venerdì 30 novembre 2007

Immenso

Premettendo che sono cresciuto con Dante, che l'Inferno è stato il primo libro che ho letto nella mia vita a 7 anni, e che il V canto insieme al XXVI (Ulisse e Diomede), sono quelli che ho sempre maggiormente amato, ho atteso trepidante la serata di ieri.
Si badi bene, le pochissime volte che ho parlato di TV in questo blog l'ho fatto per lanciare invettive alla nazione, ma ieri sera no... ieri sera ho visto un capolavoro. Ieri sera finalmente ho ascoltato il trionfo dell'arte al di sopra di ogni banalizzazione, finalmente era palpabile la speranza infinita che si cela nella poesia di poter destare pensieri che giacciono indisturbati nel nostro intimo. Ho visto come una somma maestria di comunicazione, che la commistione emotiva pressochè totale tra chi reclama i versi ed il componimento stesso, riuscirebbe a carpire la mente di qualsiasi ascoltatore attento che abbia voglia di lasciarsi annegare in quel sopraffino sussgeguirsi di endecasillabi a rima alternata.
Ma non solo il trasporto, non solo la bravura dell'artista... ma quei versi e quel sentimento che s'avvolge e si diffonde nelle immagini evocate, nel pianto e nel ricordo, nei sussurri e nelle tempeste, non possono non tangere i sentimenti di chi è disposto a bearsi in quel lento bagno d'amore.
La storia di Paolo e Francesca m'è sempre stata cara, il V canto è secondo me la migliore ninna nanna che chi soffre nei sentimenti abbia bisogno d'ascoltare prima d'assopirsi. Non voglio apparir banale nel ripetere la dolcezza e la sensualità che si coglie in ogni espressione dantesca, ma non voglio neanche scimmiottare la bravura del poeta che ieri sera ha incarnato magnificamente quei versi; ma posso soltanto dire che le ho sentite dentro, una per una, quelle parole come fosse stata la prima e novella di infinite volte in cui esse han fatto tenera breccia nella coltre in cui spesso s'arena la mia mente...

giovedì 29 novembre 2007

Niente è come sembra




Franco Battiato - Niente è come sembra


Eppure c'è qualcosa che mi dà fastidio.

domenica 25 novembre 2007

Quando c'è la nebbia non si vede...




Il mio primo post "straniero", ovvero non prodotto sulla solita scrivania e sulla solita postazione. Poche parole, in questi giorni la mia connettività è paragonabile ad un "su e giù", e chi ha visto Arancia Meccanica potrà comprendere meglio la metafora. E poi, anche se non so per quanto tempo starò qui (sinceramente spero solo di tornare a casa solo per dare un bacio alla mamma e fare scorta di cibo e denaro) è molto molto meglio gironzolare per la città.
Oggi qui è tornato il sole, per me è spuntato un attimo dopo aver ritrovato alcune persone. Perchè ci sono cose talmente belle da riuscire a precedere il Sole. Ci sono parole che sanno arrivare ad aprire i nostri occhi meglio dell'alba. Ci sono doni che hanno la semplicità di volti che non puoi accarezzare, ma che vorresti sentire accanto finchè l'ultimo sguardo che si abbandonerà lì fuori, sarà quello che anzichè perdersi per afferare la realtà, preferirà intessersi con quello sguardo che da solo incensa lo splendore del mondo.
Ora mi viene mente mio zio che, attraversando la galleria che fiancheggia il Duomo, a 76 anni mi parlava con la lucidità e la speranza di un adolescente dei suoi progetti per il futuro, concludendo il tutto dicendo che quelle erano le illusioni a cui aveva appeso la sua esistenza, e che gli avevano consentito di superare delusioni enormi. Mio zio ha problemi agli occhi, ma ogni mattina dalla periferia raggiunge Piazza Duomo per passeggiare e talvolta ascoltare la messa nella chiesa di San Babila. Conosce la storia di ogni singolo mattone di questa città, ed il suo racconto si smarrisce nella mia attenzione solo perché un gruppo di musicisti di strada intona quasi alla perfezione una delle mie melodie più amate, un tema tratto dall’Amelie di Yann Tiersen. Qualcosa in quel momento mi è sembrato scomparire accanto, ed era la sensazione di poter fare a meno a chiunque. In quel momento ho avvertito un vuoto vero accanto, un vuoto che in realtà ho sempre avuto dentro…
Qualcosa che potesse consentirmi di condividere quella mia simbiosi con il mondo, quel mio sentirmi vivo in una
walk on part in the war, anziché spento in un lead role in a cage (Pink Floyd, Wish you were here)
Io so che posso scegliere... ed io non scelgo di rinunciare a nulla. Io non scelgo di smettere di inseguire quello che desidero. Io scelgo, ed io sono libero. Fossi anche l’ultimo zingaro che calpesterà quella strada.

Mappa del cielo - Roma 26/11/2007 ore 00:00

La Mappa del cielo la devo postare, dovessero confinarmi in Groenlandia...

mercoledì 21 novembre 2007

Quo vadis Alcor?

Con qualcosa che è tutt'altro che contentezza vado a sperimentare una specie di opportunità di vita e futuro. Vado a vedere se è possibile rinunciare a tutti i sogni di una vita per una pragmatica esigenza di vita. Per non essere stato abbastanza in gamba a meritarmi il pane che supportasse un lavoro splendido come quello del ricercatore.
Parte un treno, forse con un biglietto di sola andata. Non nella materialità della cosa perchè torno presto, non mi sto trasferendo neanche qualora dovesse esserci esito positivo. Il treno forse si riferisce alla mia vita. Non so cosa mi aspetta, ma adesso sento che non mi piace.
Non mi piace la violenza con cui tutto questo stava avvenendo, soprattutto nel momento in cui stavo lavorando a progetti importanti sia nella mia università, sia nel mio piccolo.
Tutto in un due mesi.
Avevo accanto a me una persona, l'ho avuta per cinque lunghi e difficili anni. Avevo un'esistenza che si stava piegando in una cappa di normalità che iniziava a sembrare disgustosa. Avevo degli impegni scanditi da un tempo libero sempre meno libero. Avevo una serie di passioni represse. Avevo una strada che si era trasformata in un tunnel, andava dritta lungo una direzione, ma non potevo guardare cosa ci fosse ai lati del mio sguardo ed oltre il tragitto impostomi dal destino. Qui in un piccolo paese adagiato su una collina che troneggia sul mar Ionio. Qui vedo la Valle d'Itria ed i monti Calabresi abbracciare lo sguardo da est ad ovest. E dinanzi a me un mare sconfinato. Vedo gente silenziosa che ti scruta ad ogni passo. Sai che ogni tua mossa sarà oggetto di discussione per buona parte dei tuoi concittadini. Hai un soprannome di famiglia che ha ipotecato per te il tuo carattere e la rispettabilità che meriti. C'è gente che ha la mente aperta come la cassaforte della Federal Reserve. Dove la massima aspirazione di un giovane è morire sfracellato dalle lamiere che piovono all'ILVA di Taranto, oppure imbracciare un fucile ed un uniforme.
Qui i sogni si spengono nella valle piena di nebbia a novembre.
Qui coltivi la vite o la mente e finisci per scrivere le paranoiche e tediose lagne che ho scritto sinora.
Ma non così, io ci stavo riuscendo alla mia maniera, con lacrime e sangue; ma come piaceva a me.
Ora potrei essere solo uno dei tanti.
Ora mi odio.
Ora non mi sento credibile.
Ora fuori è buio, per parafrasare una canzone di un cantante amato da una persona speciale.
C'è chi mi ha aiutato a sentirmi importante. E non so perchè ma ho anche la sensazione che sto perdendo molto più di quello che mi lascerò alle spalle, se quel treno partirà davvero.

Una volta mi furono dette delle frasi che porto nel cuore. Frasi nelle quali mi rifugiavo nei momenti di sconforto. Uno sconforto che in questi giorni di ostentato positivismo ho tenuto dentro in maniera acerba. Perchè in fondo ho sempre pensato che il mio dolore fosse inutile e stupido e come tale da ignorare. Ebbene, in quel piccolo angolo di semplici frasi, rannicchiavo la mia mente stanca e mi lasciavo abbandonare alla pace.
Poi quelle parole sono state spazzate via...
E non mi fece neanche male, forse era il sacrificio che mi era indirettamente richiesto per soddisfare un desiderio di qualcuno. Ed io avrei fatto, e farei, qualsiasi cosa davvero.
Perchè ora sembra che tutto mi stia abbandonando?
Tutto, non ho più nulla.
Il mio sogno era volare via lontano. Ma non adesso. Non ora. Ora che troppe colpe e lacrime mi lasceranno dentro dei ponti di malinconia che 1000 km forse non riusciranno a strappare.




martedì 20 novembre 2007

I hate



Ho incominciato a scriverlo pochi minuti prima di un appuntamento. Avevo le idee chiare, cioè nessuna, e sapevo che sarebbe stato uno dei soliti scritti illogici che partono e che si allontanano dalla mia mente senza guinzagli, e non sono scritti fedeli che tornano al papà con i richiami, con i fischietti, con la promessa della pappa o delle lische di sogliola, così come avevo abituato i miei gatti efficienti. I miei scritti se ne vanno via sbattendomi la porta in faccia e voltandomi le spalle.
Questo di oggi l'avevo cassato. Ghigliottinato. Confinato. Perchè il poco tempo che avevo prima d'andarmene l'ho dedicato ad altro. Ad altri, a chi so io. Ed è sempre meglio.
Qualche tempo fa' mi sono ritrovato a dover metaforicamente arredare una stanza virtuale. Un'impresa ardua per tante ragioni, dovute all'emotività del momento che mi impediva di esser utilmente lucido e razionale. Dovevo cercare dentro di me le cose che odiavo.
Io non odio nulla, dicevo, l'odio è una cosa che non è nella mia natura, ad esclusione del pomodoro crudo che per me rappresenta la summa di ogni ribrezzo, e non chiedetemi perchè. Sono 25 anni che a casa mia si studia questa mia sghemba forma di psicosi. L'ultimo uomo in Europa* odiava i topi, io odio i pomodori crudi.
Io non odio. Ho sempre pensato che questa forma di avversione radicale mi fosse sempre stata avulsa. Che la morbosa sensazione di avere miccia pronta a scatenare una furia di malvagia e raccapricciante ansia di annientamento verso qualcosa  o qualcuno mi fosse fortunatamente preclusa. Ed è così nei confronti della gente. Io non ho mai odiato nessuno. Però da un po' di tempo ho capito che io odio.
Odio la banalità viscerale di chi urla nella camera attigua alla mia litigando con mia sorella di cazzate  esemplari da esporre come figura alla voce "stronzata" del dizionario DeMauro, impedendomi di leggere le ultime rilevazioni dell'ISAE sugli effetti della delocalizzazione produttiva. Odio che mentre sto cercando di decifrare talune matrici e regressori, odo di lontano che si sta spifferando il mio nome con estrema accortezza per evitare che io possa minimamente percepire che si sta ciarlando del mio conto, in maniera un tantino meno astuta rispetto ai nobili intenti fraudolenti. Odio discutere inutilmente per anni interi della possibilità di derogare ai diritti inalienabili dell'uomo a causa di una forma paranoica chiamata "gelosia" redditizia solo al conto corrente di Willy Pasini che può così vendere libri sull'argomento. Odio parlare di cose che sembrano ai miei modestissimi denti delle normali umilianti scemenze puerili, e scorprire che c'è qualcuno che si ostina a non volersi nemmeno impegnare a capire. Odio ricordare un amico di merda che per anni ti ha voltato le spalle, che si rifiuta di ascoltare il perchè di tante cose, che palesa in tutti i modi la sua cruda indifferenza nei tuoi confronti, e che risponde ad ogni tuo cordiale tentativo di instaurare una comunicazione asettica con un "non me ne frega niente". No, non odio tutto questo, non sono mica scemo a sprecare l'odio per queste bazzeccole. Per queste potrei solo ringraziarlo per avermi dato l'opportunità di essermi scrollato dalla mente l'esistenza di un essere inutile. Odio quando vai a raccontare i cazzi miei in giro. E non me ne importa un cacchio del fatto in sè, perchè il pettegolezzo è l'arte più sopraffina per sancire la propria demenziale esistenza, ma in un paesino di gente unicamente dedita al mormorio, ad i tizi con un alto tasso di pubbliche relazioni di tipo politico le dicerie fanno danni ingenti. Quando me ne andrò via da questo pattume deliziate pure le vostre patetiche serate con tutte le barzelette, io me ne fregherò altamente.
Un'amica me lo dice sempre... io non sono cattivo, sono un tipo paziente e conciliante (ma quando mai??? Io sono una persona MALEFICA, sono SATANICO, PAGANO senza timore di DIO e mi mangio pure i bambini, stando alle leggende...) ma rendo lampante un evidente tasso di intolleranza verso la stupidità universalmente riconosciuta. Che ci posso fare? Ora però c'è un fatto. Questo è un post ad elevatissimo tasso di stupidità ed io lo ODIO con tutto me stesso. Non è la versione che avevo scritto e che avevo cancellato, perchè quella era davvero seria, perchè in verità ci sono tante cose che odio. Cose che non conoscevo di me e che ho imparato a comprendere attraverso il susseguirsi rapido di varie sfighe, cose che mi impediscono di vivere bene quello che agogno: la libertà, la spontaneità e vitalità, la voglia di sperare nonostante
"l'ermo colle", e un amore che sappia davvero valorizzare chi sono, e darmi la possibilità di donare pienamente me stesso. Odio tutto quello che mi impedisce di essere chi sono. Odio la stupidità ed i luoghi comuni quando violentano il concetto di semplicità ridicolizzandolo al rango di mediocrità. La semplicità vuol dire chiudere gli occhi e sentirsi bene senza disporre di nulla, semplicemente accogliere lo star bene senza motivo, che nasce dalle piccole cose, dalla normalità che diventa straordinaria, perchè ci appartiene e ci immerge in sè, in un pacato sospendersi dei drammi intorno e dentro.

Ho litigato di brutto con mio padre oggi, perchè s'incazza per delle sciocchezze. Ed io non lo sopporto. Mi ha rovinato la giornata quel piccolo lampo di odio che ho provato per quei lunghi monologhi sciorinati ad alta voce alle tre di pomeriggio, mentre neanche Cucuzza lo fa addormentare. Eterne dissertazioni sul menefreghismo filiale che mina le basi della famiglia, ma chi cazzo sei Ruini? Ma vaff tu e la famiglia! Ma chi se ne fotte di 'sti formalismi massonici? Che ti gridi che nessuno sta a sentì un cazzo di quello che dici! Ma pensa alla salute! Cribbio!

*
"L'ultimo uomo in Europa" è uno dei titoli con cui veniva riconosciuto il romanzo di G. Orwell, 1984.

sabato 17 novembre 2007

Do Androids Dream of Electric Sheep?





Vangelis - Blade Runner - Rachel's Song


"Io non so perché il Nexus-6 mi salvò la vita. Forse in quegli ultimi momenti amava la vita più di quanto l'avesse mai amata. Non solo la sua vita, la vita di chiunque, la mia vita. "
(Rick Deckard)


Doveva essere un sabato relegato al silenzio. Un sabato dove la pioggia ed il gelo dovevano fare da semplice contorno consolatorio alla necessità che io rimanga stipato in casa a completare il mio formidabile lavoro. Doveva passare sotto silenzio, senza riversare per forza parole che talvolta stonano alle mie stesse orecchie. Spulciando tra le pagine di questo blog mi accorgo che sono cambiate tante cose dall'inizio, ed è strano come queste "orme" che lasciamo qui e lì segnino e conservino testimonianza di queste nostre evoluzioni. Va bene che questo blog è capitato per puro caso nel mentre una pagina svoltava violentemente nel breviario della mia trascurabile vita, però non si è davvero mai uguali a se stessi a distanza di pochi attimi.
Così
spesso all'inizio, quando non mi allettavano le riflessioni forgiate dalla mia pachidermica noia, finivo col parlare di un film, di una canzone dei Pink Floyd; ora invece preferisco star zitto, e crogiolarmi nell'ozio mentale.
Anche perchè non ho più molto tempo da perdere. Ed anche perchè quel sottile strato di indifferenza che segue alle delusioni è sempre pronto a rivestire le mie mani come una fastidiosissima pellicola in lattice che elettrostaticizza la pelle. "Elettrostaticizza" non esiste? Non importa, lo conio io il termine, del resto, se l'evoluzione della ligua è affidata alle mestruazioni verbali del senatore Guzzanti, che ogni tanto nei suoi sproloqui cala neologismi improbabili come l'asso di coppe quando la briscola è a denari... allora io, che sono molto più intelligente, posso inventare tutte le parole che voglio. No, non sono diventato presuntuoso. Lo ero già prima. E comunque non sarebbe motivo di grande vanto sentirsi più intelligente di costui...
Per inciso, non ce l'ho col senatore succitato, è che poi mi rompo a prendere in giro sempre lo stesso politico... se qui in giro ci fosse un parente dello stesso, o egli in persona... mi dispiace.
Che c'entra questo coacervo di inutili subordinate, coordinate e periodi ipotetici, con Roy Batty? Nulla, certa bella gente me lo ha fatto tornare in mente poco fa'. E poichè non dormo seriamente da mesi e sto cominciando pure io a vedere le pecore elettriche, comincio ad avere dubbi sulla mia reale natura.
Per conoscenza, il titolo del post è il titolo del libro da cui è stato tratto Blade Runner, film "meraviglioso" uscito prima che io nascessi. Quindi io non l'ho visto al cinema, e se ci fossero andati i miei, magari forse non sarei qui a scrivere cazzate, e mi sarei risparmiato tanti inconvenienti, e tanti in più ne avrei risparmiati ad altri. Ma in fondo, mi sarei perso uno spettacolo che al di là di tutto vale la pena di gustare fino all'ultimo sorso, la vita.
Così come forse qualche dubbio sulla natura umana la nutriamo sul protagonista stesso del film, quello che assomiglia ad Indiana Jones. Ma è uomo, o è anche lui androide? E chi lo sa... andatevi a leggere le recensioni degli esperti.
Non biasimatemi, sto rintronato dall'odio inconsulto che sto nutrendo verso l'irreperibilità di alcuni dati Istat.  Dicevo, effettivamente il film è zeppo di dubbi, imprecisioni, incongruenze...  Sembra quasi che gli uomini siano androidi e viceversa. Però che strana confusione... fin troppo articolata per essere casuale e non foriera di qualche riflessione...
Perché forse voleva dire che alla fine, da qualsiasi "fonte" la vita provenga, che sia un desiderio, che sia un orgasmo, che sia un miracolo divino, che sia un miracolo della provetta, che sia un miracolo di un biomeccanico fabbricante di androidi... che cosa importa davvero? Il punto a partire dal quale si muove il primo passo? Oppure la strada ed il tempo che la vita, da qualsivoglia natura provenga, proseguirà sino al suo compimento?
In altre parole: cosa rende l'uomo tale? Il suo corredo cromosomico, la mappa del genoma? O la voglia di esserci, di camminare, di "pensare" (cogito ergo sum), che cosa ci dà un senso e ci completa? Forse è la capacità di essere liberi nei sentimenti che proviamo, quello che distingue un essere fatto di carbonio, acqua, amminoacidi ed un cuore, da una mera insensibile pietra di calcare...
E Roy, che bruciava con il doppio dello splendore, desiderava solo più vita, voleva esserci, semplicemente era umano...
troppo umano (Nietzsche).

"Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione... e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire."

Già è prevista anche la fine. Perchè lo dice anche Camus: nel compimento di ogni cosa, nel "limite", risiede la bellezza e la nostra perfezione. Tant'è che molto più romanzescamente Tolkien ne Il Silmarillion, descrive la fine come un dono concesso agli uomini, secondogeniti di Iluvatar, un dono che rende speciale ed "unico" tutto quanto s'è vissuto, che altrimenti si perderebbe in un insensato infinito, come una pietra calcarea che perdura per sempre.

Forse è meglio che torni ad incrementare ulteriormente la mia brizzolatura galoppante con i dati Istat...
È tempo, porca miseria, di terminare il lavoro, sennò stanotte altro che pecore elettriche...


giovedì 15 novembre 2007

Sweetness



Volgi altrove i tuoi occhi.
Io che ho perduto ogni maschera
Non tratterrò a lungo quella poesia qui accanto
Che mi trapassa come vetro nel vento
E già ne pavento l'assenza
Quando si scompone il silenzio
In vacilli di gèmiti che accennano piano
Porti via con te ogni eco di dolcezza
Quella che mi ha spento la notte

lunedì 12 novembre 2007

1/4 100





Elton John - The Measure of a Man



Homo Faber Ipsius Fortunae


Secondo Machiavelli non esiste la fortuna, ma ognuno è soggetto al suo destino. Ho sempre cercato di permeare i miei giorni con un profondo Umanesimo. Ho sempre voluto liberarmi dal fatalismo e dalla mesta accettazione dei bocconi che l'esistenza ha tentato di farmi ingoiare, fossero pillole dolci od amare. Ho sempre voluto cercarmi da me il fiero pasto del mattino, per non dover ringraziare altri che la mia volontà; senza dover idolatrare in astratte e petulanti litanie le mie angoscie, le mie sconfitte, le mie speranze svuotate di senno. Non ho mai avuto la tentazione di crearmi un dio da rimproverare per la amarezze che ho attirato con la mia paranoica sfiducia nel mondo. Ho fatto, ho disfatto, ho voluto sempre profondamente quel che facevo, ho cercato di imprimere la mia sudicia impronta sulla rotta che ho imbeccato, eppure ho sempre più maturato la convinzione di non averci mai capito niente nella vita.

Ma in fondo, chi se ne frega... E adesso assaporo così la mia sera, come scrissi in un racconto probabilmente destinato a marcire inedito:

" [...] I picchi lontani sarebbero rinati all’aurora, quando la mattina avrebbe ridipinto ogni cosa identica a come s’era assopita al tramonto, per un altro giorno in più, con nuovi sgualciti ricordi da riporre con cura negli stipi serrati, e una strada da perc
orrere al pomeriggio.
Sarebbe rinato identico il mondo anche per lui, che poteva solo immaginare da qualche parte oltre le colline, l’umanità vera e lontana che stesse brindando alla vita, nonostante non riuscisse a non credere, che nei preziosi calici che l’esistenza generosamente offriva nel meraviglioso convito, non ci fosse altro che nulla."


La grandezza di un uomo

Queste mani battute sono tutto quello che hai
Questo cuore infranto è diventato di pietra
Con l'orgolgio appeso al Muro
Arriva un tempo quando i castelli cadono
E tutto quello che rimane viene spazzato via nella sabbia
 
Sei fuori dal tempo, sei fuori luogo
Guardati in faccia
Quella è la grandezza di un uomo
 
Questo cappotto che ti sta come un guanto
Queste strade sporche che hai imparato ad amare
danno il bentornato ai miei amici dispersi
Sei stato all’inferno e sei tornato
Solo Dio sa come hai attraversato questa spanna
 
Ritorni a bussare, ritorni all'inizio
Fidati del tuo cuore
Quella è la grandezza di un uomo
 
È il fuoco negli occhi, le linee sulla mano
Sono le cose che capisci
Legami permanenti dai quali sei scappato una volta
Quella è la grandezza di un uomo
 
Hai fatto un giro completo, ora sei a casa
Senza l’oro, senza il colore
E questo è dove sei sempre stato
Dovevi perdere per imparare a vincere
E sollevarti dai i tuoi guai più che puoi
 
Ora potrai amare, ora potrai anche perdere
Ma potrai sempre scegliere

Quella è la grandezza di un uomo

Traduzione by Alcor


Foto di Jerry Uelsmann, 1996.






domenica 11 novembre 2007

Mappa del cielo - Roma 12/11/2007 ore 00:00

Ad oriente Cancer si fa sempre più nitido ed alto, nonostante non brilli chissà quanto. Anche se qui intorno a me di cancerine ne ho diverse, e brillano eccome! Già comincia a spuntare Regolo (Leone) alle sue spalle, mentre Vega si spegne dolcemente a nord-ovest. Non so perchè, eppure la costellazione del Leone mi ricorda serate di primavera di qualche anno fa'. E siamo ancora a metà novembre... Corre davvero il tempo, ed io comincio a rendermene conto, al giro di boa dell' 1/4 di secolo della mia vita.
Quella vita che pare non esser più così importante quando, in maniera assurda, si continua a morire come è successo oggi. Non accenno mai alla cronaca, ma certe volte è difficile star zitti.

sabato 10 novembre 2007

Non più Muro





Pink Floyd - A Great Day for Freedom




Ieri è stato il 18^ anniversario della caduta del muro di Berlino. La cronaca impazzita di questi tempi lascia poco spazio alle riflessioni su eventi che devono restare impressi nella memoria collettiva come fossero i compleanni della nostra civiltà.
Io me lo ricordo, avevo 7 anni, ma me lo ricordo. Ricordo quel vecchio divano a tre posti di velluto verdone posto a circa tre metri dalla tv, ricordo mio nonno che pretendeva di sedersi al margine destro di questo, e ricordo il cuscino che soleva mettere dietro la schiena per mantenerla diritta, di modo da non ricordare gli acciacchi di un'esistenza onestamente forse meno opprimente di quella di un minatore belga, ma comunque assai intensa.
Vedevo gente in festa che tra fuochi d'artificio e birra a fiumi, con martelli, pale, bastoni cercava di demolire anche le singole pietre che precipitavano da quei bastioni in frantumi. E mi chiedevo perchè. Mi chiedevo il senso della distanza e della separazione. Mi chiedevo che cosa poteva portare a quella totale rinuncia della libertà, al senso della presenza dei confini tra i popoli.
Adesso io non riesco a canticchiare realisticamente "Imagine" di John Lennon, illudendomi di poter concellare la mappa politica del planisfero, e far sì che negli atlanti resti solo la mappa fisica. Non sono nemmeno un pacifista integralista senza se e senza ma. Con gli anni si capiscono tante cose, e tutte riconducono a quel senso di incomuncabilità che l'egoismo proprio dell'uomo non farà mai estinguere del tutto. Il male non lo si cancella, punto e basta, la violenza c'è e bisogna farci i conti. Citerei Darwin, citerei Hobbes, ma me li risparmio volentieri.
Ricordo i giorni con la febbre alta da bambino ed il terrore che infestava i miei incubi che materializzavo nell'enorme figura di un muro che si ergeva a dismisura dinanzi a me. Non mi schiacciava, non mi toccava nemmeno, diventava enorme dinanzi a me e con indifferenza mi atterriva, perchè cancellava il mondo oltre i miei occhi, soffocandomi... Il muro è sempre stato il mio spettro, fuori e dentro è la stessa cosa. Eppure di Muro qui ho parlato tanto. Quel giorno un muro cadde e la gente che si incontrava ai due lati di questo, s'abbracciava e si baciava come se fossero stati vecchi amici. E' più o meno quello che provo quando sento il muro crescere in me, la voglia abbracciare e salutare qualsiasi essere umano che potrei incontrare come fosse un vecchio amico. Sentirmi un unico essere con tutti, per il semplice fatto che esistiamo. Questo è il mio senso di pace. Ebbene sì, abbraccierei anche Silvio, anche se lui pur sforzandosi mi arriverebbe a malapena all'altezza dello sterno, lo abbraccierei e gli direi: ti voglio bene.



A Great Day for Freedom


Nel giorno in cui i muri caddero
Gettarono i lucchetti a terra
Ed alzando i bicchieri,
levammo un grido perché era arrivata la libertà.
Nel giorno in cui i muri caddero
La Nave dei Folli s'era finalmente arenata
Le Promesse accendevano la notte
come colombe di carta in volo.
Ho sognato che non eri più al mio fianco
Non restava calore, né orgoglio
E anche se avevi bisogno di me
Era chiaro che non potevo fare niente per te
Ora la vita si svaluta giorno per giorno
Mentre amici e vicini se ne vanno via
E c'è un cambiamento che, pur con rimpianto,
non può non essere fatto.
Ora le frontiere si spostano come deserti di sabbia
Mentre le nazioni lavano le loro mani insanguinate
Di lealtà, di storia in sfumature di grigio.
Mi sono svegliato al suono dei tamburi,
La musica suonava, il sole del mattino entrava,
Mi sono voltato e ti ho guardato
E tutto tranne un piccolo residuo è scivolato via, ….scivolato via.




(Pink Floyd, A Great Day for Freedom, The Division Bell, 1994)




Traduzione da http://www.pink-floyd.it/testi/home.htm





venerdì 9 novembre 2007

Giorni e Nuvole


Sono andato a vederlo con un'amica, sprofondando su una poltroncina in prima fila (prenota i posti la prossima volta, idiota di un Alcor!), e devo dire che mi è piaciuto tantissimo, anche perché son tornato ad andare al cinema dopo tanto tempo. A volte capita che una persona cara parli di un argomento nel suo blog ed io mi senta impedito nel riparlarne a mia volta, anche se abbiamo bacini d'utenza diversi. Stavolta infrango la norma perchè ci sono delle spigoalture di questo film che mi hanno coinvolto non poco. E non parlo della mera  questione lavorativa, perchè secondo alcuni io sono un disoccupato, per altri sono uno studente, per altri ancora (tra cui io stesso) sono un ricercatore universitario. Dipende dai punti di vista, se consideriamo il "lavoro" in funzione della retribuzione sono disoccupato; se consideriamo il lavoro qualcosa che sia "altro" dallo stare sui libri, allora sono ancora una specie di studente; se pensiamo che da quelli come me forse dipende parecchio della competitività di una nazione, allora io lavoro eccome!
Ma sono fermamente convinto che questo film utilizzi la mancanza di lavoro come un pretesto narrativo anzichè come il quid in sé. Questo film si inquadra nella scia di tutte quelle storie felici minate da uno shock negativo imprevisto che sconvolge ogni cosa, mettendo a dura prova i legami della vita. Mi viene ad esempio in mente "La Stanza del figlio", anche se lì i toni erano parecchio più drammatici. La sensazione di "precarietà" si vive non tanto nelle difficoltà materiali, quanto nella loro sopportazione emotiva. Ci si sente nudi all'improvviso di quella nostra anima che l'abitudine della esistenza ha provveduto, col tempo, a trasferire dal nostro IO in tutto quello che ci circonda, nelle attività in cui esercitiamo il nostro essere. Non voglio riprendere i discorsi sull'alienazione
del lavoro di Marx, ma voglio elevare questa situazione ad una più generale condizione esistenziale. L'uomo che violentemente strappato dalla sua dimensione di vita, qualunque essa sia. Ho avuto questa impressione nella scena in cui il protagonista (Albanese) si mette a fare lavoretti casalinghi ai vicini di casa, e all'improvviso scappa via perché s'accorge di quanto sia lontana la sua vera essenza da quella prassi di realtà. E poi trascorre giorni e giorni a letto senza alzarsi, senza trovare il coraggio per un colloquio, annegato in un'apatia disasatrosa che avvilisce l'umanità alienata, e potrebbe condurre a destare nel partner quel senso di pietà e misericordia che è la tomba dell'amore.
Ho rivissuto il non senso della mia sussistenza che ho dovuto auto subire in diversi giorni non così remoti, quando mi son sentito strappato dagl artificiosi equilibri nei quali avevo raggiunto una stabile accettazione della vita quotidiana, intonacata da abitudine e routine senza alcuno spazio. Non sempre un ergastolano che riceve l'amnistia si trova a suo agio nel mondo libero...
La rottura di equilibri, positivi o negativi è sempre un cataclisma imprevedibile, che si fuoriesca dalla gabbia o dal paradiso, alla fine, le due cose finiscono sempre per assomigliarsi.
Ma nello stesso tempo è qui che emerge la grandezza del personaggio di Elsa (Margherita Buy), che non cade mai nella pietà verso il marito, anzi, nella scena in cui si lascia sedurre dal suo capoufficio emerge anche la sua voglia di riscatto morale, il suo diritto a non doversi mai accontentare, che impedisce di sviluppare quel sentimento di compassione nei confronti del povero marito smarrito nella sua nuova inettitudine con la vita. Un apparente peccato di debolezza diventa l'àncora di salvezza per la donna che in quella piccola fuga fissa la sua libertà che le consente di esserci davvero alla vita, e lo consente anche ai sentimenti che possono rigenerarsi  genuinamente. E' così che l'amore tra i due potrà trovare una via di speranza nonostante le incertezze. Per questo motivo la storia si "interrompe" così, quasi bruscamente nel finale.
La vera storia è data dalla parabola compiuta dai sentimenti dei due, che si conclude lì. Non sapremo mai se lui troverà lavoro, se lei continerà a fare i suoi sacrifici, non ci serve saperlo; ci serve sapere che l'amore ha superato la prova più difficile, ha oltrepassato le nuvole. Ancora una volta si giunge alla salvezza dei sentimenti grazie ad un peccato, a quell'attimo di infedeltà riprovevole che può apparire crudele. La salvezza passa attraverso il giogo perverso di un male inaccettabile, perché la vita è profondamente ingiusta ed ogni cosa ha un suo prezzo. Bisogna far finta di nulla, e si riesce ad andare avanti; quindi alla fine un po' di sana, ma non cieca, indifferenza riesce a mantenere in piedi anche una personalità fragile. Chiamatelo orgoglio, per chi ci riesce.

mercoledì 7 novembre 2007

Open




Una porta s'allarga sul medesimo cielo
ma se noi siamo la cornice dei nostri atti
un altro mondo può scappare oltre la comprensione del nostro sguardo,
coraggio.




martedì 6 novembre 2007

Dott. Alcor, one year later







Nella sera di San Leonardo dell'anno scorso sono diventato dottore. Non che me ne freghi qualcosa, che la vita sia migliorata o peggiorata professionalmente parlando, continuo a studiare, è la cosa che so fare meglio, è cambiato solo che agli esami mi trovo dalla parte opposta della cattedra; mi sento dare del "professore" da studenti magari anche più grandi di me.
Il 6 novembre è solo una data, una convenzione scritta accanto a proverbi, oroscopi e ricette di dolci su fogli di carta appesi al muro della cucina. Nel corso della vita abbiamo bisogno di fissare degli appuntamenti con noi stessi, lo facciamo per chiarirci sulla destinazione del nostro viaggio e sul senso di quello che abbiamo attraversato fino a quel momento. A quegli appuntamenti arrivo sempre in ritardo, e dopo aver fatto una corsa estenuante per rincorrere il mio tempo, giungo col fiatone a rendermi conto che nessuno mi ha mai aspettato.
La poesia di Baudelaire che ho trasformato in un video quassù con la musica di Philip Glass (Truman Show Soundtrack) doveva essere l'intro di un piccolo corto che dovevo girare sulla mia laurea. "Elevazione", quel giorno doveva essere un punto di rottura della mia vita, invece non è stato altro che uno strettissimo budello che separa le due ampolle di una clessidra che si rovescia all'infinito. I nostri giorni sono saturi di prossimi starting point per le nostre attese e speranze. Dobbiamo per forza disseminare il futuro di rampe di lancio in cui rimandare ogni volta il nostro salto, e passiamo mesi ed anni a trastullarci in una vana attesa dettata dalla paura. Ingoiati dalle ombre, è più facile aspettare comodi un domani che magari è già diventato ieri…







Time


 Ticchettando via i momenti che riempiono giorni noiosi
Sciupi e sprechi le ore in una strada fuori mano
Scalciando in un angolo della tua città
Aspettando qualcuno o qualcosa che ti mostri la via.


Stanco di giacere nella luce del sole o stando a casa a guardare la pioggia
Tu sei giovane e la vita è lunga e c'è tempo da sprecare oggi
Ma poi un giorno trovi che hai 10 anni dietro di te
Nessuno ti avvisa quando correre, hai mancato lo sparo della partenza.


E tu corri e corri per raggiungere il sole, ma sta già tramontando
E ti sta correndo intorno per rispuntare alle tue spalle
Il sole è sempre lo stesso nella medesima strada, sei tu più vecchio
Col respiro più affaticato e un giorno in più vicino alla fine.

Ogni anno diventa più corto, e nessuno sembra trovare il tempo
Progetti che finiscono nel nulla o nelle mezze pagine di diari scarabocchiati
Sopravvivere in una quieta disperazione alla maniera inglese
Il tempo se n'è andato, la canzone è finita, e pensavo di dover dire qualcosa di più.


 


(Pink Floyd, Time, Dark Side of the Moon, 1973)


lunedì 5 novembre 2007

G Point


Da oggi quando sentirò l'impulso distruttivo ad occuparmi di politica, violando il mio imperativo categorico a tener fuori da questo blog alcune questioni che mi imbastardiscono la reale esistenza, lo farò solo per far risaltare l'indecenza della nostra pseudo classe dirigente.
Questi miei interventi saranno accompagnati dal bollino qui a sinistra, il migliore marchio di qualità per certificare le boiate che dobbiamo leggere sui giornali e non solo.
Del resto di carne a fuoco ne abbiamo tanta, e non ho ancora esplorato l'argomento Mastella...
Perchè una volta il buon Benigni disse che con determinati tizi al governo "è vero che facciamo una brutta fine, ma almeno ci facciamo due risate!". Lo so il periodo grasso del divertimento si è concluso a maggio 2006 (per fortuna), ma non è detto, ultimamente qualcosa si sta risvegliando... Vabbè che se volete ridere basta vedere come gioca il Milan... Milanisti perdonatemi, ma io sono coerente e non voglio conflitti d'interesse quando devo provare antipatie per qualcosa.
Perciò comincio da lui, la star.

Da La Repubblica di 2 giorni fa':
"Il punto G delle donne è l'ultima lettera di shopping"
La battuta dell'ex premier Berlusconi alla fiera dell'antiquariato di Verona

Verona - L'ultima di Berlusconi. "Ho scoperto che cos'è il punto G delle donne... E' l'ultima lettera di shopping". Il Cavaliere non resiste e regala questa battuta al termine di un breve giro negli stand della Fiera dell'antiquariato a Verona. Nel corso del tour, ha regalato un bracciale in oro e corallo alla moglie di Alfredo Meocci, ex Dg Rai, oggi vice sindaco della città.

Decisamente di buonumore, Berlusconi ha quindi scherzato con alcune signore anziane presenti: "Vi vedo un po' birichine, fate le brave con i vostri fidanzati". Qualcuno gli ha detto: presidente, lei è così allegro, ma il Milan... "Aspettate che torni Ronaldo e Pato e non ce n'è per nessuno".



Ecco perchè
dopo i 70 il buon Silvio ha dovuto inventarsi "3 minuti con Mediashopping"... per soddisfare le legittime esigenze della signora Veronica. Ma Silvio durava solo 3 minuti?

sabato 3 novembre 2007

Conseguenze...




Mi piacerebbe conversare qui di tantissime cose. Ogni tanto mi ritrovo a ciarlare di quello che mi gironzola intorno, perché sono tutt'altro che una persona rinchiusa nel suo giardino interiore, intenta soltanto a potare il prato delle proprie ossessioni. Magari fosse così... eppure sono spesso tentato di gettar via due parole sulle cose del mondo, sulle bizzarrie della realtà; vorrei parlare della finanziaria, vorrei parlare di un nano pernicioso che si aggira lungo lo stivale, del dossier statistico Caritas sull'immigrazione, o semplicemente del mio lavoro.
Ma ci tengo a mantenere il più puro possibile questo angolino che mi sono scavato col tempo, una piccola tana dove poter mandare dolcemente al diavolo cose e persone senza che irrompa il senso di colpa del mio odioso senso del dovere.
Strana forma di patologia la mia misantropia continuamente violata e disattesa. Tutto ha un prezzo, l'ho scritto da qualche parte in questi giorni, ed io sto diventando avaro. La mia più grande paura è di affondare ancora un volta nell'indifferenza, quella oscura maschera di severità che mi fa stimare ogni cosa come fosse insulsa e vana, come se nulla valesse la pena di essere nemmeno pensato.

"Sono le piccole cose, le più grandi. Conseguenze"

Pochi giorni fa ero a spazientirmi dietro un'interminabile fila per delle importantissime pratiche amministrative. Sarei rimasto lì a pietrificare le membra per ore, finchè non ho voltato le spalle alla mia monumentale pazienza rinvigorita dall'eredità lasciatami dalle mie recenti esperienze di vita concluse. E così con la mente già prona sulla mia scrivania
casalinga, abbandonavo tutto...
Il mezzo che doveva portarmi a casa si metteva in cammino mentre io a poche decine di metri lo guardavo non potendolo raggiungere.
Ma una persona che conosco mi prende una spalla, un amico che lavora da quelle parti. Si occupa di immigrazione e mi invita a prendere un caffè. Dopo dieci minuti sono con lui ad una conferenza sui flussi migratori in Italia, e dopo due ore sono a dialogare con altre persone che si occupano di questo tema.
Dopo due ore e mezza una persona conosciuta poco prima mi dice di dargli del TU e mi porge il suo biglietto da visita, devo contattarlo presto per ricevere delle informazioni importanti.
Si parlava di fuga dei cervelli, e forse la prossima estate potrei salire su un aereo che atterrerà a Sidney, forse dopo un periodo trascorso lì a fare ricerche potrei stabilirmi definitivamente a proseguire il mio lavoro. Quel lavoro che qui mi riduce alla fame e allo stento, che in pochissimi riescono ad amare alle mie stesse condizioni, e che in un qualsiasi altro paese normale sarebbe retribuito con oro zecchino...

"Conseguenze"

Se fossi diligentemente rimasto in fila a torturarmi nella folla, quell'aereo non sarebbe mai apparso nei miei disegni mentali.
Forse quell'aereo non decollerà mai se non in un'altra illusione, che serve a creare un traguardo feticcio in cui far convergere il punto di fuga della mia attuale nebbiosa prospettiva di vita...
Forse ci saranno tante altre infinite piccole cose a distorcere gli scenari. Forse domani mi squillerà il telefono, o forse la mia chitarra mi accompagnerà mentre strimpellerò sotto un ponte irlandese con in tasca una bottiglietta di cordiale per sconfiggere il freddo sotto la pioggia che rimbalza dalla visiera della mia coppola in tweed, distillandomi un prurito negli occhi.
E chissà quant'è grande il mondo...
E chissà se entrerà tutto intero nei miei occhi...

Ladies and Gentlemen, we are floating in space...


Ed il cielo in cui galleggio mi fissa, come un cieco che non vede oltre i suoi ricordi, e i suoi rimorsi.

venerdì 2 novembre 2007

Novembre





Theme from Vanilla Sky Soundtrack


Novembre, il mio tempo; dove io vivo è sinonimo di nebbia e nuvole. L’aria umida che sale dal mare si addensa in un manto di panna schiumosa che abbraccia la collina facendola svanire agli occhi della valle. Io non calpesto più alcuna terra, la mia casa ha le radici tra quei foschi vapori che, come un bianco velo posato sul lume acceso accanto al letto per render meno sconosciuta la notte all'insonne, filtrano e spandono un candido bagliore nei sorrisi notturni della luna. 


Non resta che sfidare la vertigine e l'ansia del vuoto, quel vuoto che scompiglia i capelli travestendosi da un burbero sbadiglio del vento, diffondendo tra aliti stonati e infragilite foglie il richiamo d'un letto di cartoni e giornali per i miei sogni ormai nomadi. Quelli che s'allietano delle fuggevoli comparse del nostro viaggio, protagonisti inconsapevoli durante quelli che permangono alla zoppa memoria come le note incerte di corde allentate in una chitarra stordita. Quelli che s'attardano ogni notte sulle panchine di stazioni sempre nuove, senza un tetto di stelle e senza un cuscino di piuma d'oca.


Il vuoto che fuori e dentro spazzola le serate dalla polvere d'un'incontenibile frenesia di ridere senza  ragione di quella beffarda sorte che ti tiene ancorato alla vita, nonostante tutto. Mi ricorda con quanti passi ho sporcato i miei giorni, mentre piano mi separo dal limite che rende tutto assimilabile alla normale percezione della bellezza.
Per esser vero e adorabile, tutto si deve poter spegnere e raccontare.
E trasmigrare da pensiero a ricordo.
Come un passero che insegue una rondine nel suo perenne rincorrere un mattino di sempiterna estate.


Novembre, mi accesi in seno ai tuoi occhi rossastri, mentre distratto covavi chissà quali deliri.


Felicità?
Vivere una vita vera, quella vertigine in bilico nel vuoto, non fa paura.