Io me le ricordo quelle chiavi inglesi, e quei bulloni pieni di grasso. Mio padre aveva attaccato un pannello di legno compensato alla parete dietro il bancone. I ferri erano tutti appesi ordinatamente a dei chiodi sul pannello.
Ne arrivavano di ogni genere, ciascuna con ogni tipo di guasto. Da un irrecuperabile cedimento della testata, alle sospensioni scariche, alle marmitte bucate, sino a graffi e ammaccature superficiali che sembravano immediatamente rimediabili.
Ché a furia di tenerle dentro, a strisciarvisi sotto, ad elevarle sui ponti, esse prendevano il tanfo dell'umido dell'officina, dell'olio; nei casi più disperati, credo prendessero persino l'odore del mio fiato.
Ad alcune di esse ci si affezionava, ricordo quella Fiat Ritmo dell'88, anno di deliranti feste in campagna. Sembrava non volesse guarire pur di restare. Ad un certo punto davano l'impressione di sentirsi a casa, tra quei ferri.
Oh, alcune ci son restate, per incuria dei proprietari, per la gravità dei loro difetti. Altre invece son passate solo per un pomeriggio, un paio di giorni, un saluto e nient'altro.
Rinascevano sotto gli interventi delle mie mani e della mia esperienza, e poi correvano via. Qualche volta tornavano, come no... Mio padre diceva sempre che un'auto si adatta allo stile di guida del proprio padrone. Alcuni stili dovevan essere proprio inguardabili, perché loro tornavano e avevano bisogno di essere rimesse a posto.
Qualcosa resta sempre, anche solo impronte su carcasse all'ultima corsa. Tracce di un passaggio, appunti sul taccuino che reclamavano il cambio di olio e filtri.
E poi, rimesse a nuovo, autonome, sicure, dovevano correre da sole, sapendo che è sempre possibile ammaccarsi, ma che è sempre possibile riprendere la strada.
Quando ne mandavo via qualcuna, sembrava che mi guardassero con disprezzo. Forse pensavano che volessi negare loro la mia assistenza.
Ma una carrozza trainata prima o poi dimentica come è fatto l'asfalto e non sa tenere le curve. Faglielo capire.
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