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Crede che non mi stia accorgendo del suo sguardo, che non me lo senta aggrappato al collo come un franco bollo leccato e premuto su una cartolina di carne.
Non la guardo perchè è carina, e se per caso avesse consapevolezza di questa mia valutazione segnerebbe subito lo scacco al re.
La conosco poco, in verità, ed il mio giudizio è distorto da quel m.c.m. al denominatore dell'esistenza di ogni donna.
Ci ha già provato una volta a darmi scacco, quando si propose di iscrivermi ad una associazione di astrofili sostituendosi alla mia venerabile accidia. E stasera mi ha condotto fin qui, a fare una cosa che non facevo dai tempi dei primi disordinati peli sul mento.
Testarda e ardita. Mi chiedo come mai non mi consideri alla stregua del Corvo Joe.
- Dovresti osservare il cielo, non me - la mia coda dell'occhio, come ogni mia estremità, non mi tradisce.
- È quello che sto facendo, che ti credi? - Mi ha risposto acidamente come se l'avessi beccata a spiarmi nel buco della serratura dell'animo. "Che ti credi..." Se non fosse stata bona non le avrei perdonato questa bestialità: "la bellezza è la migliore delle lettere di raccomandazione", mi biasimavo citando intra-mente un amico che citava Balzac.
Va verso il suo telescopio. Un rifrattore che qualche anno fa mi avrebbe fatto gola, prima che mi intorpidissi. Ho trascorso la mia adolescenza a ricopiare mappe e schemi di una volta celeste sempre superficiale. So dove collocare nel cielo oggetti che ho visto solo in fotografia. Ricordo quel vecchio binocolo 10x50 che riuscii a raccattare dalla spartizione dell'eredità di mio nonno.
Io non l'ho mai guardato fino in fondo, il cielo. L'ho sempre e solo spiato da lontano.
Ad una minima e invalicabile distanza.
- Vorrei vedere M101 - sentenziò. - Che ne dici? - M101 è il mio oggetto preferito. Ma non posso dirglielo.
- Il tripudio della banalità, - fingo - perché non proviamo qualcosa di più difficile?
- Fai tu allora, Zichichi. - Mi cede lo strumento. Lo tocco per la prima volta, e per la prima volta credo di poter saltare quella barriera.
- Eh, non ho molta scelta, alla tua latitudine non si vede neppure il pesce australe, è un disastro, vado nel cigno. - Un attimo - Prego Dott.ssa Hack, la nebulosa Velo tutta per lei.
Glielo dico con "animo fiero e disdegnoso molto", e accendo una sigaretta arcuando le labbra e socchiudendo gli occhi. Questo particolare non è presente nella sua versione, ma nel mio lato oscuro della luna invece è presente.
Rimbrotta qualcosa con il malcelato fine di parare il colpo. Non bado ai farfugliamenti. Adesso tocca a lei.
- Eccoti qui, guardati, osserva la tua stella omonima, mio caro collega astrofilo, è una stella doppia.
Alcor, ha puntato su Alcor. Mentre sono curvo sul telescopio e osservo le due stelle, Alcor e Mizar, mi si accosta languidamente e mi sussurra all'orecchio: Alcor, dov'è la tua Mizar?
- L'ho segregata sottochiave. – Sbattendole in faccia l’uscio dell’animo e sbarazzandomi lesto del suo tentativo forzoso di costringermi a vedermi vivere attraverso quel canale ottico non abbastanza stretto da escludere Mizar dalla mia contemplazione.
Quello che si vede ad occhio nudo può essere la versione nascosta che non desta interesse, quella palesata e inflazionata che recita gli addendi di un conto varato al compimento dei giorni. Uno scomodo rivestimento estraneo alla meticolosa opera di raffinamento che viene pazientemente eseguita nel pertugio inaccessibile senza l’ausilio di una lente a rifrazione.
- Allora Alcor quando ti degni di ricominciare a scrivere racconti per la Penna?
- È un periodo di merda Ale, sono incasinato con il lavoro.
- Ti devo pagare per convincerti?
“Mi faccio pagare solo in natura Ale, lo sai.” Questa frase della sua cronaca dimostra che non mi conosce. Non avrei mai esposto un concetto così scontato ed in maniera così scontata.
- Eh lo so senza di me il livello è basso, me ne rendo conto – Non amo giudicare, ma volendo incorrere in errore penso che in verità ci sia un buon 80% di cessi.
- Non sempre, alcuni sono davvero bravi e lo sai benissimo.
- Ah si? Ma per favore Ale... fammi un esempio
- Be’ per esempio Bango...
Ah, quello che va in giro a dispensare consigli su come scrivere… Ecco, se qualcuno venisse a darmi un’opinione su quello che scrivo gli rutterei violentemente in un occhio. Con che diritto mi si verrebbe a dire che scrivo bene? Al giudizio di chi dovrei essere continuamente sottoposto?
Quanti sono i telescopi implotonati e tesi a sparare sguardi recidivi sulle altrui vite?
Bofonchio qualcosa per non essere scortese, ma so che il mio inconscio malefico ha camuffato con cortesia quell’atavico maschile predisporsi a meritarsi un amplesso, qualora avesse lasciato intendere di propormelo, e qualora avrei sicuramente lasciato intendere di rifiutare, ringraziando per il pensiero. Perché talvolta basta sentirsi meritevoli.
- Comunque non è mica l'unico che scrive decente, Ale – La assecondo.
- Ah si? Fammi tu un esempio ora.
- C'è anche Psicotica che scrive bene, è un “portento” – valutazione espressa al netto di ogni massima di Balzac, e nonostante sì, credo ci sarebbe anche da restare incantati. Inoltre la parola “portento” non mi piace, non rende giustizia al concetto che vuole esprimere.
Ridiamo infreddoliti sotto un cielo di stelle, dopo una serie di piacevoli rimbrotti.
Credo stia provando a guardare Mizar, e mi sembra di vederla tremare nel fondo dei suoi occhi. Un tremore che piano si estende a tutto il suo corpo, fino a farla accasciare a terra dinanzi a me.
Le urlo qualcosa in un istinto esteriore, ma la osservo placida sorridere con gli occhi succhiati da quell’empireo a cui era solita tendere ogni venerdì sera. E forse Alcor la sentiva molto più affine, in quell’attimo di dispersione.
Tuttavia avrei voluto chiederglielo, così, disinteressatamente, visto che mi stava precedendo nei tetri Campi Elisi.
Avrei voluto chiederglielo, visto che era ormai defunta ai miei piedi, visto che aveva voluto forzare la mia accidia per farmi iscrivere all’associazione di astrofili, se avessi potuto tenerlo io il suo telescopio. Tanto a lei non serviva più.