martedì 31 luglio 2012

Sulle fronde dei lecci

Questa piazza è importante. Qui ho sporcato per la prima volta i miei pantaloni bianchi scivolando sul pavimento bagnato. Su quella panchina di sedevo repentinamente tutte le volte che giocavamo a pallone e mi accorgevo che mio padre stava per sbucare dal corso, e che non avrebbe gradito di scoprirmi lì, sudato e sporco, con la tramontana e il freddo. 

Da quella strada lì, invece, scappavamo alla vista dei vigili urbani. Una volta mi capitò di scappare da un vigile e di infilarmi proprio in quella strada, ma di ritrovarmi improvvisamente un altro vigile di fronte non appena girai l'angolo. 

Mi trascinarono di forza nel comando, mi conoscevano bene nonostante avessi otto anni, eppure non dissero nulla quando diedi loro false generalità. 

Le notti sino alle 3.00 sentivi di essere padrone assoluto di quegli spazi deserti che spopolati davano impressione di dilatarsi spropositatamente. E quelle nostre chiacchiere adolescenziali assurgevano a rango dei migliori discorsi che in quei luoghi furono mai stati condotti.

Quando si spegnevano le luci, tra le fronde dei lecci, si scorgevano queste stesse stelle che ci videro crescere, e che testimoniano di tutte le promesse infrante.

Quando una strada ti è cara, cerchi di percorrerla con il maggior numero possibile di bagagli, e chiedi alle persone più care, di condividere un tratto del tragitto. Non lo chiedi maii esplicitamente, attendi in cuor tuo che la sensibilità altrui arrivi a colmare lo spazio reso libero dai passi indietro di domande sottaciute.

E capita sovente di non riconoscersi più. Di mancar gli incontri perché le rispettive voci hanno provato a rintracciarsi parlando lingue diverse. Per queste ragioni sembrerebbe superfluo interrogarsi sulle ragioni del silenzio.

Un tempo ti emozionavi se ti indicavo Giove, e quella direzione riusciva a riempirsi di una poesia che ha ammutolito i suoi versi, e non scorre più.

domenica 29 luglio 2012

Three Dark Knights

Mentre si recava, come ogni giorno alle ore 15.30, presso il suo tabaccaio di fiducia, l'unico che avesse il self-service sempre funzionante, avvertiva la moneta sparpagliata nella sua tasca, tra le chiavi di casa e l'accendino, zavorrare le sue bermuda tendenti allo scivolamento sotto il culo per via del congruo carico.

Accendeva così la sigaretta antelucana, quando un conoscente gli si accostò.

- Com'è? Hai messo in fuga una banda di scassinatori! 
- Sì.
- Mi hanno detto che stavano tentando di forzare le grate del bar sotto le finestre di casa tua.
- Sì.
- Mi hanno detto che stavi rincasando in tarda notte quando hai notato delle strane ombre nel cortile, che ti sei accostato alla ringhiera e che hai intimato loro di andar via con aria minacciosa.
- Erano molto scaltri, sì, vestiti di nero si confondevano nella notte. Per fortuno ho uno sguardo attento, io.
- Che coraggio! Ma quanti erano?
- Ah... erano in 3...
- Cazzo! Ma ci pensi che se fossero stati armati, avrebbero potuto spararti?
- Eh... ma dovevo intervenire, non potevo lasciarli fare.
- Erano sicuramente mascherati...
- Sì, avevano il passamontagna.
- Ti è andata di culo... di sicuro erano stranieri.
- Slavi, certamente erano slavi, l'ho colto da come scavalcavano la ringhiera.
- Va be', ciao.
 - Ciao.

Le ore che precedettero quell'eroico atto furono trascorse nella rosticceria del centro, dove il segretario della sezione del Partito Comunistra gli offrì due panzerotti fritti, appena emersi dalla friggitrice, con il fumo che gonfiava il ripieno di salsa e mozzarella.
Egli, per sdebitarsi e per agevolare il transito intestinale di entrambi, offrì al compagno generoso un paio di birre vendute a saldo nella vicina sede del Partito Democratico. 
Bevute fresche tra un sigaretta e un discorrere sulle prospettive di rilancio urbanistico.

Tornato abbastanza presto a casa, il nostro eroe decise che dopo la tappa evacuativa in bagno, sarebbe stato meglio adagiarsi sul letto, perché l'indomani mattina avrebbe dovuto svegliarsi presto per preparare il suo consueto viaggio verso il nord italia.

Purtroppo il programma notturno non procedette come da schema. Suo fratello, infatti, ritenne indispensabile persistere con la luce accesa fino alle 2.30 perché non poteva assolutamente sottrarsi dall'intrattenersi in chat con qualcuna delle sue anelanti pie donne. Ed ovviamente non sarebbe stato accettabile per costui vivere dignitosamente il senso più profondo di quelle conversazioni, senza il sottofondo di musica porno-pomiciante da imboscamento maniacale.

Il contesto avverso gli impedì pertanto di crollare nel sonno, allorchè il furbo consanguineo, eseguiti i doveri notturni in omaggio alle sue amanti virtuali, sostituì al delicato sottofondo sonoro di cui sopra, un ronfar beato e appassionato, degno d'un lamento di bue impedito forzosamente dall'accesso alla sua greppia.

Assuefattosi presto a quel tumulto sonoro, ecco affacciarsi meschinamente il più arcigno degli ostacoli frapposti fra la sua persona stanca e l'agognato riposo: una austera e turgida erezione.

Intere settimane di astinenza sia di tipo condiviso che autonomo, si produssero, durante quella notte sfortunata, in una ribellione ormonale a cui la sua attesa paziente non seppe porre risoluzione. Il richiamo testosteronico, al contrario, s'andò via via intensificando, e cominciò a risalire i canali dell'animo per giungere a stringere d'assedio la mente, impegnata  a mantenere a favore dell'insonnia la prerogativa ipotecaria sui desideri notturni.

Il crepuscolo ante r.e.m. formattò i suoi pensieri a guisa di postriboli a cielo aperto, dove volteggianti sagome venivano scolpite da tale improvvisa intemperanza notturna, impresse da rintocchi di metallo regolari ed echeggianti.

Rintocchi che presto calamitarono la  sua attenzione, manifestandosi come urti soffocati su superficie metallica, simile all'opera di un fabbro. Ma alle 3.00 di notte, quale mai potrebbe essere l'opera umana così come percepita? Scavò nella sua mente confusa tra le bramosie disattese e non vi trovò alcuna ragione adeguata a giustificare la persistenza di quei rumori.

Allorchè comprese che qualcosa di oscuro era al lavoro, forse un erede di Efesto, forse uno di quegli spiriti da indigestione di cui sono pieni i racconti dei trisavoli. S'alzò, e scalzo con l'erezione tutt'altro che sopita, si diresse verso la sua finestra e provò a muovere le tapparelle.
Il livello di ansia irrobustiva l'intensità di quei rumori che sembravano adesso riempire lo spazio della sua stanza, e quasi rimbombare per tutta la casa. 
Possibile che questi suoni colpissero solo le sue orecchie e non anche quelle del fratello russante, o dei vicini chiacchieroni, o delle gatte in calore che colonizzavano il quartiere?

Possibile che la notte non riuscisse a produrre adeguati anticorpi naturali a quel dirompente agente esterno che stravolgeva il copione di una agitata notte di inizio estate?

S'alzò nuovamente nell'oscurità, e prestando attenzione a non urtare con gli alluci contro i muri, e a tenere largo il pigiama inferiore per mascherare l'origine dei suoi turbamenti, si diresse verso la seconda fonte di ronfamento della casa: la camera di suo padre.

- Papà!
- Eh! Che c'è? Che vuoi? - rispose allarmato
- Sento degli strani rumori metallici provenire dal cortile, vieni a sentirli anche tu.

Entrambi scalzi e ansiosi si diressero verso il finestrone che s'affacciava sul cortile malefico dove gli spiriti maligni stavano presumibilmente gozzovigliando. I rumori s'erano fatti più tenui e attenti, ma evidentemente esistevano anche al di fuori del suo cervello pervaso da "istinti tipo Natural Geographic, dvd n.5 - l'accoppiamento all'epoca dell'homo erectus".

Suo padre indugiò con la mano sulla maniglia della finestra, mentre lui gli era accanto, contento di aver constatato di avere ancora un barlume di lucidità. 
Il padre avvertì un rumore brusco di urto metallico. Decise. Aprì la finestra.

I due s'affacciarono sul cortile e la notte apparve loro pulita e disabitata.
D'un tratto, ai loro sguardi annebbiati,  si materializzò innanzi una scala, appoggiata alla parete del cortile. I due s'affacciarono meglio e a pochi passi da loro individuarno le sagome dei cattivi.

- Ehi! Disgraziato! - Urlò suo padre alla vista di quei manigoldi. E tre snelli esemplari di scassinatori di serie B in tuta metalmeccanica, passamontagna, dotati di picconi, tenaglie, e piede di porco, balzarono spaventati alla vista dei due nottambuli. 
Stavano tentando di divellere, in maniera molto discreta e con la delicatezza di una  ferramenta in fase di crollo, le grate delle prese d'aria dei cessi del bar sottostante la finestra da cui i buoni li avevano colti in flagranza.

A due metri di distanza, si fronteggiavano il bene e il male.

- Noi ce ne andiamo. Ma voi non chiamate nessuno. Non sono affari vostri. - Esclamò il leader degli "Ocean's three" degli sfigati, esprimendosi con un perfetto accento estremamente locale.

- Be', dai, andatevene, ché vi abbiamo riconosciuto. - Bleffarono astutamente i due paladini della giustizia in pigiama, in quanto l'unica cosa riuscita a quei tre deficienti era giustappunto il travestimento da palombari del deserto di ghiaccio venusiano.

- Anche noi vi abbiamo riconosciuto. Non chiamate nessuno. - Rispose il capo spedizione con aria di minaccia molto più  concreta. 
Mentre i tre scavalcavano il muro e la ringhiera del cortile per darsi alla fuga, rinuciando al loro ingente bottino costituito dall'incasso giornaliero di una macchinetta videopoker, la cassetta dei gettoni per il biliardo, e un paio di flipper, le menti dei due paladini della giustizia si rivolsero ai pneumatici delle loro rispettive autovetture, o alle fiancate delle stesse.
E nello sguardo del padre che incrociava simultaneamente quello del figlio si sarebbero potute leggere queste parole:

- La mia macchina è al sicuro in garage. La tua no. Tié.

Ma affinché un tentativo di violazione della legge di quella gravità fosse punito fino in fondo, era necessario agire anche attraverso la leva pedagogica e redentrice. Conscio di questo, il padre si rivolse nuovamente allo sconfitto leader dei tre ladri fuggiaschi:

- Ehi tu! 
- Che c'è?
- Quella scala è vostra?
- Ah, sì!
- Toglietela da lì, portatevela via, ché dà fastidio.

Ed ulteriormente umiliato nella sua professionalità da scassinatore, il leader del gruppo tornò sui suoi passi per riprendersi la scala che stava dimenticando sul luogo del delitto.

- L'ordine prima di tutto. - Disse il padre al figlio, mentre spiegava l'accaduto al resto della famiglia destato dal vociare inconsueto, e prima di allertare le forze dell'ordine.
Intanto, l'insonne figlio provò a ri-adagiarsi sul suo letto. Ma comprese immediatamente che avrebbe dovuto porre rimedio alle sue turbe ormonali che gli impedivano un riposo ancor più meritato dopo il suo gesto eroico. 
Si recò in bagno, e s'abbassò i boxer affrontando direttamente il suo detrattore del sonno, ancora in ottima e vispa forma. 
Pensò che grazie a quell'erezione invincibile, quella notte, un crimine non ebbe modo di compiersi.
Trionfante d'orgoglio, prese piena coscienza della portata dell'evento, masturbandosi nell'accesa libido amplificata dall'autoesaltazione eroica.

Finalmente l'ormone s'acquietò. 
E tutti e tre gli eroi trovarono pace in quella notte in cui i criminali avrebbero dovuto temere più d'ogni vigilanza notturna, più di una ronda leghista della brianza, più di robocop, la benigna minaccia di un cavaliere oscuro, sempre vigile e attento nei boxer di un insonne.

L'indomani mattina il proprietario fortunato del bar era nel cortile a raccogliere le testimonianze dei testimoni oculari. 

- Grazie - disse il barista ai due giustizieri della notte.
- Grazie al "cazzo" - rispose il figlio, che cominciò a fantasticare in che maniera la leggenda si sarebbe diffusa tra le chiacchiere della città.

sabato 28 luglio 2012

ἀρχή engine

E sorgono giorni in cui l'effimero si sgretola nelle sue vacuità ed incertezze, ed emerge solennemente l'arché di ogni tempo: 

vivere e protrarsi stancamente nel quotidiano, affinché un giorno, digitando finalmente su Google: "la coscienza di...", tra i suggerimenti automatici della ricerca "la coscienza di alcor" venga prima de "la coscienza di zeno". 

Dopodiché lapidatemi. Mentre fumo l'ultima sigaretta, pensando a mio padre e ai funerali dei miei cognati.

venerdì 27 luglio 2012

Over the glass

- Be', che te ne pare di questa vetrina, Alcor? 

- Trovo che sarebbe bellissima, se non la guardasse nessuno. 

Dacchè fruisco di estati civilizzate è sempre stato così, altissima propensione all'isolamento audiotermofatmologico e tattile dai miei simili, fenomeno largamente riscontrabile se analizzato nelle ore successive al tramonto.

- Questo abito? Come credi che ti starebbe?

- 'Na merda, devo supporre.


Chissà come si starebbe comodi su un letto di tegole. Piuttosto. I primi quindici minuti trascorsi nel fruire di spettacoli ipocondriaci di ossessionate affermazioni artefatte di se stessi, sono estremamente indigesti. Forse perchè rubano la scena a chi saprebbe esser ancor più indigesto.

- Così facendo, non dando risposte, col risponditore automatico "niente", attiri odio.

- Lo so. 

Quando la domanda più frequente che ti viene rivolta è: "sei sposato, hai figli?", comprendi che la faretra sta diventando scarica. E che non si vede più tanto bene per mirare degnamente.

domenica 15 luglio 2012

Explosion in the sky

C'era uno strato di carne molto spesso che aderiva alle pareti interne dell'uovo che mi ha conservato. Non riuscivo ad assorbire i rumori esterni, e così ho cominciato a coltivare una lingua propria per far vivere nella mia mente gli oggetti che percepivo. 

Ricerca assillante di un guizzo sconosciuto a cui prestare un nome per poche ore. Il tempo necessario a perforare l'indolente membrana che atterrisce gli stimoli di polpastrelli feriti, che scappano inseguiti dai feroci bombardamenti dei secondini contaminati.

Gli impulsi si celavano tra i codici delle conversazioni intercorse con la maschera bianca, durante le vane attese di un senso che potesse germogliare inseguito dall'alba, alle 4.15 del mattino.
Molto poco saggia fu la scelta di andare senza portare con sè le provviste della memoria e una traccia del proprio tragitto, che potessero almeno sottoporre all'attenzione del sonno una meta da raggiungere a colpi di rinculi di cannoni, ruggenti nell'opposto senso avverso gli avamposti di unua stonata sopportazione silente.

Questa pozza nel terreno non mi è nuova. Ci ho pisciato dentro innumerevoli volte. Mentre attendevo l'esplosione del cielo, e i nani bianchi schiudersi in una pioggia di biglietti di benvenuto nel creato, dove apporre una firma elettronica in calce al decalogo delle spiegazioni esemplificatrici di tutta quella massa condensata nel tuorlo delle vocazioni condensate.

E non ci sarà bisogno di nessuna casa, perché torneremo ad ascoltare del blues, fottendocene del colore delle nostre scarpe, dell'accento dei nostri liquori, dei vessilli rappresentativi di ordini imperfetti e dei metri che avranno raggiunto le nostre barbe.
Cadranno gocce di sudore nelle vaschette di questa colla che tiene elasticamente aggregati gli umani.

Vado a farmi una passeggiata tra i corridoi del bosone di Higgs. Porto con me una penna per prendere nota, e un gesso per disegnare sui muri della materia oscura, versi cianotici inneggianti decapitazioni di dei strafottenti.

- Che ti prende, Alcor?

- "Alcor", hai detto?

- Sì. Che magnifici suoni, ricordi?

- Di fogli nel temporale, di lettere nella tempesta, di marmellate scadute sganciate dal cielo per ingannarci.