giovedì 21 febbraio 2008

Reversibilità




Un palindromo. Reversibilità...
E mi viene in mente una battuta de La Stanza del Figlio, quando Giovanni è disperato per la morte di suo figlio, ed  immagina che questi, Andrea, quel maledetto giorno avesse potuto continuare a correre insieme a lui: "è proprio questo che voglio fare, tornare indietro", riagganciare la storia e invertirla, tenerlo ancora accanto a sé, anziché lasciarlo andare con i suoi amici in quell'immersione fatale in un mare in burrasca. Sì, proprio il mare in burrasca, lo stesso che segna dall'inizio il mutamento imprevisto nella vita di Pietro Paladini.
Mentre la moglie Lara moriva in un incidente, da sola, lui salvava la vita di una donna che stava per annegare in un mare agitato. Sua moglie moriva da sola, cadeva, sprofondava nel male e nella solitudine, di un amore estinto.  Pietro salvava una donna sconosciuta da un probabile tormento.
Un mare agitato, dove tentare un salvataggio è pericoloso, rischioso,  che richiede di scommettere qualcosa sulla propria sopravvivenza, esige il rischio che si sottende ad un pegno d'amore universale. Un universale per cui si è disposti a donare, a dispetto di un "personale" di cui in fondo non ci importa poi un granché. Se però ne La Stanza del Figlio il dolore è talmente intimo, talmente interno da minare solidi affetti, comunicabilità, da distogliere i protagonisti dal cercarsi, volersi stringere... qui il dolore ha una dimensione completamente ed esclusivamente sociale, pubblica, e pertanto pressoché apparente. Profonda soltanto nella misura in cui mette a nudo l'aridità nei propri sentimenti. L'amore a volte non è soltanto un vaso dorato che gremisce il senso della nostra vita, esso può trasformarsi in una diga perforata che, dopo aver segnato una profonda distanza, si svuota lasciando sotto il sole una vasca di cemento armato che riesce a riempirsi inutilmente di un vento che la irride e la sovrasta, con un balzo di vita che sembra del tutto inaccessibile alla rimpicciolita umanità.
La morte di Lara è una maschera che si sgretola. Di lei non si sa nulla, non se ne ricorda neppure il volto, si narra di un suo presunto dolore, di una sua insofferenza, di un forte squilibrio dovuto al non sentirsi amata. E Pietro tutto questo non lo sapeva, non voleva riconoscerlo, non sembrava riconoscere quasi nulla, e forse nemmeno gli importava fino in fondo. Sua moglie si scriveva mail con uno scrittore di favole per bambini. Che cosa c'era in quella corrispondenza? Quali clandestine parole legavano quei due? Non importa, non serve a niente, si cancella tutto. A che cosa sarebbe servito riempire un vuoto di assenza affettiva con un pallido sentore di rancore di una finta gelosia.
Quello che brucia non è il dolore della perdita, ma la pressoché totale calma dinanzi ad essa. Forse anche un senso di colpa per aver sottratto dai morsi della disperazione anche sua figlia, l'unica creatura verso la quale Pietro sembra davvero provare sentimenti veri. Perché non c'è amore più profondo che possa legare un genitore ad un figlio, è quello che Nanni ha sempre riconosciuto come unico, vero, ed insostituibile amore (La messa è finita).
Questa "maschera nuda" che vuole essere vicina a l'unico sentimento che riconosceva, per riappropriarsi dell'amore che non era riuscito a provare, lo porta ad estraniarsi dalla regolarità. Perché qui l'alienazione si produce attraverso un'immersione totale nel mondo esterno, un'immersione che consente la rinascita nella totale simbiosi con le cadenze del mondo esterno in cui egli raccoglie nient'altro che sè stesso. Quella panchina nel parco antistante la scuola è parte di lui, è lui. Come il susseguirsi del giorno e della notte, così lui è sempre lì, si immerge, si identifica, incarna un ruolo. Fa parte di un equilibrio. Svuotato da ogni sussulto, come un mare placido e calmo, si lascia inondare dai cataclismi altrui.
Ciascuno con i propri problemi, con i propri dolori provano dapprima a consolare uno sconforto ritenuto istituzionale forse, ma successivamente si trovano a volere riempire quella calma, a contemplarla. Andare lenti, far cadere gli occhi su ogni mossa, su tutti i dettagli che sfuggono impercettibili ma che determinano una complessità che si arricchisce di particolari. La confusione, il caos non consente di cogliere i minimi significati fondamentali che si mescolano e si perdono nel tutto indistinto; non manca proprio niente nel piatto di pasta coi broccoletti che Pietro e Jean-Claude mangiano al bar, ma per amalgamare tutti gli ingredienti in un unico sapore, la cuoca aveva aggiunto del pecorino. "Tu sei insicuro della riuscita, allora inserisci il pecorino, ma così non si sente il sapore dei broccoletti", per un attimo ho sentito parlare il Michele Apicella che inquadrava nel suo piccolo archivio le abitudini ed i comportamenti cercando di insinuare la sua attenzione nei pertugi dei piccoli gesti rivelatori delle più profonde debolezze umane (Bianca).
Pietro  vuole soltanto essere vicino al suo amore e a se stesso, riallacciando le file della propria memoria e della propria inconsistenza, elencando episodi, ricordi, intenzioni e proprositi; ma si lascia riempire dalle sofferenze e dalle agitazioni di coloro che si soffermano con lui su quella panchina, in quel parco, in quel bar, che si confrontano e si aprono con tutti i loro casini. Quasi si confessano dinanzi ad un mare calmo che non risponde, non dà consigli, ma infonde quel senso di immenso che costringe i diversi interlocutori a fare i conti con se stessi e ad individuare una strada un percorso. Proprio quello che non riesce a Don Giulio (La messa è finita), che invano si spende per gli altri provando a dare a ciascuno la giusta parola di conforto, trovando di volta in volta soltanto muri di incomunicabilità e indisponibilità al reciproco sostegno. Pietro è la coscienza severa che in silenzio, involontariamente, prima o poi irrompe e costringe a guardare con occhi granitici quello che ci succede dentro e fuori, e tutto questo esige poi una scelta, un cambiamento.
C'è chi va in missione in Africa, chi si licenzia, chi deve prendere atto della inconsistenza delle proprie manie isteriche, chi deve comprendere la reale natura dei propri legami. Lui non consiglia, non sa, non è un confessore, però tutti lo abbracciano, tutti lo cercano. Il mondo intero anziché reclamarlo nelle sue incombenze, si affanna ad inseguirlo. E tutto questo lo si individua nello sguardo attento della ragazza che passeggia nel parco con il suo cane, che osserva, che cerca di capire.
E' un percorso di riappopriazione della propria vita, e del proprio andar lenti. Uno scavo che, alla fine, impone un ritorno ed un confronto decisivo. La presa d'atto finale sul luogo in cui si era consumata la tragedia. Ed è proprio qui che il cerchio si chiude, che l'eterno ritorno della vita si avvolge concentricamente intorno alla storia. Dove si era perso il sentimento che lui non era riuscito a provare, egli ritrova una forte, intensa e lunga passione. La carnalità delle scene con cui si consuma il rapporto pressoché inaspettato con la donna che lui aveva salvato. Non si sa come si giunge a questo atto, non si sa perché visto che questi si parlano soltanto una volta. Ma la lunga
scena di passione, artatamente costruita con quel realismo e quell'intensità, coglie il senso di una riappropriazione della vita che si era smarrita in un rapporto arido e prosciugante. Forse non era stato Pietro a salvare quella donna dal tormento, forse nel salvarla, si era anche salvato.
Il cerchio si chiude, e si allunga, con l'ultimo abbraccio, l'ultimo confronto. Quello con la ragazza
col cane, senza nome e senza voce. Il cane che infine scappa, come la curiosità che sfugge di mano alla diffidenza e alla timidezza. Un cane che Pietro riesce ad acciuffare, con l'abbraccio di questa giovane e bella ragazza con cui non aveva mai parlato ma soltanto osservato, che infine si rivela. "Tanto noi già ci conosciamo"... che cosa vorrà mai significare? Io ho un'idea. Forse è la fiducia? La speranza... corroborata dalla sincerità, quella che impone di parlarsi, di essere trasparenti con i propri sentimenti, come insegna Pietro alla piccola figlia che prima di entrare in classe, chiede come regalo di Natale al papà di non insistere più ad aspettarla su quella panchina.
Perché ci si può riappropriare della propria natura, del proprio amore, della propria voglia di esserci. Perché tutto torna; ma tutto prosegue, e la vita, anche se in forme ardite e sconosciute, a volte è reversibile. Come un palindromo.

5 commenti:

  1. niente da aggiungere :-)

    spero solo di vederlo presto, è l'unico di Nanni che mi manca!

    In barba ai preti (e dei farisei fintilaici) che la menano sulla scena di sesso quasi fosse l'unica sequenza degna di nota del film... -.-

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  2. Si soffermano su quella scena perché non riescono a capire tutto il resto...

    :-)

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  3. dite quello che volete.....Moretti mi ha un pò rotto....

    ciao!

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  4. C'est la démocratie... ;-)

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  5. "a volte la vita è reversibile"....


    a volte si spera che la vita sia reversibile, a volte si teme che lo sia...


    comunque, lettura molto gradevole... :)

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