Convincere le persone a me care che utilizzare la metafora della penetrazione del carica-batteria col cellulare scarico che geme non è volgarità.
Le aziende petrolifere ti inculano: fottile, e fatti l'impianto fotovoltaico.
venerdì 23 dicembre 2011
giovedì 8 dicembre 2011
Il prossimo tuo come te stesso
- Ha qualcosa da dichiarare?
- Tutti credono che l'Italia sia una nazione mediocre dal punto di vista militare. Ci siamo travestiti in maniera permanente di questa immagine di avvinazzato pressapochismo all'interno del quale si perpetuano indisturbate le nostre metalliche contraddizioni.
- Ma cosa sta dicendo?
- L'industria bellica controllata dallo Stato non conosce crisi. Mentre con una mano vi dissanguano spalancando la valvola della miseria del popolo, con l'altra ci si prepara al più esoso shopping guerrafondaio degli ultimi anni. E sapete perchè? Perché se noi non compriamo dagli altri, altri non compreranno da noi. E non possiamo permettercelo.
- Va bene, sir. Adesso vuole gentilmente spiegarci bene come sono andate le cose?
- Lei non può capire, tenente, davvero. Stamattina avevo delle scadenze ma nessuno mi rispondeva al telefono. La gente, mi creda, mi aveva garantito che avrebbe onorato i propri impegni. Ma quando ho cercato conferme, nessuno mi rispondeva. Poi ho preso il treno. Sa, solitamente preferisco sedermi da solo, è meglio. Quando vi è un'intera fila libera preferisco sedermi al lato corridoio per scoraggiare chiunque ad attraversare il mio spazio per sedersi dal lato finestrino. Quando mi sono assicurato che non vi sono più ulteriori minacce mi accomodo accanto al finestrino per guardare i paesaggi.
Mi piace osservare i tetti, e le auto parcheggiate nei pressi delle puttane. Io non ci sono mai andato a puttane, non saprei che cosa dire loro per esordire. Senza una buona introduzione non si potrà mai concludere. Lei ci va a puttane, tenente? Come esordisce? Comincia a trattare sul prezzo?
- Non si perda in chiacchiere, risponda alla mia domanda.
- Sa tenente, io detesto sentirmi guardato. Detesto che mentre io sono qui a parlare con lei, magari a qualche centinaio di chilometri possa esserci qualcuno che si stia ricordando di me e stia soppesando la mia vita sul bilancino della fortuna.
- Senta, non abbiamo tempo da perdere...
- ...Stavo camminando e lui mi stava venendo incontro. Aveva un paso sicuro, guidato da una chiarezza quasi celestiale. Era magro, con questa enorme massa di capelli ricci neri che ondeggiavano come molle di gomma.
- Che cosa ha fatto.
- Non mi ero accorto di lui fintanto che non ha cominciato a guardarmi. Mentre si riduceva la distanza tra noi, mi dava l'impressione di danzare lievemente nel suo passo. Ho pensato che fosse un idiota qualsiasi, o un drogato travestito da adolescente. Ha cominciato a sorridermi dando per scontato che l'avessi riconosciuto. "Chissà che lavoro fa costui". Ho pensato mentre mi allargavo alla mia sinistra per evitarne di incrociarne l'odore.
- Si tratta di un musicista.
- Ah, un musicista,.
- E poi?
- Mi fissava e sorrideva, e lentamente si portava via tutto. Si impossessava della strada, dell'aria, dei muri gialli, e del peso che sembrava domare. Senza alcun dubbio mi stava venendo incontro. Voleva portarmi via qualcosa, qualcosa che aveva già visto, che conosceva, che probabilmente sosteneva essere stata sua, e che solo per un fortuito caso, adesso, si trovava in mio possesso. Sì, ma che cosa? Fingeva quel sorriso questuante, ma in realtà la sua leggera educazione tradiva la risolutezza del diritto che avrebbe vantato con supponenza quasi divina. E poi ancora mi guardava, mi ordinava quasi di liberarlo di me, e di riconoscere la distanza universale tra noi....
- E?
- ... e allora l'ho afferrato per capelli e ho fatto sì che la sua convinta arroganza scolpita sul quel viso conteso tra il dionisiaco e l'idiota, si esaurisse contro il muro giallo alla sua destra.
- Tutti credono che l'Italia sia una nazione mediocre dal punto di vista militare. Ci siamo travestiti in maniera permanente di questa immagine di avvinazzato pressapochismo all'interno del quale si perpetuano indisturbate le nostre metalliche contraddizioni.
- Ma cosa sta dicendo?
- L'industria bellica controllata dallo Stato non conosce crisi. Mentre con una mano vi dissanguano spalancando la valvola della miseria del popolo, con l'altra ci si prepara al più esoso shopping guerrafondaio degli ultimi anni. E sapete perchè? Perché se noi non compriamo dagli altri, altri non compreranno da noi. E non possiamo permettercelo.
- Va bene, sir. Adesso vuole gentilmente spiegarci bene come sono andate le cose?
- Lei non può capire, tenente, davvero. Stamattina avevo delle scadenze ma nessuno mi rispondeva al telefono. La gente, mi creda, mi aveva garantito che avrebbe onorato i propri impegni. Ma quando ho cercato conferme, nessuno mi rispondeva. Poi ho preso il treno. Sa, solitamente preferisco sedermi da solo, è meglio. Quando vi è un'intera fila libera preferisco sedermi al lato corridoio per scoraggiare chiunque ad attraversare il mio spazio per sedersi dal lato finestrino. Quando mi sono assicurato che non vi sono più ulteriori minacce mi accomodo accanto al finestrino per guardare i paesaggi.
Mi piace osservare i tetti, e le auto parcheggiate nei pressi delle puttane. Io non ci sono mai andato a puttane, non saprei che cosa dire loro per esordire. Senza una buona introduzione non si potrà mai concludere. Lei ci va a puttane, tenente? Come esordisce? Comincia a trattare sul prezzo?
- Non si perda in chiacchiere, risponda alla mia domanda.
- Sa tenente, io detesto sentirmi guardato. Detesto che mentre io sono qui a parlare con lei, magari a qualche centinaio di chilometri possa esserci qualcuno che si stia ricordando di me e stia soppesando la mia vita sul bilancino della fortuna.
- Senta, non abbiamo tempo da perdere...
- ...Stavo camminando e lui mi stava venendo incontro. Aveva un paso sicuro, guidato da una chiarezza quasi celestiale. Era magro, con questa enorme massa di capelli ricci neri che ondeggiavano come molle di gomma.
- Che cosa ha fatto.
- Non mi ero accorto di lui fintanto che non ha cominciato a guardarmi. Mentre si riduceva la distanza tra noi, mi dava l'impressione di danzare lievemente nel suo passo. Ho pensato che fosse un idiota qualsiasi, o un drogato travestito da adolescente. Ha cominciato a sorridermi dando per scontato che l'avessi riconosciuto. "Chissà che lavoro fa costui". Ho pensato mentre mi allargavo alla mia sinistra per evitarne di incrociarne l'odore.
- Si tratta di un musicista.
- Ah, un musicista,.
- E poi?
- Mi fissava e sorrideva, e lentamente si portava via tutto. Si impossessava della strada, dell'aria, dei muri gialli, e del peso che sembrava domare. Senza alcun dubbio mi stava venendo incontro. Voleva portarmi via qualcosa, qualcosa che aveva già visto, che conosceva, che probabilmente sosteneva essere stata sua, e che solo per un fortuito caso, adesso, si trovava in mio possesso. Sì, ma che cosa? Fingeva quel sorriso questuante, ma in realtà la sua leggera educazione tradiva la risolutezza del diritto che avrebbe vantato con supponenza quasi divina. E poi ancora mi guardava, mi ordinava quasi di liberarlo di me, e di riconoscere la distanza universale tra noi....
- E?
- ... e allora l'ho afferrato per capelli e ho fatto sì che la sua convinta arroganza scolpita sul quel viso conteso tra il dionisiaco e l'idiota, si esaurisse contro il muro giallo alla sua destra.
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