venerdì 22 febbraio 2008

La trasparente reticenza del prof. R. (parte I)

















Il prof. R. aveva capelli nerissimi tra i quali la luna avrebbe confuso il suo alveolo dissipando le notti in un cielo sbagliato.
Il prof. R. amava camminare a piedi ad orari inconsueti, e non curava affatto gli sguardi che soventemente lo colpivano senza essere corrisposti di ogni minima attenzione. Era comparso involontariamente in quel piccolo paese di collina e lì trascorreva il suo tempo impartendo silenziose lezioni di matematica. Aveva un piccolo libricino nero dai contorni consumati e dalla copertina in cuoio che ogni tanto traeva fuori per appuntare velocissimi segni, come se volesse  soltanto ritoccare qualche singola virgola o scegliere la giusta parola per un pensiero che avesse la possibilità di aggiornarsi e mai sfiorire, sin dal suo primo concepimento.
S. insegnava nella stessa scuola. Un po' disordinata e confusa, aveva lisci capelli scuri ed una sciarpa verde che le cingeva il collo e che si perdeva alle sue spalle. Amava spendere le ore tra una lezione e l'altra a parlare con i suoi studenti, o con qualche collega, seduta al tavolino rotondo del chiosco appena fuori il cortile della scuola. A lei piaceva sedersi lì perché riteneva che vi servissero la migliore cioccolata calda del paese, anche se talvolta le capitava di sedersi ad una seggiola con le gambe leggermente arrugginite; nessun comodo ed elegante caffè del centro avrebbe mai compensato il gusto di quella cioccolata che le piaceva trattenere il più a lungo possibile ad accarezzarle la lingua prima che quella dolcezza le scivolasse via giù sino alla profondità di un godimento a cui non avrebbe mai rinunciato. S. era terribilmente sbadata.
Il prof. R. acquistava due quotidiani ed un settimanale londinese che veniva fatto recapitare a quel giornalaio esclusivamente per lui ad un prezzo superiore, avrebbe potuto trovarne delle semplici copie all'edicola della stazione ad un prezzo normale. Ma a lui la stazione non piaceva, e ne stava ossessionatamente alla larga.
Lo si sarebbe ritenuto una persona silenziosa e schiva. Parlava talmente poco che nessuno pareva ricordarsi con precisione il timbro della sua voce. Nelle varie riunioni a cui prendeva sempre parte si esprimeva a bisillabi e misurava i suoi interventi dosando parole e toni di modo da non poter imprimere in alcun modo un ricordo sostanziale della sua presenza, al di là di ciò che di documentabile riportava la sua firma. Se non vi fosse questa burocratica testimonianza della sua presenza, qualcuno avrebbe potuto mettere in discussione la sua stessa esistenza. E se non fosse anche per qualche invadente curiosità che aleggiava in pochi, intorno alla strana figura di quel giovane professore dai capelli leggermente lunghi che gli coprivano la fronte e ne dimezzavano lo sguardo, che passeggiava con le mani in tasca e le braccia strette nel suo cappotto nero sfiancato dal cui bavero alzato spuntavano due auricolari ai lati del collo, confusi tra i capelli. A volume bassissimo non si percepiva che cosa ascoltasse.
Una mattina stava appuntando qualcosa sulla sua agendina, e sembrava che stesse registrando qualcosa di davvero importante perché vi impiegava qualche istante in più. Era un brumoso mattino d'ottobre ed i contorni non erano così rigidi in quel viale. Il prof. R. tossiva ed una sciarpa bianca gli cingeva la gola. All’improvviso vedeva nella nebbia un’ombra indistinta che correva. Il professore aveva i consueti occhiali scuri e sbuffò violentemente e fastidiosamente all’idea che quell’ombra stesse correndo verso di lui… gli ricordava qualcosa, il frammento di un film già visto, un fotogramma di voci e ricordi tra cui stava già liquefando i suoi pensieri e distogliendo lo sguardo dalla realtà, mentre riappoggiava l’auricolare all’orecchio destro, che sentiva molle.
Si sentiva chiamare in quel pensiero ombroso che gli correva incontro… era lui, in quel mattino di un marzo svogliato, e c’era una voce di donna… l’agendina, doveva scrivervi su qualcosa…
C’era sì una voce di donna quella mattina, ma non chiamava lui, il professore. L’ombra che correva aveva due mani ed una di esse stringeva una borsa. La voce femminile urlava a quell’ombra di ragazzo di fermarsi. E quella voce inveiva da una figura di donna che correva all’inseguimento dell’ombra del ragazzo. Mentre il professore prendeva fin troppo tempo per capire l’ovvio di quello che era successo, quel ragazzo voltandosi non riuscì a frenare il suo impeto in fuga dinanzi alla sagoma che gli si era materializzata improvvisamente dinanzi, e rovinò maldestramente addosso al professore, macchiando di fango il suo cappotto nero. Il prof. R. bloccò il ladro di borsette afferrandolo dalla caviglia impedendogli di scappare ancora, e lo fece rialzare da terra non prima  d’avergli assestato un violento calcio nell’addome. Intervennero allora altre persone, ma il ragazzo impaurito riuscì comunque a scappare.
La donna aveva raggiunto affannosamente il professore che si guardava addosso gemendo mugugni di rabbia, senza minimamente accorgersi dei passi di colei che si approssimava ringraziandolo. Profondamente innervosito per il fango che aveva intorpidito il suo cappotto, con un gesto di stizza il prof. R. scalciò violentemente quella borsa marrone che si trovava ora ai suoi piedi, a causa della quale s’era scatenato quel casino.
- Ehi! Ma che fa? La mia borsa! – il prof. R. s’accorse di quella donna, e si rese conto di aver scalciato una borsa…
-
Ah… la borsa sì… - Riassestandosi il cervello. Raccolse la borsa dal muretto verso il quale era stata scaraventata, e spazzando via la polvere dal suo cappotto, la porse alla donna, senza sollevare il suo sguardo.
-
Cazzo! Il cellulare è in mille pezzi! - guardando torva l’alta sagoma scura che le si imponeva dinanzi.
-
… saranno state le scosse della corsa… oppure la caduta… - balbettava il prof. R.
-
… oppure quell’inutile calcione! – Disse lei sorridendo con gli occhi. - Non importa… se non fosse stato per lei non so se avrei recuperato nemmeno questo. Grazie… -
Il professore rispose con un lievissimo inchino e senza parlare. E si predispose al suo incedere, infilando gli auricolari al loro posto, salutando con un lieve cenno della mano.
-
Aspetti! Dove va? Venga con me, devo sdebitarmi… le posso offrire una cioccolata calda? -
-
Veramente io… -



Il prof. R. non era abituato a passeggiare in compagnia, di solito faceva volentieri due passi con qualche suo alunno, ma di rado lo si era visto in compagnia di qualcuno, men che mai in compagnia di una donna. Non poteva negarsi di provare un certo disagio. Sentiva che la donna parlava, diceva un sacco di cose, ma per lui tutto quello era solo un brusio che sottendeva al rumore dei suoi passi, alla musica che ascoltava. La donna parlava e a tratti sorrideva allargando la bocca. Il suo sguardo si piegava con difficoltà verso di lei, e tutte le volte incrociava quel sorriso. Il sole di metà mattinata spuntava dalle colline e apriva una breccia nella nebbia e lungo la strada, un contorno dorato prese a disegnare tutte le cose, e volgendosi verso di lei, notò rapito un incantevole contorno del suo collo avvolto da una sciarpa leggerissima e verde, così sfiorato e irradiato dai raggi del sole.
Si fermò a guardare quel velo di luce che lì vi aveva scorto. Non aveva ascoltato una sola parola di quello che quella donna aveva raccontato.
- Ma sa che io l’ho già vista da qualche parte? – aggrottando le ciglia incuriosite, disse lei. –
Solo che non mi ricordo dove… Ma che maleducata non mi sono neanche presentata! Permette? Mi chiamo S.





Continua...


2 commenti:

  1. Le silenziose lezioni di matematica mi hanno lipperlì lasciata perplessa, ma solo per un attimo. :-)

    Aspetto ansiosa il seguito eh.

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  2. Lo aspetto anche io il seguito...;-)

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