mercoledì 14 novembre 2018

Orizzonte nord

- Giuse'....
- Ma'... ce iè?
- Quella è l'Orsa Maggiore?
- Vediamo.... sì, Ma', è quella.
- Vicino a quella stella che sta al centro ce n'è una piccola, che si vede appena.
- Come la fai a vedere? Sei sicura, Ma'?
- Sin, quella al centro.
- Non si vede ad occhio nudo però.
- Io la vedo. Come si chiama?
- Si chiama Alcor, Mamma.

giovedì 22 marzo 2018

Mattoni

La voglia di scrivere mi ha preso mentre faccio un back up di un database per estrarre dati con SQL.

Questa è sostanzialmente la grande contraddizione di una vita merdosamente bugiarda. Relegare la voglia ad una fessura tra un mattone ed un altro. 
Finché qualche mattone non casca e ti frantuma l'alluce.

Da qualche parte tutto questo furore deve trovare una via d'uscita. Esisterà una illusione più duratura su cui poggiare la necessità di risparmiare se stessi all'atroce di destino di sentirsi un ingranaggio senza molta importanza sul cui capo poter pisciare senza alcuna coscienza?

Quando questa illusione era la voglia di pace, di stabilità e la rincorsa furente verso la normalità, questa epifanica rincorsa raccoglieva tutte le macerie facendone un ponte che si costruiva verso una direzione, una lotta, un senso per cui vivere.

Poi l'approdo. Poi il nulla.
Poi la gabbia senza serrature, spalancata, ma avvolgente, senza lati e pavimenti, senza soffitto, senza corridoi, senza spigoli a sancirne l'inizio e decretarne la fine.

Poi la telefonata che mi chiede di riaprire una piccola oasi verso quel mondo probabilmente e inconsciamente ripudiato dove le sbarre eterne che si perdono alla mia metalmeccanica vista, si ritravestono da rovi da insonnia permanente. Con la puzza dell'erbaccia selvaggia, con la merda di un'insoddisfazione che, cazzo, ci rendeva liberi e infiniti. E le pioggie di lacrime avare, di singhiozzi sotterrati che bruciavano dentro una camera dove adesso non riposa neanche una spiga di graminacea avariata.
Quelle notti senza tregua, con una rabbia che scavava dentro i condotti dell'inspiegabile che divorava i minuti rincorrendo e mandando a fanculo le alzatacce e i richiami di un mondo abissalmente distante e senza importanza.
Quando mancavi tu, e l'insignificante meravigliosa voragine che hai originato in questo animo senza riparo e senza sostanza.
Tu che rappresenti l'epilogo di ogni premessa che tenta di rabberciare l'esistenza in poche frasi che possano emanciparla dalla sua acclarata inutilità.
Tu che sei lo specchio nel quale vado a riprendere immagini di ponti e vallate, di arcobaleni e banchetti tra i profumi dei fiori, e le primavere senza solstizi a invertirne le rotte, e venti che solo accarezzano e non conoscon la furia, e parole spente, ed abbracci senza voglia di disciogliersi... e i soliti racconti di questo sentimento senza contorno, senza dichiarazione alcuna, libero da promesse e doveri, da resoconti e serrature dalla toppe polverose.
Così libero da isolarmi in questo silenzio da te che vivi in una lontananza che è il tuo mondo per me inaccessibile. 
Così libero da impreziosirsi di tante, tansissime cazzate asservite alla costruzione di un altro equilibrio tra la tua instancabile fuga, e la mia caparbia e silenziosa attesa di poterti incrociare in fondo a chissà quale vicolo di questa insondabile e incomprensibile vita.

E qualunque cosa scriverò saranno solo illusori mattoni di carta, gradini di struggente ansia infuocata, per costruire ponti protesi verso il nulla, dispersi verso direzioni sconosciute, alla sola ricerca di te.

domenica 25 febbraio 2018

Infrante

Non mi credo. No, non mi ascolto neppure.

Questo odore di tartufo non l'avevo mai sentito prima d'ora, sono anni che non sniffo più il gusto dell'aria, e tutto mi è così profondamente nuovo e irriconoscibile.
Non sono poi così certo di volerla questa linearità esistenziale così ordinatamente dipanata in via del tutto elusiva, senza aver posto il mio esplicito consenso.

Capisco quando mi parli di incomprensibili muri e di fessure ingestibili. 
Capisco quando mi giudichi indegno di capire e di esserci.

Quando cominci qualunque gioco quella partita resta aperta per sempre, oltre qualsiasi rinuncia, oltre qualsiasi subentro, oltre la coltre di affanni con cui raffreddiamo la febbre che ci divora inesorabilmente.
Come quell'ultima sigaretta che ho dedicato all'angoscia di non averti vista. Prima dello schianto con tutti i miei confusi trapassati che si accanivano a confondere le nevrosi delle notti insonni e senza alcuna pace.

E questa puzza. Di catrame e odio. Perchè anche se hai smesso, resti un fumatore nell'anima. E certe volte manca. Cazzo se manca.

Partite aperte, infinite. Infrante.

martedì 13 febbraio 2018

Rastrellando a zonzo

Appunti per personaggi di un libro che non sarà mai scritto. Lungo un viaggio che rielabora la coscienza per poi terminare in uno schianto.
E quando passerà la polvere sollevata dall'impatto brusco, non resterà che nulla. Tutto resterà immutato. 
Esistono forze inscalfibili.
Occorre un fortissimo senso di colpa, profondo e inestricabile, per poter ammettere e sopportare immensi dolori.
La colpa può essere la salvezza che dà un senso al futuro, perché adisce alla riabilitazione, auspica una riconciliazione col male. Attende di essere riempito, il vuoto della colpa.
E senza la colpa, una colpa qualsiasi che possiamo sempre attribuirci a caso, non si riuscirebbe a dare un senso a tanto dolore. Si potrebbe perfino impazzire. 
Perché non sono solo scelte sbagliate, non sono le rinunce e i sacrifici vanificate dal destino. No, sono solo conseguenze della nostra natura che, alla fine, sembrano quasi giustificate, accolte, benvenute. Protette gelosamente contro i guizzi improvvisi di felicità inappropriata.

Eppure ogni istante la mia mente ti osserva e ti racconta parole inesistenti e sconosciute all'alfabeto della colpa. 
Trascorrerà del tempo per dare un peso a questa rivoluzione piccola piccola. Dovrà raddoppiarsi il tempo e la durata di questa speranza per soverchiare il vuoto imposto da questa colpa.
Si aggiungerà un solo attimo in più per vincerela resistenza della tua colpa.
E poi mi ritroverai in fondo a questa lunga strada, con un pochino di affanno, a rivelarti che, in fondo, valeva sempre aspettarti, qualunque fosse la strada.

giovedì 8 febbraio 2018

martedì 9 gennaio 2018

Character

La paura. Ho in mente una sceneggiatura che parli di paura. Quella cosa che ti arresta ogni intento, che ti affanna in pianura, che trasforma la nebbia d'un gennaio umido in un muro senza dimensioni. Ogni punto d'aria sembra uno spigolo pronto a ferirti con urti e lividi senza colpa.

La paura che protegge, coccola, rassicura come una gabbia nella quale sentirsi sovrani.
La paura che ci assilla col suo smisurato vuoto che si fonde nelle ombre di ogni impegno massacrante con cui falcidiamo i nostri giorni senza un forse.

La paura che rafforza l'illusione di un equilibrio ritrovato che è solo un pensiero allontanato nello spazio e nel tempo di un sacco di angosce e promesse infrante a cui non abbiamo imparato a volgere uno sguardo pulito.

La paura di una scelta che irrompe a sciogliere i nodi dai nostri certi ormeggi, al riparo nella risacca della noia, svelando il volto banale e candido dell'inesorabile.

Inizia il nuovo anno con questa straripante voglia. Unico respiro di pace; una pace che sembrava possibile al realizzarsi di piccoli traguardi, e che si infrange non appena ogni méta si nasconde alle spalle della successiva.
E s'allontana.
Come te, che ogni giorno ti mascheri da questa angoscia, e in quella paura ti rifugi, al riparo da ogni possibile gioia.