Le domeniche, un tempo, si poggiavano sui plastici sellini di biciclette che allargavano il solco tra i glutei, rendendo più spigoloso il design intorno all'osso sacro.
Peperoni arrostiti con mollica di pane, capperi, cipolla, e formaggio... e vaffanculo a coloro che mi ingozzavano prima, e si lamentavano del mio dilatato addome dopo.
Le domeniche misuravano il dilatarsi e il rimpicciolirsi degli equinozi, e rendevano più ingiuste e inaccettabili le intemperie, perché non poteva piovere nell'unico giorno in cui i genitori coglioni di un paese tutto ripiegato a preservare gli usi vigenti all'epoca ittita, consentivano alle figliuole di mettere il naso fuori casa.
Risultato: interi plotoni di timide e timorate donzelle cresciute con l'intento recondito di diventar zoccole disinibite montate di testa.
Le domeniche avevano la voce di Sandro Ciotti che in radio avvertiva dopo mezz'ora del vantaggio della Juventus sulla Cremonese, ma chissenefrega... era tutto un imbroglio. E poi io e la Roma dovevamo lottare per entrare in zona UEFA.
Ma Balbo e Fonseca giocano ancora, vero?
Qualcuno deve spiegarmi perché la domenica, anche quando si faceva digiuno, si aveva sempre la sensazione di essersi ingozzati.
E giù con la grappa, il brandy, e qualunque genere di diserbante per l'anima.
Il giorno che fu della mille lire. Che è oggi della 5 euro in carta stampata. Il giorno della rasatura.
Il giorno dei comizi tenuti con gli occhiali da sole.
Il giorno in cui la cravatta a 15 anni era socialmente accettabile e non ti qualificava come un nevrotico di Coney Island reso impassibile dall'amara scoperta che l'Universo è destinato a collassare.
Quelle domeniche che erano tali, da non avere nemmeno la forza per farsi una sega.
Ma che almeno aveva l'ansia di un dovere incompiuto con scadenza da lì a poco, che avevano la pesantezza di un autobus alle 6.45 del lunedì mattina.
Che erano tutto uno sbadiglio di sonno, e di non di quella noia dai capelli bianchi che monta carte da parati sul mio cranio.
Colore rosso sangue.
Peperoni arrostiti con mollica di pane, capperi, cipolla, e formaggio... e vaffanculo a coloro che mi ingozzavano prima, e si lamentavano del mio dilatato addome dopo.
Le domeniche misuravano il dilatarsi e il rimpicciolirsi degli equinozi, e rendevano più ingiuste e inaccettabili le intemperie, perché non poteva piovere nell'unico giorno in cui i genitori coglioni di un paese tutto ripiegato a preservare gli usi vigenti all'epoca ittita, consentivano alle figliuole di mettere il naso fuori casa.
Risultato: interi plotoni di timide e timorate donzelle cresciute con l'intento recondito di diventar zoccole disinibite montate di testa.
Le domeniche avevano la voce di Sandro Ciotti che in radio avvertiva dopo mezz'ora del vantaggio della Juventus sulla Cremonese, ma chissenefrega... era tutto un imbroglio. E poi io e la Roma dovevamo lottare per entrare in zona UEFA.
Ma Balbo e Fonseca giocano ancora, vero?
Qualcuno deve spiegarmi perché la domenica, anche quando si faceva digiuno, si aveva sempre la sensazione di essersi ingozzati.
E giù con la grappa, il brandy, e qualunque genere di diserbante per l'anima.
Il giorno che fu della mille lire. Che è oggi della 5 euro in carta stampata. Il giorno della rasatura.
Il giorno dei comizi tenuti con gli occhiali da sole.
Il giorno in cui la cravatta a 15 anni era socialmente accettabile e non ti qualificava come un nevrotico di Coney Island reso impassibile dall'amara scoperta che l'Universo è destinato a collassare.
Quelle domeniche che erano tali, da non avere nemmeno la forza per farsi una sega.
Ma che almeno aveva l'ansia di un dovere incompiuto con scadenza da lì a poco, che avevano la pesantezza di un autobus alle 6.45 del lunedì mattina.
Che erano tutto uno sbadiglio di sonno, e di non di quella noia dai capelli bianchi che monta carte da parati sul mio cranio.
Colore rosso sangue.
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