronunciarle al vento, scorri il tempestar di intenti nell'inspirare pensieri col vegetal effondere della mattina, sì che mi prendi stretto nel rimugino giocondo e non mi molli il petto.
Non lo nego, accidenti, che sei splendida... su qualsiasi volto ti ponga la mia immaginazione e la mia volontà.
Ma adesso galoppa, infame egoista dall'arido mantello.


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