domenica 23 settembre 2012

I trapezisti spezzati


Ogni volta, dopo l'ennesimo tentativo di chiamata abortita, si trasportava inconsapevolmente agli argini dove i sassi incontravano la sabbia sottile.

Maggie, ormai, non voleva più saperne, e s'era convinto anch'egli che ne aveva le giuste ragioni.

Non era il calore delle sue avare carezze a mancargli, no. Nemmeno le cantilene notturne. Il vero baratro consisteva nel non potersi più afferrare come se fossero trapezisti in volo attraverso il dissestato tragitto dell'esistenza. 
L'assenza era fatta di assenza di risposte a interrogativi che da soli non si era in grado neppure di esplorare, di assenza di comprensione a stati di disfatta in guerre ancora da dichiarare. Di incontri sempre puntuali perché la felicità non richiede appuntamenti concordati.
Di queste miserie si nutre il famelico verme della mancanza, non di altre grevi inadempienze.

Ed R. prese dunque a raccontarsi le sfumature di un'agonia talmente lancinante da non fargli provare alcun dolore, che piuttosto si vestiva di una quiete amara interrotta di frequente da fragorose risate di rigetto.
Nelle sue storie i volti degli umoni perdevano ogni connotato: si riempivano le fosse oculari, si asciugavano le labbra, si levigavano i nasi. Una comune tragedia si riconoscerebbe sulle pallide fronti di  ciascun uomo, senza sprecar sguardi ad individuarne i motivi dei volti e delle disillusioni.
 Le uniche sfumature che rendono speciale il dramma di ogni uomo, è la porta d'accesso da cui questo si presenta.

Allora occorrerebbe tenersi stretti, senza neppure riuscirsi a sfiorare, come trapezisti integri che si riconoscono senza neppure chiamarsi, volteggianti e certi che all'acme del proprio volo, al cambio di rotta che introduce al precipizio, ci sono le mani dell'altro.
Il sogno di questa straordinaria empatia l'aveva del tutto abbandonato. Maggie se ne era andata, e non rispondeva più. Lei era tornata ai luoghi verso cui sentiva il suo richiamo.
Investigare sulle ragioni di quel fato infelice avrebbe significato rinnegare la tragedia alla base dell'inconciliabilità tra gli esseri, e di riflesso, ripudiare quei volteggi di profondo amore che aveva vissuto lassù con lei, sul trapezio, prima che questo si spezzasse.

Semplicemente, senza plasmare i connotati della vittima, o del carnefice, durava nei suoi giorni in attesa che una smentita epocale facesse crollare il circo delle verità svuotate che aveva allestito intorno alla propria gabbia di pelle e parole.
Una sera, mentre assaporava un cognac, incontrò Hanna, sua vecchia conoscenza. A lei piacevano le sue espressioni marmoree e dure, che sembravano scolpite da un senso di forte controllo sulla realtà.
La trovò ingrassata e provata, e con le coscie scoperte.

Hanna lo guardava, e lui si lasciò sedurre, come se la cosa non lo riguardasse. A casa di Hanna c'era una cucina ordinata e un corridoio tappezzato di foto, quelle pareti trasudavano dalla voglia di convincere chi le abitava che un'identità propria è raggiungibile anche a buon mecato. Basta pagare con una buona memoria.
Hanna, spogliata, urlava appoggiata contro il muro, mentre R. spingeva con forza da dietro, e lei, piccola,  sembrava piegarsi a quell'irruenza, quasi strozzata. R. non cercò di capire quanto piacere ci fosse nelle urla di Hanna, sembrava quasi immune da ogni ascolto, e fece presto.
Appena ebbe finito, R., ancora nudo, si versò del vino bianco e si preparò per andarsene. Hanna, nel letto, imprecava  avverso la sua nota indifferenza, ancora singhiozzando.  Ma fu completamente ignorata.

Hanna, umiliata, tentò di richiamarlo a sé, e cominciò ad insultare il nome di Maggie.

R. non rivolse immediatamente i suoi pensieri a Maggie, né a quanto l'aveva amata. Pensò a quella volta in cui lei lo tradì. Stavano insieme da poco e lui occultò il fatto dalle sue conversazioni con lei spazzandolo lontano con scialbe citazioni nichiliste. Pensava che gli servisse da monito, per ricordargli che nulla mai sarebbe stato scontato.
R. aveva ancora il sigaro in bocca. La raggiunse e la guardò mentre si azzittiva e si copriva le nudità con terrorizzato pudore.
Per un attimò gli sembrò anche bella adornata da un'aurea di sottomissione e vergogna.
Hanna cominciò a piangere. Un pianto infatile nutrito da un desiderio malriposto, un pianto che manifestava lo strazio di non poterlo rapire per sempre, e tenerlo con sè. Un pianto che aveva il gusto della maledizione agognante un possesso illeggitmo che R. non seppe sopportare.

Allungò le sue braccia dure contro la donna in lacrime, e le strinse la gola tra le mani finchè un'espressione di morte non gli raccontò in pochi istanti di che sapore era stata la vita che lì cessava.

Il volto di Hanna sembrava aver acquisito dei contorni. Adesso aveva dei nuovi occhi, una bocca socchiusa che reclamavi baci onesti e labbra da non scassinare con prepotenza, ma da assoporare con delicatezza. R. la guardò e la vide emergere da un anonimato tragico ed equo che si scioglie nel rito dell'addio.
Lo stesso che accompagnava Maggie, quella sera in cui gli comunicò gelidamente che sarebbe partita.

- Puttana.

R. non si scompose, prese il suo sigaro e scomparve.