"... 'A guerra nun è fernuta..." ripete incessantemente il povero Gennaro Jovine per tutto il secondo atto di Napoli Milionaria! - Eduardo De Filippo, 1945. Tornato a casa dopo aver attraversato paesi straziati dalla guerra, dopo aver sperimentato su se stesso le atrocità della violenza, dell’odio assoluto che al di là delle devastazioni materiali, lascia dentro un forte senso di distruzione morale. Quel senso di annientamento e sopraffazione dell’uomo sull’uomo che smarca temporalmente quest’opera dal suo contesto storico, per proiettarla in una dimensione esistenziale sulla reale natura dei rapporti tra gli uomini.
Napoli Milionaria! Narra di una città annichilita dal disastro, dall’angoscia di non poter nemmeno consumare l’amore perché atterriti dalla sirena che annuncia i bombardamenti, che impone a tutti di riparare nei ricoveri (II atto).Narra di privazioni, di scarsità di risorse e mezzi, di una società allo sbando, dove chi deve dare l’esempio, i fascisti, è più mariuolo degli altri. Per sopravvivere bisogna arrangiarsi, ricorrere all’astuzia e a sotterfugi, e al commercio clandestino della borsa nera. Attività illecite che consentono la sopravvivenza, ma che riescono anche a sviluppare un senso di forte solidarietà umana in un periodo di deprivazione e miseria comune. “… è sacrilegio a tuccà nu morto, ma è cchiù sacrilegio a mettere ‘e mmane ncuollo a uno vivo comme a te…”. Così il brigadiere Ciappa a Gennaro, fintosi morto per evitare che lo arrestassero per il commercio clandestino della moglie, che lo stesso Gennaro aveva sempre condannato. Le parole del brigadiere sentenziano, e quasi legittimano, una condotta illegale necessaria alla sopravvivenza. Il secondo atto si apre con una folle ostentazione di ricchezza. Gli alleati hanno liberato il sud Italia, la guerra è per tutti quanti un ricordo. Amalia Jovine, moglie di Gennaro, essendo quest’ultimo disperso da più di un anno, ha continuato le sue pratiche clandestine passando dalla borsa nera alla speculazione, iniziando a cumulare enormi ricchezze e diversi milioni. Il figlio Amedeo diventa ladro di automobili, e la figlia Maria Rosaria si lascia disonorare da un soldato americano, il tutto sotto gli occhi indifferenti di una madre accecata dalla cupidigia. L’avidità della ricchezza seguìta alla miseria ha completamente cancellato ogni traccia di valore umano dall’anima dei protagonisti. Emblematica la figura del ragionier Riccardo, cliente di Donna Amalia che nel primo atto veniva esaltato nella sua benestante borghesia, per poi presentarsi caduto in disgrazia nel secondo atto, ad implorare l’aiuto della signora Jovine, che lentamente lo ha spogliato dei suoi beni, profittando della sua disgrazia e del dover dare da mangiare alla moglie ed ai tre figli. Amalia con uno scatto iroso di rivalsa negherà la sua pietà verso il ragioniere, intimandogli di rinunciare al suo appartamento se non avrà saldato il debito nei confronti di lei. Tacevano i bombardamenti, ma la guerra, ed il suo strazio morale, non era finita ancora. La portava spalancata dinanzi agli occhi Gennaro che ritornava, e quasi non riconosceva né la casa, né la moglie, alieno in un mondo che non voleva neanche ascoltarlo. Tutti hanno dimenticato la sofferenza, appagati da un falso benessere ottenuto alle spalle degli altri. Paradossalmente il sentimento di solidarietà scaturito dalla guerra, si perdeva e si corrompeva con la pace, dove la sopraffazione e l’interesse riuscivano a sporcare ogni genere di rapporto umano. Tutti presi dai festeggiamenti si dimenticano di Rituccia, la figlia più piccola di Gennaro e Amalia, con la febbre alta. Rituccia non compare mai nella scena ma è lei il personaggio principale. La piccola era in fin di vita, ma nessuno chiamava il dottore perchè si pensava che questi portassero “malaugurio” , dimostrando la ridicola superstizione, contornata da preghiere ed imprecazioni, l’ignoranza e la povertà morale dei personaggi. La bambina sta morendo, può salvarla una medicina che non si trova in commercio, nemmeno alla borsa nera. Se qualcuno ce l’ha non la vende per far alzare i prezzi, speculando, giocando sulla vita della piccola. Nella disperazione generale, si palesa un topos del teatro Eduardiano, nel terzo atto. Tutti a turno si presentano soli a confessarsi con Gennaro che resta sempre in silenzio, rappresentando la coscienza giudicatrice con cui ognuno si confronta umiliando se stesso. Un processo metafisico e morale senza sentenze ma con una generale condanna, che non risparmia lo stesso Gennaro, il quale si rende conto di essere rimasto moralmente integro soltanto perché lontano. Alla fine entra in casa Jovine il ragionier Riccardo che consegna nelle mani della sua aguzzina Amalia, la medicina che le potrà salvare la figlia, non per vendicarsi, ma per pronunciare queste parole: “… Come vedete, chi prima e chi dopo deve, ad un certo punto, bussare alla porta dell’altro…se non ci stendiamo una mano l’uno con l’altro…” . Rituccia presa la medicina si salverà, la bontà del ragioniere la salverà, si dovrà solo attendere che passi la nottata. È lo stesso Eduardo ad indicare la funzione metaforica della piccola quando nel monologo finale di Gennaro, dice “… chella creatura ca sta llà dinto me fa penzà ‘o paese nuosto…” . Il paese moribondo, vittima dell’indifferenza, della cupidigia dell’interesse, della facilità con cui si è dimenticata la sofferenza vissuta. Quel paese non è solo Napoli, è la vita umana, è ogni rapporto in cui il male vissuto lascia strascichi indelebili, la guerra non è finita ancora. Ma anche quel paese, quella vita potrebbe salvarsi, con la medicina e la solidarietà, la bambina potrebbe star meglio, “…s’ha da aspettà… Ha da passà ‘a nuttata”.
Recensione by Alcor, 2007
Le brevi battute in corsivo sono tratte da: Eduardo De Filippo, Napoli Milionaria!, in La Cantata dei giorni dispari, vol. I, Einaudi.
Nelle immagini: la prima, Eduardo De Filippo; la seconda, locandina dello spettacolo di Luca De Filippo, Napoli Milionaria!, stagione teatrale 2005/06.