sabato 13 settembre 2008

Le pont

R. e Simone erano appena usciti dal quel frastornato locale all'Odeon. Simone rideva per un nonnulla, rendendo esemplari le cose più trascurabili del mondo, conferendo importanza a parole che altrimenti sarebbero state spente nell'oblio immediatamente dopo essere state pronunciate.

R. parlava un po' meno, e si fermava a contemplarle il volto ridente, felice, specchiando in quella spontaneità tutto quello che gli impediva di rinchiudersi una volta per tutte. Come il forte richiamo ad un isolamento che non era che una folle e debole attesa della sua polverosa estinzione.

Quando si attraversano certe cose c'è un'ombra dentro che non si dirada mai, che rende quasi vergognoso e sprecato l'esservi sopravvissuti.

Guardava Simone ridere contenta. Pensava a tante cose che si recava dentro con sé, annaffiando  tutto con quelle parole rimordenti che le aveva inutilmente detto. Per lei aveva fatto qualsiasi cosa. Come un pinball la vita li aveva fatti rimbalzare da un punto all'altro della forza del loro legame. Stretti e lontani, come un ventaglio che si allargava e poi si richiudeva senza che loro avessero mai potuto pronunciarsi.

E poi erano giunti, non si sa come, lì. In quella sera.

Intanto R. aveva deciso. Non avrebbe più scritto nulla da condividere col resto del mondo. Avrebbe covato dentro di sè, e per solo per sè, quel turbinio della vita nei prossimi brevi istanti.

Intanto Simone rideva, e non capiva. Intanto lui avrebbe voluto dirglierlo, ma non ci riusciva.
Intanto la scelta maturava. In un profondo spegnersi di tutti i suoni e nell'addormentarsi di tutte le voci.

La voleva accanto in quel momento. La strinse e la baciò con un fervore che sembrava affrettare qualche inspiegabile rincorsa dei giorni.

- Che hai R.?

- Nulla Simone...


E lei riprendeva a parlargli stringendogli il braccio in una maniera che se non fosse stata lei, gli avrebbe fatto male. Era quasi un trattenerlo lì. Un non volerlo lasciare libero.
Quasi che lei, quella parte di lei che ha sempre saputo tutto, stava comprendendo. Mescolando all'amore di non volerlo rinchiudere in una gabbia, quell'egoismo di trattenerlo forte accanto a sè.

R. non parlava ed era quasi impassibile.

Simone, ad un tratto, sembrò bloccarsi dal piangere.

Si affacciavano stretti da quel ponte tanto caro a Simone.

R. le accarezzava i capelli. E non l'amò mai così assordantemente come in quel momento.

Le accarezzò il volto, come avrebbe voluto fare tutto quelle volte che lei rifiutava ogni contatto.

- Hai un profilo splendido, Simone, quando alzi il viso e guardi verso il cielo. Fammelo ammirare un po'...

Le piegò il viso con le sue carezze, incontrando con le dita le diradate lacrime di lei. Lei gli sorrise, senza capire.

R. le fece scivolare sul mento le dita della mano,  con l'attrito di chi, quella donna l'avrebbe portata sempre con sè, aprendole tutto il mondo profondo che egli si portava dentro.

- R. ...  - ripeteva Simone.
- Non mi saresti mai bastata come nutrimento per i sogni e come anima del mio scrivere.

Costui la lasciò con molle ed evidente fatica. E si gettò nel fiume.




Questa era letteratura, la notizia del giorno è che probabilmente non scriverò più in questo blog. Per la semplicissima ragione che mi sono rotto le palle. E come disse Stéphane Mallarmé, non esiste eredità letteraria, perciò al momento opportuno, cancellerò tutto.

Ti amo, Simone.

Grazie a tutti.

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