Mi hanno detto che dovrei scrivere, ricominciare davvero, senza rileggere le pagine dei miei giorni passati.
Mi hanno raccontato che le mie storie devono giungere ad un epilogo, e che quindi dovrei al più presto riacciuffare quello che mi sono lasciato indietro e portarlo per mano fino al suo compimento.
Pare che gli anni non si estinguano del tutto in un botto di fine dicembre, ma che restino a trascorrere in una dimensione propria ignorante il tempo. Possono poi cercare risorgenze e riaffiorare con tutti i loro detriti a rendere meno agevole le strade.
Mi hanno detto che non si può invecchiare davvero senza aver chiuso le proprie pagine, e che altri libri ed altre storie non ascolteranno i nostri richiami se non viene posto un punto al termine di ogni capitolo.
Dicevano che avrei dovuto svegliami nel cuore della notte e racimolare il coraggio ridotto a brandelli di questa strana estate, coagulare la volontà dispersa in mille pozzanghere di una pioggia soltanto accennata.
Non si può vivere di accenni inchiodati in immagini che abbiamo cercato di fissare nei contorni nei quali abbiamo rinchiuso la nostra aspettativa di felicità.
Hanno ribadito la necessità che affronti finalmente questo magma impazzito che mi ha reso gelido a tutte le cose del mondo. Che mi ha svelato persino l'invidia verso la natura docile delle parole altrui che per la prima volta mi appaiono così valide, così riconoscibili e degne di essere ricopiate ed appese nei promemoria dei pensieri dolci allietanti speranze sopite di debolezze mascherate in rigide posture delle proprie braccia.
Mi hanno dipinto l'evoluzione di questo silenzio che assomiglia ad una mano incancrenita che ha dimenticato la consistenza delle corde della propria chitarra, e il frastuono denso di canzoni stonate e sincere sepolte sotto spiagge mai calcate fino alla punta del mare.
Hanno provato a indicare la mia rotula destra malandata come il punto esatto di scarico di questo incompiuto confronto con verità atroci che dovrebbe precludere il giudizio finale e inappellabile di un uomo a contatto con il proprio lato oscuro, e le su pretese di chiarezza, le sue voglie di invadere la confusione con la plaudente certezza della chimica esistenziale.
Persino nella cronaca metaforica di questi pensieri la strada si allunga sino a volersi allontanare dalla inevitabile méta in fondo alla quale il bersaglio di tutti gli errori e i disagi di questi giorni approdano sconfinando il guinzaglio stretto intorno alla gola della propria falsa solida aderenza alla crosta terrestre.
Si frappongono ragionamenti ed analisi che non conoscono coordinate, ignorando il punto di equilibrio, il fattore di bilanciamento da cui si irradia questo tremore sconosciuto, questo freddo, questo inconcludersi proteso solo verso reazioni dense di rabbia.
Dicono che dovrei fare le valigie e intraprendere il mio solito viaggio, senza immaginare quello che ci troverò. Non dovrei chiedere null'altro a questo prossimo ultimo viaggio, se non un'indagine senza sospetti confezionati di quella che sarà la mia reazione e la mia paura.
Solo lei, la mia paura.
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