venerdì 29 maggio 2009

Von

Sono stato comunista con i soldi di mio padre.

Leggendo Marx, sfogliandone le pagine con le mani asciutte, immaginando che tipo di disgusto potesse venire dal tanfo di una fabbrica.

C'è ancora molto da cancellare.
Piccole tranches di interiora da stendere ad asciugare; per riciclare tutto quel silenzio che ha riempito di merda le pareti dello stomaco, i perimetri delle mie parole, e la condensa dei miei propositi.

Colgo la minaccia di un livore nel sottosuolo di quelle considerazioni che devo ancora concepire, e in quelle che subentreranno accorre già l'amaro riscontro al sospetto.

Ma non c'è niente.

E la calca prosegue.

Devo fare qualcosa in più? Qualche pratica da esperire ancora? Ora non c'è più spazio. Mi lascio perdere.

venerdì 22 maggio 2009

Immigration

Il caldo torrido al gusto di furani imbottiva il tremulo sguardo verso la strada oltre le cacate di guano che cospargevano il parabrezza dell'auto.
La stazione era tutto un brulicare di pantaloncini, alla vista dei quali rispondeva tra i miei jeans un effetto serra di tipo venusiano.

- Giuse', quando arrivi a Napoli?

- Tra quattro ore.

- Che ti serve?

- Mah, un quotidiano. Mi servirebbero anche le sigarette, ma so che tu, genitore, disapprovi. Indi per cui non appena ti estrometterai dal mio campo visivo mi infilerò nel tabaccaio per fare lo Zeno Cosini della situazione.

Mi giunge tra le mani una copia de Il Riformista. Trattengo a stento la sfortunata poltiglia di patate ancora stagnante nel mio duodeno, e mi turo il naso.

Domenica 17 maggio 2009 è una data da rimembrare perché è il giorno in cui posso affermare con la dovuta certezza che Gian Paolo Pansa è incontrovertibilmente rincoglionito.

Errando approdo su una rubrica che questo canuto intellettuale testicolare gestisce sul quotidiano di cui sopra. Il tema è sempre lo stesso: l'immigrazione e la sicurezza.
Perché la sinistra è contro le ronde? Narra così il Pansa, sinteticamente: "le ronde rispondono ad un'esigenza di sicurezza che la sinistra non sa cogliere. Che c'è di male se liberi cittadini si armano sentimentalmente di un incondizionato amore verso una porzione di genere umano, e contemporaneamente vanno in giro a pestare a sangue la restante porzione?

Che c'è di male? C'è che in questo paese di merda dove il libero mercato è sostanzialmente una bufala, l'unico monopolio che si vuole scalfire è il monopolio della violenza legittima, che rappresenta il fondamento su cui poggia l'essenza stessa dello Stato sovrano.

Che cavolo è lo Stato? Un'istituzione sociale che deve tutelare la vita dei cittadini, tutelarne la libertà e i diritti, garantire a tutti le stesse opportunità (socialismo), adempiendo a queste funzioni attraverso la regolazione dei rapporti sociali. A garanzia dell'efficacia dell'azione dello Stato esiste l'istituto della "sanzione" che Norberto Bobbio insegna essere il tratto caratteristico della norma giuridica, il connotato della sua validità.

Se la sanzione è il connotato della norma, essa rappresenta la peculiarità dello Stato che quelle norme emana. In altre parole, se le sanzioni non le commina lo Stato, questi non serve ad un emerito cazzo.
Pur di salvaguardare la tenuta del tessuto sociale, lo Stato, dice Hobbes, può e deve avvalersi anche di forme di repressione non indolore.
Ma agendo in nome della collettività, avendo come scopo la salvaguardia dell'intero corpo sociale, lo Stato può.
Il poliziotto può ferire il malvivente in una sparatoria. Lo Stato può ricorrere alla violenza per sopravvivere.


Lo Stato può, non un deficiente che non ha un cazzo da fare la sera.

Il problema non è l'insensibilità alla questione sicurezza, caro Pansa, è che non vorrei mai vivere in una nazione dove elementi come La Russa e Maroni oltre a non aver alcun valore reale, non abbiano nemmeno un valore nominale.

Voltiamo pagina. Si soffoca. Napoli insegna due cose fondamentali e d'avanguardia. La prima: la privacy non esiste. Facebook ci fa un baffo. C'è talmente poco spazio per fare le cose che è impossibile che qualcuno non ti stia guardando.
La seconda è, infatti, muoversi sfruttando ogni millimetro disponibile.

Come novelli Che Guevara e amico argentino. di cui non rimembro le generalità, ci mettiamo in sella al motociclo e percorriamo tutta la costiera di buonìora.
Al mattino il Vesuvio fende l'aria che è una bellezza. I faraglioni emergono all'orizzonte, il casino delle auto ci accoglie a braccia aperte, fagocitandoci.

Non me ne sono accorto, perché ad ogni dribblante sorpasso dovevo controllare se qualche TIR da noi sfiorato non si fosse portato seco il mio ginocchio, ma avevo da poco perso i miei occhiali da vista.

Il Consolato è circondato da carri armati. Sono tranquillo, non porto borse, non ho telefoni, sono vagamente pettinato, sono senza barba.
Ovviamente mi perquisiscono.

Un arabo vestito da italiano mi accoglie. Si prende  i miei documenti, le mie carte e mi dice di attendere. Prendono tutti i tipi di impronte, mancava solo un calco delle chiappe sull'argilla.
La Console mi chiama.

Era bona. La Console americana di Napoli è bona, sappiatelo.
In un Italiano spurio, comincia a parlarmi.

- Lei non studia...

- Ufficialmente no (faccio il prof di contrabbando, avrei voluto dirle...)

- Lei non lavora... (valle a spiega' la politica...)

- Momentaneamente mi sto dedicando a dilapidare  i miei risparmi accumulati in anni da precariato.

- Perché lei vuole andare negli Stati Uniti?

- Perché lì c'è che mi ospiterà..

- Ma lei non lavora, non studia, non ha legami qui.

- Purtroppo li ho i legami, mi creda, li manderei tutti a fanculo, ma li ho i legami..

- Non possiamo darle il Visto. Lei è un potenziale clandestino.

Un'immagine si è dipinta nella mia mente, quella dell'Ayatollah Koemini. E per un attimo ho rimpianto la mia pelle liscia e ho pregato Allah.

Non sono esistito per pochi minuti. Giuridicamente sono scomparso perché non vigeva una forma legale entro la quale qualificare la mia esistenza; agli occhi della società io non ero mai apparso concretamente; ero intangibile.

Ho perso gli occhiali da vista scorrazzando su una moto su strade e scenari incantevoli; inculato dagli americani e dalle loro norme, ed ero certo che non sarebbe finita là, sicuramente.

Il lungomare riduceva gli uomini in bistecche al sangue.
Guardavo quelle isole e pensavo: "La vita è 'na strunzata". Ogni volta che penso mi faccio del male, e mi strombazzano in mente nocive trovate.

Alla fine gli americani li raggiro. Perché le vie sono misteriose.
Come un turno al monopoli a cui si deve pagare dazio ovunque. In ogni casella capita qualcosa, al punto tale che anziché ritirare la carta degli "imprevisti", ritiro la carta dei "previsti", che sono molto più rari e insoliti.

Capri, me ne volevo andare a Capri, o ad Ischia, o in qualsiasi sputo di terra al largo di quelle magnifiche coste.

Che ne dici, scema? Ad ottobre? Se esisto ci andiamo.

martedì 19 maggio 2009

Un ottimo maestro di vita

- Sai, Alcor, si è portati ad apprezzare coloro che ci trattano male perché si ha la necessità di andare sempre alla ricerca di qualcosa anche senza ottenerla... Così è più facile ambire a raggiungere quel qualcosa che ancora manca: un pezzettino di...

- ... di cervello. Un pezzettino di cervello, vi manca. Hai ragione.

 



Impronte di te
le storie da scrivere
in mano un cazzo

sabato 16 maggio 2009

Fetor d'adrenalina

- ...Noi a questi giovani crediamo, su di loro vogliamo investire. Perciò vediamo lui come si comporta. Questo momento è una specie di esame.

- Onorevole, non solo i giovani sono sotto esame (soprattutto chi si fa eleggere nelle liste bloccate)

Per confezionare tutto questo occorre:

farsi la barba;
un amico che ti scatta le foto e due occhi verdi con cui prendere l'aperitivo;
lo scoglio contro la marea, lo sguardo democraticamente dispensato e le mani non in tasca;
tenere il foglio degli appunti piegato inutilmente in saccoccia;
300 soldati in una legione sparsa su un diametro di 120 chilometri;
un bel sorriso;
la convinzione che non si smetterà di fumare;
un padre che al ritorno a casa di sera è capace di salutarti con un: "ma che cazzo è che stai facendo?";
The Carpet Crawlers dei Genesis a portata di orecchio;
riuscire ad essere immuni alle leccate di culo e alle sparate di fica quando si è in servizio;
l'ubiquità;
due numeri di telefono;
un biglietto aereo transatlantico che sai bene come saprà spegnere tutto questo a breve;
capacità di tollerare le scorie democristiane;
saper fingere di non essere fascisti;
una macchina che arriva a 130 Km/h senza traballare.

Nonché:
magnanimità avverso l'opportunismo sfacciato;
un pochino di rabbia da riversare su qualche cazzone prestato al consumo improduttivo di suole di scarpe;

e qualche pensiero da provare a mandare a fanculo.

L'anno scorso, di questi tempi, la vita era bella.

venerdì 8 maggio 2009

La setta degli insonni

- Se seguiamo questo tuo ragionamento, la condizione di instabilità generale spegne ogni possibilità di preservare le relazioni.
Se accettiamo supinamente una realtà che costringe le persone ad un posizione di angolo retto, lasciando che questo modello di società abusi indisturbatamente del libero accesso al loro posteriore, potrebbe anche verificarsi che chi sta bene insieme sia costretto a separarsi improvvisamente.
Se ci si può ritrovare da un momento all'altro scaraventati in angoli remotissimi dell'emisfero boreale, sarebbe impossibile mantenere in vita dei rapporti. Stando a questa linea di pensiero, sarebbe eccessivamente improponibile qualsiasi forma di coinvolgimento, perché foriero di fallimento  per la caducità del concetto stesso di vicinanza tra le persone.
La tesi che tu avanzi, di rivalsa verso questa impostazione, Alcor, è corretta. Non fa una piega. L'antidoto alla dispersione, indotta dal casino della modernità, è puntare più sui sentimenti che su altre dinamiche.
Io sono convitamente d'accordo con te.
Ma c'è qualcosa che tu hai trascurato. Quando mi sono trovata in queste situazioni, sai a cosa pensavo?
"E se mi fosse venuta all'improvviso voglia di prendere un caffè con la persona che amo?"

- Ma porca puttana, cazzo, non avete uno straccio di esempio diverso da questo? Fanculo ai caffè improvvisi...

- Pensavo di essere l'unica ad aver avuto questa intuizione, a dire il vero...

- L'unica il corno...

- Avrai pure delle altre occasioni, Alcor...

- Certo che potrei averle.

- L'importante è che tu non dorma, e che tu riesca a non fartele scappare...

- Uhm...

- Hai capito, Alcor? Non devi dormire... le occasioni...

- E quali occasioni ci sarebbero?

- Buonanotte Alcor...





Perché tutte le volte che mi capita di uscire con qualcuna, finisco col rilasciare interviste?

giovedì 7 maggio 2009

martedì 5 maggio 2009

Il conto al tavolino

"Ogni sera vado a letto e penso a quello che ho fatto durante il giorno, e poi mi addormento."

Ora, se io ho provassi a fare davvero questa pratica delittuosa, stasera uscirebbe qualcosa di questo tipo:

Ore 7.00  - suona la sveglia. Ore 7.01 - prima infrazione: bestemmia. Perché tutto questo? Perché dormito male, come al solito.

Ore 7.03 - comincia a squillare il telefono, le ragioni sono le più disparate, le più insulse, le più intollerabili.

Indecente routine fatta di colazione e colluttorio.

Lavoro in proprio fino alle 9.30. Consegna delle cartelle commissionatemi. Esco.
Ore 9.32 - Ennesima contravvenzione al "vietato fumare" della mia lercia esistenza.

Prosieguo di indecente routine: barbiere, rassegna stampa, commissioni.

Ore 13.30 - rientro a casa: trovo il macello.

Il resto della giornata: fare un migliaio di cose con quel macello che nitrisce nel mio cervello.

Giungere alle 2.28 e pensare all'ennesimo giorno trascorso a perdere tempo nell'inutile intento filantropico.
Ad aver fatto discorsi vuoti e ripetitivi ad una piccola porzione di umanità.

A non aver portato a casa nemmeno un contributo utile alla pensione.

Ai 5 caffè, alle 3,00 euro di parcheggio, ai 2 baci ricevuti.

Al rimugino continuo. Alla coscienza pulita, ma con la sensazione di vedervi sopra i tratti salienti delle rinunce e delle ribellioni, come la Sindone.

Alle incomprensioni che non si decristallizzano.

Al perché non ci si vuole comprendere.

Agli errori.

All'inconscio malefico che giace in fondo al desiderio di odiare e farsi odiare.

Alla  ricerca della maniera giusta per saper prendere le cose della vita:
In culo.

domenica 3 maggio 2009

Confidential

La diversità del genere umano dal resto del creato si spiega a partire dalla capacità di inganno. Del resto il vizio di incaponirsi ad imitare la genesi è una scelta rispettabile.
Ci si stiracchia con piacevole comodità in un mondo artificiale nel quale è superfluo inventarsi formule di mediazione con l'altrui cervello.
Si risparmiano  utili joule da spendere altrove come bonus, e si sviluppa una discreta creatività che rende bastardamente brillanti.

Avere il mondo esterno sotto il proprio illusorio controllo implica sapere scegliere le giuste dosi di sincerità e menzogna, da somministrare mediante quelle fionde sorridenti capaci di mantenere quei poveri sfigati nella opportuna distanza.

Ignorando il lavoro che si consumava dietro le quinte di quella buffa mascherata che si replicava ogni momento, percorreva quella strada alla famelica ricerca di ragioni e spiegazioni.
Come se la risoluzione dei suoi crucci risiedesse nella esplicazione chiara dei risvolti inespressi del capovolto percorso della sua quietata speranza.

Senza tenere in debito conto il freddo che inevitabilmente si intrufola nelle carni stirate dal gioco languido dell'abitudine e dalla prevedibilità di ogni incontro, scandagliava la riversa luna specchiata nei fondali del pozzo che gli si era aperto in gola.

Non era capace di piangere, ma era ancora capace di radersi il volto chiaro ogni mattina, con la stessa meccanica precisione.
Intatto era ogni ricordo appeso al muro; ed ogni esca era ancora appesa all'amo delle sue aspettative, benchè la lenza della sua volontà fosse stata già unilateralmente recisa.

Tuttavia non poteva darsi pace. Aveva necessità di sapere le ragioni di quella repentina e scomodissima solitudine piombatagli in testa come una violenta bastonata ai danni di un distratto.

Suonò a quel campanello ed una voce di donna precedette le braccia che sincronicamente splancavano le verdi imposte che piombavano sulla disordinata cucina.
Lì si accomodò, avido di rastrellare le confidenze di quella donna sorridente, con i capelli sporchi, distolta dalle rammendanti faccende in linea con le sue confuse usanze.

Lo sguardo dispersivo di lei si accompagnava ai suoi gesti con cui mimava la necessità che egli si rassegnasse. Quella donna rappresentava l'unico ponte possibile tra quel disgraziato elemosinante ed il ripristino di un recinto entro il quale lui aveva stabilizzato il suo sordido sguazzare.
Aveva provato in tutte le maniere a forzare la mano con colei che lo aveva rimosso dalla propria sorte con vigorosa ed indecifrabile prontezza.
Non poteva avvicinarsi all'oggetto del suo tormento. A quell'essere che era fuoriuscito lasciando un vuoto contorno alla piacevolezza con cui riusciva ad approdare dalla condivisione regolare di quelle canoniche situazioni.

E quella donna che le offriva del té era la sua unica fonte di dati, in virtù dei quali scegliere l'indirizzo della sua bramosia.

Plasticamente la donna indicava quale via d'uscita a quella folle speranza di ritorno. Sorrideva mentre parlava allo sventurato di momenti di lontananza, di recupero di autostima, di rifugio nell'orgoglio, nella saggezza di riuscire a camminare con le proprie gambe.
Gli somministrava un inutile farmaco, inefficace per chi non era nelle condizioni di sapersi guadagnare la felicità attraverso le proprie uniche mani.

La donna sorridendo disponibile provò a spiegargli la complessità dell'universo femminile, guarnendo i discorsi con i solidi suggerimenti su cui  poter magari posare barlumi effimeri di speranza. Non mancando, in verità, di biasimare il disperato per i suoi eccessi.

Così, tra uno schiaffo ed una carezza materna, da amica sincera, lo calmò invitandolo a recuperare nelle proprie redini il corso della sua vita.
Come una lenta separazione, lui doveva lentamente accettare la sua solitudine, e fare tesoro dei suoi risvolti, magari provando un minimo ad indurire le palle.

E lei, la donna maestra, gli tese la mano. Poteva sfogarsi ed aprirsi con lui ogni volta che  avesse sentito la necessità di chiarire qualsiasi dubbio, oppure semplicemente per trovare una compagnia di conversazione che amichevolmente lo aiutasse nella tortuosa risalita verso il recupero di se stesso.
La magnanimità e la saggezza di lei, lo rincuorarono.
Deluso dall'impossibilità di ritrovare quanto aveva perduto, almeno si lasciò avvincere dalla consolazione e dalla fiducia che in quella donna poteva riporre.
Era convinto che in ogni momento costei sarebbe stata un argine a cui fare riferimento per mantenere in vita un lumicino di gioia.

Lasciò quella casa, con un mezzo sorriso.

Non appena il fesso andò via, la donna non perse tempo e chiamò la sua fidata compagna, colei che popolava le turbe del giovane disperato.

- Se ne è appena andato, è stato qui un paio d'ore a confessarsi. Sta ai piedi di Cristo, poveraccio...

- E tu?

- Ed io per colpa tua ho dovuto tenerlo qua a piangere per tutto questo tempo. È pesante, è insopportabile, non lo voglio più soffrire! Che cosa vuoi  che importi a me di quel povero idiota senza palle?



venerdì 1 maggio 2009

Atom Heart Alcor





Se fossi un cigno, me ne andrei.
Se fossi un treno, sarei in ritardo.
E se fossi un brav'uomo,
parlerei con te
più spesso di quanto faccio.



Se dormissi, potrei sognare.
Se avessi paura, potrei nascondermi.
Se impazzisco, per favore, non ficcatemi
I vostri cavi nel cervello.



Se fossi la luna, sarei freddo.
Se comandassi, vi sottometterei.
Se fossi un brav'uomo, capirei
Le distanze tra gli amici.



Se fossi solo, piangerei.
E se fossi con te sarei a casa, all'asciutto.
E se impazzisco,
Mi farete ancora partecipare al gioco?


Se fossi un cigno, me ne sarei andato.
Se fossi un treno, sarei di nuovo in ritardo.
E se fossi un brav'uomo,
parlerei con te
più spesso di quanto faccio.