Simone si faceva attendere, abitava in una palazzina al centro. R. non sapeva nemmeno a quale piano fosse il suo appartamento, lei gli aveva detto solamente che non sarebbe venuta sola. E l'ansia di R. cresceva e non s'affievoliva col prolungarsi dell'attesa che avvicinava quell'incontro.
La rivedeva dopo tanti anni, erano tornati a incrociarsi quasi per caso, durante una manifestazione pubblica.
Quella volta R. restò ammutolito nel rincontrarla in mezzo a tutta quella gente. Lei non lo aveva riconosciuto, sebbene il volto sorridente di R. fosse rimasto quasi intatto tra qualche incavo rugoso sulle guance, e i capelli un po' meno neri. Non aveva più la barbetta, lasciava visibile la fossetta sul mento che gli rendeva meno aguzzo il volto.
Lei, invece era sempre stata bellissima. Una bellezza che le era stata cucita addosso nell'attimo esatto in cui era stata pensata, e che non le sarebbe mai scomparsa. Vestita come sempre in maniera un tantino scanzonata ma profondamente aderente a se stessa, con quella larga sciarpa verde, ed i capelli lisci sciolti sulle spalle.
Gli sembrò che la vita si fosse immediatamente riaccesa dopo anni di buio e di silenzio; che si fosse rialzata da quella lettiga di contingenze senza importanza nella quale s'era adagiata, dopo che Simone era andata via.
Prima che lei sparisse definitivamente c'erano stati giorni di penombre e di silenzi congelati nella distanza che intercorreva tra loro. Giorni in cui R. sapeva di soffrire come un cane, ma non glielo diceva, un po' per orgoglio, un po' per non condizionare l'atteggiamento di lei, che voleva fosse il più naturale possibile nei suoi confronti.
Non era mentire. Era solo il desiderio di non voler dare troppa importanza a quella mancanza, a quella che era quasi una nostalgia che agli occhi di lei non aveva nemmeno poi tanto senso. Ma i sentimenti si propagano nella vita a prescindere dall'importanza che si vuol attribuire loro.
Ed R. aveva troppo sopravvalutato la sua capacità di resistere dinanzi a tutto questo.
Per poi ritrovarsi, nel giorno in cui l'aveva rivista in mezzo a tutta quella gente, a scoprire di essere sempre stato solo dal giorno in cui i loro rapporti s'erano lentamente spenti. A scoprire di non aver mai imparato a rivestire di un nuovo abito il suo voler bene. Che quel vestito che i suoi incessanti pensieri avevano cucito addosso a Simone, fin dal giorno in cui l'aveva vista per la prima volta, non s'adattava su nessun altro corpo.
Le si avvicinò dimenticandosi del suo nome, degli anni trascorsi che si sublimavano in ogni passo verso di lei, come fossero polvere sporca durante il gelo della sua accidia.
La chiamò piegando lo sguardo con cui la riscopriva nella sua mente, riaccogliendola nelle sue speranze. La voce di R. che scandiva le lente sillabe del suo nome con un più vasto carico di messaggi trapelanti nel fiato asperso, recava in sé tutta la vita che lui avrebbe voluto spendere per lei e che aveva disperato, ormai, di poter riafferrare.
Lei allargò le labbra in un sorriso che spalancava il mattino tra le nuvole, fece un passo e lo riabbracciò. Senza sollevarsi sulle punte dei piedi, gli premette il seno sul suo petto duro e freddo.
R. non la strinse a sé e restò immobile, impreparato, con un braccio languido e nolente, e l'altra mano che le si posava sui capelli.
- Tingi i capelli, Simone? - le sorrise R. - Sono tutti scuri. La prima volta che ti vidi avevi qualche impercettibile ciocca bianca.
Lei non rispose. R. la baciò sui capelli.
- E quella volta ti baciai anche i capelli. Tu forse non te ne accorgesti nemmeno. Non volevi nemmeno che ti abbracciassi.
- Non mi ricordo, R. Come stai?
- Lo vedi. Sono sopravvissuto anche senza di te. Ma non è stata un'esperienza invidiabile.
- Ero davvero così importante per te?
- Molto più di quanto io stesso mi sia reso conto. Più di quello che abbia mai provato a farti capire.
Simone sorrise, non sapeva che cosa rispondere. Era passato troppo tempo. E se anche fosse stato rimasto intatto un infinito presente fra loro, forse non sarebbe cambiato molto in quel destino.
- E tu come stai Simone? Che cosa hai fatto in tutti questi anni?
- Devo andare R. Mi aspettano.
- Anche io ti ho sempre aspettato, non sono mai stato bugiardo. La vita è stata davvero una lunga attesa.
- Ho sempre sperato che la tua fosse soltanto una vaga menzogna. La vita la devi aggredire, R.
- Sei riapparsa per questo, Simone?
- Devo andar via... una persona importante mi aspetta.
- Capisco, il colpo di grazia ci sta tutto. Rivederti e sentirmi la vita rimontare all'improvviso, solo per vedermela bruciare con più soddisfazione. - disse R. allargando lo sguardo intorno alla folla, senza mai farla sparire da dentro ai suoi occhi.
- Aspetta R. - e Simone trasse fuori una specie di moleskine, strappò un foglio con una data, e un indirizzo.
- Se ti trattieni in città, e vorrai, io mi farò trovare. Addio, R.
Se ne andò senza voltarsi. R. provò ad allungare ancora una volta il suo braccio, da cui lei fuggì. Di nuovo, come la prima volta alla stazione della metro, portandosi tutto via con sé.
La chiamò al numero che lei aveva scritto, per dirle che sarebbe venuto in città. Lei con aria indifferente e scevra da interesse o curiosità confermò. E ribadì non sarebbe venuta da sola.
Ed R. era lì, quel giorno, ad aspettarla. A riallacciare i nodi della sua vita, tra sogni, pensieri e ricordi. Giunse con la sua auto, e cercò un posto con buona visibilità per attenderla in macchina.
Era la prima volta che percorreva quelle strade, ma ogni cosa gli sembrava familiare. Le case, i volti della gente, i posti dove poteva lasciare la macchina, le strade strette e intasate. I negozi brulicanti di signore cicalanti.
Ogni cosa sembrava lentamente mutare in una scena familiare. In una cartolina della sua esistenza che lui vedeva dal di fuori, di cui avvertiva di essere un ospite tra i percorsi della sua stessa casa.
Simone giunse. Anzi no. Lei non giunse, lei apparve. Improvvisamente, sul sedile accanto a lui.
- Apri gli occhi, R. - lei sorrise - Non hai niente da dirmi?
- Dal giorno in cui ti ho vista, il sole sorge e tramonta con te.
- Ancora questa cazzata alla Jim Morrison... sei fatto vecchio R., sono sicura che potresti fare di meglio.
- Non riesco a togliermelo dalla testa...
- Che ne diresti se intanto cominciassimo ad uscire dai tuoi personaggi? Tu non sei R. ed io non sono Simone. Va bene, Giuse'?
- E con te, come faccio?
- Usa i pronomi. Facile, no?
- Sì, è facile. Ti sto sognando, vero?
- Sì, Giuse'. Come sempre. Qui dentro è tutto un po' più semplice. Ma non attenderti risposte, io sono solo frutto della tua fantasia.
- Vedo. Sei uno spreco di proteine.
- Forse sono anche uno spreco di tempo.
- No. Non azzardarti a pensarlo, sei tu che scandisci il mio tempo, cara mademoiselle. Però li vedi i miei capelli bianchi? Sono vecchio...
- Non cambia la sostanza delle cose. Stai posponendo la scena onirica.
- Non direi...
- Non importa. Arriviamo al sodo, perché l’alba incalza. Così impari ad andare a letto tardi. Sei innamorato di me?
- Non lo so. Non so dare nomi alle cose. Di certo sto in un bel casino. E non posso parlarne con nessuno. Tanto meno con te.
- E ti fai questi sogni da pippato mentale.
- Non ho il controllo su tutto. Sai, io vivo in profondità le cose. Tu mi hai travolto la vita, mademoiselle.
- Sei stato tu a farti travolgere, io te l'avevo detto.
- Non cambia la sostanza delle cose.
- È assurdo, non c'è logica a tutto questo. Te lo ripeto: noi non ci siamo vissuti.
- Ed è solo per questa ragione che non do un nome alle cose. Sento i tuoi occhi in ogni specchio vero o artificioso in cui si ferma la mia immagine. Mi sbuchi nei posti più strani, nel terrazzino del disco pub dove servono il frappé con le palle di gelato al cioccolato, all'assessorato regionale per la formazione professionale che mi paga lo stipendio, persino nell'arena comunale dove mi affaccio per vedere gente idiota che assiste a dei musical ridicoli senza capire un accidenti di inglese. Poi non ti dico ogni volta che vedo una frangetta, è un dramma. Quando qualcuna mi prende per il braccio vorrei strangolarla. Mentre canto, mentre parlo con la gente, mentre cammino, sei tu che mi circondi e trasfondi la vita in tutto quello che faccio. Nei rimproveri alla mia indolenza e alla mia sregolatezza, ci sei tu.
Parlo come se tu mi stessi ascoltando, agisco come se tu mi stessi vedendo, sorrido come se tu mi stessi di fronte senza sapere che cosa rispondermi quando ti metto al centro del mio mondo.
Scrivo solo e soltanto come se tu leggessi contemporaneamente, muovendo gli occhi mentre io muovo le dita.
Tutto questo trasforma la mia indifferente esistenza in vita. Lo so, tutto è solo una proiezione di me. Posso ripetertelo in eterno quello che sei per me...
- Sprechi troppe proteine inutilmente...
- Parla per te...io vhhhhhhhhhhh phhh te.
- Che dici?
- Io viv... hhhhhhhhh... peeer te.
- Vuoi essere più chiaro? Non essere pusillanime.
- Uh, madonna. Io vivo per te. Ecco l'ho detto. E tu nemmeno puoi capire quanto mi costa ammetterlo. Accettarlo è bello, ammetterlo un po' meno. C'è troppo orgoglio. Quello che un po' mi frena tutto...
- Questo tuo orgoglio pare piuttosto una maschera alle tue debolezze...
- Non è così. Io cerco sempre di pormi dalla parte di chi mi ascolta. Trovo buffo che qualcuna possa volermi bene e così non combino mai niente. Alla fine non credo che alla gente possa importare quello che dico. Questo mi rende libero di dire quello che voglio fregandomene dell'importanza. Ma non funziona così coi sentimenti. Il confine tra quello che vorrei dirti e quello che vorrei tu comprendessi da sola senza farmi sentire ossessionato da te è molto sottile.
- Quindi non sei sincero con me, Giuse'...
- Lo sono, ma vedi, quando tu mi chiami e mi dici "ciao", io vorrei immediatamente raccontarti quanto si impenna la mia felicità in quei momenti che io mi sforzo di mantenere normali. Vorrei cominciare a parlare per non farti andar via. Vorrei riempire la tua vita. Mademoiselle, la normalità è un riposo che il mio cuore non riesce più a concedersi da quando ci sei tu.
- Giuse'...
- Lo riscrivo il mio nome, mettendolo sulle tue labbra, anche solo nella mia immaginazione. Perché mi riempie tu non sai quanto. Non è una forma di reietta masturbazione cervellotica, è un desiderio di sentirti pronunciare il mio nome.
- Continua...
- Mi esorti a parlare, perché qui non ho barriere. Qui non devo tenere tese le corde del buon senso che spesso mi ammutoliscono. Non voglio metterti a disagio. E poi mi pento di tutte quelle parole che non dico. Di quelle che lascio stare su quelle panchine che non tornano. Un po' come quello che ti scrissi una volta, ricordi? La vita fa sempre il suo giro, e dagli errori si impara poco.
A furia di sbagliare non impari a vivere, impari solo a riconoscere un po' prima e un po' meglio le occasioni mancate. Occasioni che non assicurano la felicità, ma che rendono la coscienza certa di aver provato fino in fondo a scegliere la vita.
Tu sei la vita mia adesso. Per quanto mi sforzi di farlo passare inosservato.
- Non sono sforzi che ti riescono bene. Perché ti sforzi, vuoi che tutto questo ti passi?
- Troppo cerebrale, troppo cerebrale... non passa, non passa. Non per via della mia volontà. E poi io non voglio che passi un bel niente. Sto male perché ti desidero, tu non puoi capire quanto. Ma se il mio desiderio sei tu, sto bene. Ma io non mi accontento. Vado fino in fondo.
- Hai paura?
- Che tu possa decidere di estinguermi, sì. Temo solo questo. Perché sarebbe veramente uno strazio inutile.
- Che cose ti aspetti adesso?
- Che tu mi venga a trovare. Di rivederti presto. Solo questo. E poi…
- E poi?
- Mademoiselle, ho bisogno di tornare a scrivere il mio racconto, così come lo avevo pensato, con R. e Simone.
Simone questa volta giunse. R. la vide arrivare dallo specchietto retrovisore, e scese dalla sua auto. Lei sembrava guardare oltre, attendere qualcun altro.
- Hai ancora le mani disastrate, R. - Gli diceva senza prestargli poi tanta attenzione. Lui sorrise. - Scrivi ancora?
- Oh sì, un po' meno, però... – disse stringendosi le spalle - che cosa hai fatto in tutti questi anni?
- Ho vissuto. Tu?
- Ti ho amata.
- Non me ne sono accorta.
- Lo so. Ed è l'unico rimorso che mi porto addosso.
- Così è questo il modo in cui ubbidisci ai tuoi imperativi, R.? Molto diligente, non c'è che dire... Ah... è arrivata!!!
Simone si illuminò sul volto e si bloccò improvvisamente, una ragazza bionda bassina con gli occhi verdi ed il viso abbronzato portava un passeggino e le fece cenno da lontano. Andarono incontro l'un l'altra. Si salutarono. Simone diede un bacio alla bimba. La prese in braccio e la piccola rideva.
Simone, nonostante il suo temperamento, era molto dolce.
La ragazza andò via. E lei rimase sola con la bimba. Tornò da R. che la attendeva su una panchina al fresco. Faceva molto caldo. Ora che aveva infranto l'ansia dell'attesa, cominciò ad accorgersene.
- Adriana, questo è il signor R. Saluta, su! Di': "ciao signor R.", ma sta’ attenta, con quel sorriso austero, se sbagli a parlare, ti prende a morsi sul culetto! - E mimò una smorfia solleticante che fece scoppiare a ridere la bambina. Aveva una frangetta bionda la bimba. Ad occhio sembrava avere tre anni.
- Prima che tu possa farmi domande cretine R., ti dico subito: è mia figlia e l'ho cresciuta da sola. Prima che ti possa venire in mente di chiedermelo, non farmi domande sul padre.
- Adriana... è bella. Come te. Ha gli occhi chiari, ma l'espressione è la tua... Simone... io...
Si incamminarono verso un giardino. Simone parlava alla bambina e R. ascoltava sentendosi davvero piccolo in tutto questo. Pensava che durante quegli anni quella donna aveva davvero vissuto, aveva morso la vita come lui si limitava a poter mordere il culetto di chi sbagliava a parlare.
Simone era rimasta intatta perché era vera. Lui aveva appeso un ritratto nella sua stanza, lo ammirava e si ammirava, cospargendosi di rimorsi e nostalgie. E rinunciando a tutto.
- Lei ha tutto il mio amore, adesso R., perciò non farti troppi pensieri, anche adesso che ci siamo rivisti - gli disse sedendosi molto sensualmente, conservando il travolgente fascino che lo aveva ammaliato; mentre lui restava ancora in piedi a vedere la piccola seduta sul prato a qualche metro da loro, che giocava ad acciuffare l'erba scivolosa e ridendo ad ogni tentativo mancato, verso gli occhi attenti della madre.
R. aveva vissuto davvero per lei. Egoisticamente, senza dare il proprio amore a nessun'altra. Mettendo in gabbia ogni cosa. Adesso non riusciva a badare alla bambina, che pure lo aveva sorpreso, perché mai come in quel momento voleva afferrare Simone tra le braccia e amarla con ardore senza indugio, senza badare nemmeno allo sguardo della piccola Adriana. Perché in quel momento lei era ancora più completa, invincibile, irraggiungibile. Talmente piena di sé che se lui l'avesse avuta, avrebbe sentito da vicino il profumo della totale immersione di due vite che si riempivano a vicenda.
- A cosa stai pensando? Non ti siedi? - chiese lei. R. si sedette e accese un sigaro.
- Penso che vorrei tanto far l'amore con te, adesso, in questo momento. Senza darti il tempo di renderti conto di dove ti trovi e di chi ti guarda.
- Sei rimasto il solito pazzo di sempre. - Rise lei.
- E tu sei sempre più adorabile. - Rispose lui fissandola concupiscente, e serio.
- Ma lo vedi come mi sono ridotta?
- Siamo sempre noi, Simone, con qualche anno, qualche rimorso, qualche casino in più e basta.
- Rendi tutto troppo semplice, tu. - si interruppe, sospirò - Non sei geloso?
- Di cosa?
- Di lei - ed indicò la bambina.
- Perché dovrei esserlo? L'amore di una madre non sarà mai identico a quello tra le persone.
- Mi è piaciuto tanto. Adriana l'ho desiderata. Ho sempre pensato che dovesse essere lei, prima ancora che incontrassi la persona con cui averla. E ho amato profondamente nell'attimo in cui l'ho sentita accendersi in me. Questo amore tu non me lo hai dato. Non c'eri. Eri da solo chissà dove, a farti vessare dai rimorsi, mentre io amavo immensamente, al punto di avere lei. - Si fermò nuovamente. Indicò la figlia con un gesto del mento, e senza attendere che R. potesse dirle qualcosa, riprese a parlare. - Guarda Adriana, lei è la vita che tu avresti sempre voluto, che qualcuno ha assaggiato per un po' al tuo posto e senza darci nemmeno il valore che vi avrebbe dato una persona come te.
R. la ascoltava restando in silenzio. E per quanto si era sempre sforzato di comprendere le donne, non era mai riuscito a toccare davvero l'egoismo con cui esse vivono. Di come, per quanto sappiano voler bene, i loro sentimenti sono elargiti come briciole di una loro speranza che è tutta personale. Perché è la vita che le ha rese così. Sono loro che consentono all'umanità di perpetuarsi.
Un po' umiliante per qualsiasi orgoglio maschile che ci si soffermi a pensare.
- Che fai? Non dirmi che adesso tirerai fuori la tua agendina e comincerai ad appuntare le tue evanescenze mentali? - disse lei ridendo a denti stretti.
R. la guardava in silenzio.
- Sei stata l'unica persona che è riuscita a farmi sentire a disagio con l'esistenza in maniera così evidente. - Strizzò gli occhi, sorrise, e tirò al sigaro. E aggiunse: - comunque no, non parlerei di gelosia. Mi facevi accenno a tante cose, mi parlavi delle tue vicende, dei tuoi incontri. Non ero geloso. Desideravo sommessamente di essere ogni oggetto che tu sfioravi, volevo essere ogni persona che ti riempiva lo sguardo. Ogni persona che attendevi, baciavi, accarezzavi, che accoglievi tra le tue braccia. Ma bada bene, Simone, a come descrivo le cose: perché hai determinato sempre tutto tu nella tua vita, almeno da quando io ti ho conosciuta. Quello che ho più desiderato in maniera folle è essere la persona dalla quale ti saresti lasciata baciare, accarezzare, e che avresti lasciato che ti accogliesse. Quella persona con cui avresti condiviso completamente, senza accorgertene e quasi sbarazzandotene davvero, la cosa che tu hai di più prezioso.
- E cioè?
- Te stessa.